La banca elvetica finisce nel registro degli indagati grazie alla legge 231: secondo la Procura avrebbe consentito a 13mila clienti italiani di nascondere all’estero una montagna di denaro attraverso polizze fittizie.
Polizze assicurative fasulle, che servivano per veicolare all’estero fiumi di denaro sottratti al Fisco. Frode fiscale, abusivismo finanziario, ostacolo alla vigilanza e riciclaggio: queste le accuse ipotizzate dalla Procura di Milano, che ha ufficialmente iscritto Credit Suisse nel registro degli indagati in base alla legge 231 che consente di incriminare le società di capitali. Emergono cifre inquietanti dall’inchiesta condotta dai pm milanesi, Gaetano Ruta e Antonio Pastore. Le rivela il Settimanale L’Espresso: a partire dal 2005 la banca elvetica avrebbe aiutato circa 13mila clienti italiani a trasferire all’estero 14 miliardi di euro.
Circuiti illegali. Come? È il Nucleo tributario della Guardia di Finanza di Milano a ricostruire il quadro, sulla base delle indagini e perquisizioni effettuate presso le filiali lombarde della Credit Suisse Life & pension. I clienti italiani sottoscrivevano polizze assicurative formalmente collegate alle sedi Credit Suisse sparse tra Bermuda e Liechtenstein, col risultato di trasferire ingenti quantità di denaro all’estero e per di più in totale anonimato. Denaro che poi poteva essere riscosso integralmente attraverso prelievi in contanti. Da qui l’accusa di maxi-riciclaggio da 14 miliardi ipotizzata dagli inquirenti. E per Credit Suisse non sarebbe la prima volta.
Gli scandali. Se confermate, le cifre ipotizzate dalla Procura di Milano sarebbero addirittura superiori a quelle “monstre” rivelate dalla maxi-inchiesta americana contro Credit Suisse. In quel caso i giudici avevano accusato il colosso elvetico di aver aiutato oltre 22mila contribuenti americani a nascondere al Fisco Usa circa 10 miliardi di euro. La vicenda si è conclusa nel 2014: la banca ha patteggiato 2 miliardi e 600 milioni di dollari.
Gli sviluppi. Resta da capire come evolverà l’inchiesta. Stando a quanto riferito da L’Espresso, la Procura sembra orientata ad escludere il penale per chi ha aderito alla procedura di collaborazione volontaria, la cosiddetta voluntary disclosure, in cambio di multe salate.