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lunedì 10 Marzo 2025
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L’abolizione della TASI sulla prima casa: un intervento equo e necessario o solo populismo demagogico?

La sua eliminazione, oltre ad avere effetti regressivi, toglierebbe ai comuni una delle leve fondamentali per finanziare i servizi, col rischio di ulteriori aumenti delle addizionali Irpef. Serve un riordino della tassazione sugli immobili che preveda la rimodulazione delle aliquote e una soglia al di sotto della quale l’imposta non è dovuta.

di Lelio Violetti

Nell’assemblea nazionale del Partito Democratico, tenuta il 18 luglio all’Expo di Milano, il Presidente del Consiglio ha annunciato, nell’ambito d’un piano triennale di drastica riduzione delle tasse, che dal 2016 verrà eliminata quella sulla prima casa (TASI).

L’intervento sul tributo, che grava sul patrimonio immobiliare, ha l’obiettivo di diminuire in modo significativo la pressione fiscale complessiva e di rendere contemporaneamente disponibili alle famiglie nuove risorse economiche da destinare ai consumi. È, pertanto, la prosecuzione di quanto già fatto nell’IRPEF con gli 80 € che vengono erogati mensilmente, sotto forma di credito d’imposta, ai lavoratori dipendenti con reddito compreso tra i 12.000 e i 24.000 €,

Se è innegabile che c’è un legame stretto tra carico fiscale e spesa delle famiglie è altrettanto vero che gli effetti provocati dall’abolizione d’una tassa o d’una imposta vanno esaminati in un contesto più generale in cui acquistano importanza, oltre alla condizione economica dei soggetti passivi,  la tipologia del tributo interessato, la base imponibile su cui è calcolato e il suo peso all’interno dell’intero sistema impositivo di tassazione erariale e locale.

Come dimostrato dall’articolo di Paolo Surico e Riccardo Trezzi, “Meno IMU, più consumi”, pubblicato dalla “Voce.info” il 20 luglio, l’introduzione dal 2013 dell’IMU sulla prima abitazione, successivamente tramutata in TASI, ha comportato una diminuzione della propensione alla spesa dei soggetti passivi obbligati a pagarla.

L’analisi condotta dai due autori evidenzia che l’IMU ha influenzato negativamente in particolare la capacità di spesa dei soggetti proprietari dell’abitazione in cui dimorano, mentre ha solo marginalmente condizionato la propensione a spendere dei proprietari delle seconde abitazioni, anch’esse gravate da IMU.

Nelle famiglie proprietarie di abitazioni principali con mutuo l’effetto è stato sensibilmente più forte, arrivando a condizionare l’acquisto o meno di beni durevoli (ad esempio il cambio di automobile).

Oltre a tali opportune considerazioni di tipo economico c’è anche da rilevare, dal punto di vista fiscale, che l’abolizione completa della TASI sulla prima casa toglie ai comuni la leva fondamentale, come avviene in tutto il mondo, per finanziare i servizi che erogano ai propri cittadini residenti. La carenza di entrate può inoltre portare i comuni a recuperare il mancato gettito, non più introitato con la TASI, attraverso la fiscalità erariale (addizionale all’IRPEF).

Si aggraverebbe in questo modo il peso, già eccessivo, del livello di tassazione dei redditi delle persone fisiche, senza contare poi il fatto che questa imposta ha un tasso di evasione piuttosto alto e l’evasione riguarda soprattutto alcune tipologie di contribuenti.  Il peso dell’abolizione della TASI si trasferirebbe in questo modo sui redditi tracciati (con la ritenuta alla fonte) che non possono sfuggire al fisco (lavoro dipendente, parte del lavoro autonomo e pensione). Dal punto di vista etico c’è anche da aggiungere il fatto che chi evade trasforma i redditi non dichiarati in patrimonio e con l’abolizione completa della TASI si andrebbe a togliere una imposta legata alla proprietà che è più facilmente controllabile.

Inoltre il valore delle abitazioni, sulla cui base si calcola la tassa, è diverso da casa a casa e pertanto la sua completa abolizione favorirà i proprietari che abitano in quelle dal valore più alto (quelli con il patrimonio più ricco). Si ha quindi un effetto regressivo contrario al dettato costituzionale che prevede la progressività nel pagamento dei tributi.

L’abolizione della TASI sulla prima abitazione produce anche un forte squilibrio fra la tassazione sulla prima abitazione e quella che grava sulle altre che in parte sono affittate. Già attualmente il divario fra le due aliquote ordinarie massime è notevole (10,6 per mille per l’IMU e 2,5 per mille per la TASI sull’abitazione principale) e tale differenza è un forte incentivo all’acquisto della abitazione principale e una cospicua  penalizzazione del mercato delle case in affitto.

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Le due Tabelle, i cui dati sono stati estratti dal sito del Dipartimento delle Finanze, evidenziano che con l’abolizione della TASI sull’abitazione principale si rinuncia a tassare circa il 70% del valore del patrimonio immobiliare e oltre il 60% delle abitazioni appartenenti a persone fisiche.

L’agevolazione di cui già godono le abitazioni principali ha anche favorito la trasformazione d’un certo numero di abitazioni non locate in abitazioni principali. Tale singolare fenomeno con l’abolizione della TASI sull’abitazione principale è destinato ad ampliarsi ulteriormente. Per cui già oggi non è infrequente il caso che i coniugi vivano nello stesso comune o in comuni diversi in abitazioni principali distinte. 

La ricerca a tutti i costi del conseguimento dell’agevolazione sta inoltre incrementando i trasferimenti immobiliari delle case non locate,o  in alternativa, la concessione in comodato d’uso, ai figli.

È un groviglio “demenziale” di regole in cui è assai difficile districarsi in quanto l’agevolazione sull’imposta patrimoniale (TASI e IMU) s’intreccia con quella ai fini IRPEF per cui due coniugi che risiedono nello stesso comune in abitazioni diverse non pagano l’IRPEF su ambedue le abitazioni ma su una pagano la TASI e sull’altra l’IMU.

Allo stesso modo un proprietario di due abitazioni, di cui una occupata direttamente e l’altra concessa in comodato al figlio, paga l’IRPEF al 50% sulla quella concessa al figlio se il comune non ha assimilato il comodato d’uso all’abitazione principale (su questa abitazione il proprietario pagherà l’IMU). Se il Comune ha assimilato il comodato d’uso all’abitazione principale su questa casa non grava più l’IMU (solo la TASI che ora verrà abolita) ma l’IRPEF che dovrà essere pagata per intero in quanto è il pagamento dell’IMU che esenta dall’IRPEF.

Influenza e rende più complessa questa situazione anche il beneficio concesso sull’imposta di registro per l’acquisto della prima casa che ha indirettamente incentivato i trasferimenti di residenza anagrafica “fittizi” per godere dell’agevolazione.

Tutti questi meccanismi e sotterfugi, nella sostanza concessi dalla legge, stanno costringendo le famiglie per ottenere il massimo del beneficio ad una complicata pianificazione fiscale, quasi fossero una impresa.

L’abolizione della TASI sulla abitazione principale è destinata ad aumentare tale complessità fino al punto che si tenderà sempre più ad avere un abitante proprietario in ogni casa con una atomizzazione e dispersione (virtuale) sul territorio  dei nuclei familiari. C’è da chiedersi quanto questi fenomeni alterino, rispetto alla realtà effettiva, la situazione socio-economica delle statistiche ufficiali sulle famiglie basate sulla residenza anagrafica dei singoli soggetti.

Tutto ciò premesso l’abolizione completa della TASI sull’abitazione principale sembra soddisfare più a criteri di tipo propagandistico/elettoralistico che di equità.  In sintesi sarebbe stato più opportuno prevedere una riduzione del suo carico all’interno d’un disegno complessivo di redistribuzione e semplificazione di tutta la tassazione sugli immobili.

Sicuramente, come auspicano anche gli autori dell’articolo sulla “Voce.info”, non si capisce perché dalla base imponibile della TASI sulle abitazioni principali non sia deducibile la restante quota di mutuo ancora da pagare. L’introduzione d’una modifica di questo tipo è in linea con il principio di equità che vede il proprietario pagare la tassa solo sulla quota parte di base imponibile a tutti gli effetti in suo possesso.

Come illustrato dalla tabella che segue (dati estratti dalle statistiche sulle dichiarazioni dei redditi) le abitazioni interessate alla modifica sarebbero tra i due milioni e mezzo e i tre milioni (stima fatta tenendo conto che parte dei mutui sono cointestati). 

 

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In merito alla TASI più che abolirla sarebbe utile stabilire un valore della rendita al di sotto del quale l’imposta non è dovuta e rimodulare le aliquote progressivamente all’aumentare del valore dell’immobile.

C’è, infine, la necessità di collegare reddito e patrimonio per esentare tutti quei soggetti che hanno ereditato una casa di valore ma non hanno redditi/patrimonio sufficienti. A tal proposito sarebbe necessario definire un valore dell’ISEE del nucleo familiare che abita l’immobile al di sotto del quale l’imposta non si paga.

Sarebbe anche auspicabile ridurre l’IMU sulle case locate per favorire l’affitto degli immobili. Probabilmente sarebbe utile anche abbassare l’IMU sulle case tenute a disposizione. Avere una casa a disposizione sembra quasi diventata una colpa.

L’occasione per riorganizzare tutta la fiscalità immobiliare locale, con una riduzione dell’imposta complessiva, sempre pari ai 3,5 miliardi annunciati, potrebbe essere l’entrata in vigore dei nuovi estimi catastali basati sui metri quadri e non più sui vani. L’introduzione dei nuovi estimi, ancorati ai valori di mercato, aggiungerebbe ulteriore equità all’attuale squilibrio che vede situazioni di privilegio per tutte quelle abitazioni in cui l’attuale valore catastale è minore in modo consistente del valore di mercato. 

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