La legge di bilancio ha archiviato il “primo tempo” della riforma fiscale con la revisione dell’Irpef, la riduzione per il 2022 dei contributi a carico dei lavoratori dipendenti fino a 35.000 euro di reddito e l’esenzione dall’Irap per un’ampia platea di lavoratori autonomi, professionisti e ditte individuali. Il “secondo tempo” si svolge in Commissione Finanze alla Camera, dove si discute il Ddl delega in materia fiscale licenziato dal governo a ottobre e sottoposto a oltre 450 proposte emendative. Da metà gennaio le discussioni languono, confermando uno stallo riconducibile a posizioni divergenti nella maggioranza. Le divergenze tra i partiti si erano in realtà palesate già in fase di stesura delle linee guida parlamentari che hanno perimetrato l’impianto della delega. La “sintesi” trovata ha favorito un progetto di riforma che ha ridimensionato profondamente la funzione redistributiva della leva fiscale, orientando il fisco a supporto della crescita economica con una marcata sottovalutazione della dimensione sociale dello sviluppo. Il calo della quota salari sul Pil impone da tempo una ricomposizione complessiva del prelievo spostando il carico fiscale dai redditi da lavoro ad altri cespiti: un tema eluso nei lavori parlamentari. Stessa sorte toccata al principio di equità orizzontale che assicura a individui in condizioni uguali o simili il versamento dello stesso ammontare di imposte. Il mancato consenso tra i partiti per ricomporre la base imponibile Irpef, svuotata negli anni a favore di regimi cedolari, ha spinto il governo a completare un sistema di tipo duale con i redditi da lavoro sottoposti a una tassazione progressiva e i redditi da capitale assoggettati a un’imposizione proporzionale, ad aliquota unica, possibilmente coincidente con l’aliquota Irpef più bassa (oggi al 23%). In questo modo contribuenti con redditi simili ma di natura diversa restano sottoposti a trattamenti fiscali differenziati. Non solo, La scelta di armonizzare il prelievo sui redditi da capitale (a eccezione dell’Ires, su cui però Forza Italia propone di allineare l’aliquota nazionale, oggi al 24%, alla media europea, di poco inferiore al 21%) potrebbe comportare una riduzione del prelievo sulle rendite finanziarie (dal 26% al 23%), mentre un eventuale aumento dell’aliquota legale su rendimenti dei titoli di Stato o redditi da locazione o dividendi da piani di risparmio a lungo termine verrebbe neutralizzato da una “clausola di salvaguardia” (perorata da Lega, FI , FdI ed ex M5S ) a garanzia dell’invarianza dell’imposta netta rispetto al sistema vigente. Una questione divisiva riguarda la sorte del regime forfetario, la generosa flat tax al 15% per le partite Iva con ricavi e compensi annui inferiori a 65.000 euro. Mantenere questo regime nell’impostazione compiutamente duale non sarebbe giustificabile. I redditi misti da lavoro autonomo andrebbero infatti scorporati tra quelli riconducibili al lavoro, da assoggettare a tassazione progressiva, e quelli derivanti dall’impiego di capitale, tassati in modo flat. In Parlamento siamo letteralmente alla guerra degli avverbi. Il termine “compiutamente” va sostituito con “tendenzialmente”, il forfetario deve sopravvivere e anzi essere esteso, secondo Lega e FdI, con il rischio di vedere l’80% di professionisti e imprenditori individuali pagare meno imposte rispetto a lavoratori dipendenti e pensionati in condizioni reddituali affini. Lo scoglio più duro è rappresentato dalla riforma del catasto che rischia di non passare indenne, persino nella versione licenziata dal governo (una mappatura con effetti fiscali sterilizzati, per ora): Pd, LeU e M5S sono favorevoli ma il centrodestra è compatto per lo stralcio. Se prevale quest’ ultimo, resteranno intatte le forti differenze nelle rendite tra immobili accatastati in epoche diverse con valori catastali nelle periferie spesso superiori a quelli nei centri storici. Sperequazioni che si traducono in un prelievo immobiliare iniquo e pesano sul calcolo degli importi dei trasferimenti, come l’assegno unico, parametrati sull’Isee. La memoria politica è corta come non mai: la ritrosia del centrodestra a riformare il catasto contraddice l’unanime assenso a un simile intervento (di portata più ampia e con chiare implicazioni fiscali) manifestato dai partiti appena due anni fa nel documento conclusivo dell’indagine conoscitiva propedeutica a una riforma, mai instradata, della fiscalità immobiliare. Le divergenze tra i partiti potranno anche essere livellate, ma restano forti dubbi sullo spazio politico per i futuri decreti delegati e alcune certezze: un compromesso disorganico non è un buon viatico per riforme robuste e l’equità resterà una perfetta sconosciuta.
I partiti adesso litigano sul fisco, ma la riforma è già lettera morta (Il Fatto Quotidiano)
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