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sabato 27 Luglio 2024
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Apple, Senato Usa accusa l’azienda di aver eluso le tasse per 74 miliardi di dollari

L’azienda di Cupertino avrebbe adottato una serie di strategie, tutte legali, per evitare di pagare le tasse alle autorità americane. La difesa: “Paghiamo una gran quantità di tasse e non usiamo espedienti fiscali”

 

Avrebbe usato una complessa rete di entità offshore per evitare di pagare le tasse, per valori di miliardi di dollari, negli Stati Uniti. È questa l’accusa mossa al gigante dell’informatica Apple da un’indagine svolta dal Senato statunitense. Mentre si aspetta ancora una risposta ufficiale da parte dell’azienda di Cupertino che verrà sentita oggi in merito alla questione – la quale ha comunque già negato il ricorso a espedienti fiscali – ecco quali sarebbero state le tattiche usate dall’azienda per accumulare profitti senza pagare le tasse. Apple, secondo il report del Senato, avrebbe accumulato liquidità per 145 miliardi di dollari, e più di cento di questi sarebbero mantenuti fuori dei confini Usa. Portarli in patria infatti significherebbe affrontare un tasso di imposta del 35%, mentre mantenendoli all’estero, Apple sarebbe riuscita a godere di una tassazione ridotta, a meno del 2%. Il valore totale delle imposte che l’azienda fondata da Steve Jobs sarebbe riuscita a sottrarre al fisco americano è stato stimato a 74 miliardi tra il 2009 e il 2012.

Le filiali all’estero. L’indagine ha ricostruito una “ragnatela di filiali all’estero”, opportunamente collocate in paradisi fiscali o comunque paesi con esenzioni sulle imposte societarie, come l’Irlanda. Così facendo, Apple ha giostrato l’ubicazione geografica dei propri utili, ed è riuscita a pagare tasse irrisorie. Un esempio citato nell’indagine riguarda una filiale Apple situata in Irlanda che nel 2011 ha realizzato 22 miliardi di profitti e su quelli ha pagato appena lo 0,05% di imposte. Un’altra filiale sempre secondo il rapporto conclusivo del Congresso ha realizzato 30 miliardi di profitti dal 2009, completamente esentasse. Alcune di queste filiali estere erano, e sono tuttora, delle “scatole vuote”, senza alcun dipendente, interamente gestite dal quartier generale californiano.

Le accuse. Una dura requisitoria è stata pronunciata dal senatore democratico Carl Levin al termine dell’indagine. “Apple non si accontenta di spostare i suoi profitti nei paradisi fiscali offshore, cerca l’esenzione totale, pretende di non avere residenza fiscale da nessuna parte”. Anche a destra i commenti non sono teneri. L’ex candidato repubblicano alla Casa Bianca nel 2008 nonché senatore dell’Arizona, John McCain, ha definito Apple “uno dei massimi elusori fiscali d’America”. In ogni caso finora i sistemi usati dalla multinazionale fondata da Steve Jobs appaiono legali, dovrebbe pagare quelle tasse solo il giorno in cui decidesse di rimpatriare i profitti dichiarati all’estero.

La difesa dell’amministratore delegato di Apple Tim Cook. Il successore di Steve Jobs sarà ascoltato oggi. La posizione dell’azienda in ogni caso è nota: «Non usiamo trucchi fiscali» ribadiscono da Cupertino, sottolineando che Apple è una storia di successo americana e che ha creato o favorito la creazione di almeno 600.000 posti di lavoro negli Stati Uniti. «Apple vede con favore un esame obiettivo delle norme fiscali americane, che non hanno tenuto il passo con l’era digitale e con i rapidi cambiamenti dell’economia globale».

Il governo di Dublino si tira fuori dalla vicenda. «Non è una questione che deriva dal sistema fiscale irlandese», ha detto il vice-premier irlandese Eamon Gilmore. «Sono questioni che nascono dai sistemi fiscali di altre giurisdizioni, spetta prima a loro risolverle».

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