La disciplina dell’abuso del diritto varata dal Cdm la vigilia di Natale elimina i rischi penali per i grandi evasori che eludono, rende più macchinosa l’attività di controllo degli Uffici e limita i poteri d’indagine dei Giudici tributari.
di Oreste Saccone
La polemica politica scaturita dall’inserimento all’ultimo minuto di una norma salva Berlusconi ha portato all’attenzione dei media lo schema di decreto legislativo fiscale approvato la vigilia di Natale dal Consiglio dei ministri, nell’ambito del quale viene riordinato anche l’abuso del diritto e l’elusione fiscale, disciplina che sta particolarmente a cuore ai grandi contribuenti. Sono passati oltre sette anni, quattro governi e due legislature dalle prime formulazioni delle bozze di delega fiscale. Il provvedimento che non riuscì a tagliare il traguardo con i governi Berlusconi, Monti e Letta, sembra ora in dirittura d’arrivo. Ne è stata promessa la definitiva approvazione a fine febbraio. In assenza di una sostanziale riscrittura della norma sull’abuso del diritto è facile prevedere una ripresa in grande stile delle pianificazioni fiscali finalizzate all’elusione e all’evasione.
La clausola antiabuso, un po’ di storia. Fino al 2008 i grandi potentati industriali, economici e finanziari, sfruttando i vuoti normativi e le asimmetrie esistenti tra i sistemi fiscali dei Paesi in cui operano, erano abituati a pianificare raffinate operazioni elusive di alta ingegneria fiscale, al solo scopo di ottenere indebiti risparmi d’imposta. Tra i grandi contribuenti prosperavano schemi di tax planing palesemente elusivi, nel convincimento che, in assenza di una norma generale antiabuso, era permesso tutto ciò che non fosse espressamente vietato. Il bengodi è finito per l’intervento deciso e definitivo della Suprema Corte, sulla scia dell’orientamento assunto dalla Corte di Giustizia in tema di abuso del diritto ai fini Iva.
In particolare, nel 2006 la Corte di Giustizia Ue ha affermato la esistenza di una generale clausola antiabuso (sentenza Halifax, del 21.2.2006), considerata immanente alla sesta direttiva, direttamente applicabile nell’ordinamento nazionale ai fini Iva. Nel 2008 la Cassazione a Sezioni unite con tre storiche sentenze, ha riconosciuto l’esistenza di un principio generale antielusivo anche in tema di tributi non armonizzati, quali le imposte dirette, rinvenuto non nella giurisprudenza comunitaria quanto piuttosto negli stessi principi costituzionali che informano l’ordinamento italiano.
L’orientamento assunto dalla Suprema Corte in tema di abuso del diritto ha prodotto subito rilevantissimi effetti a beneficio dell’erario. Dal 2008 ad oggi l’Amministrazione finanziaria, basando la sua azione di controllo sulla esistenza di una generale clausola antielusiva, ha intercettato e contestato numerosi e rilevanti schemi elusivi/evasivi posti in essere dai grandi contribuenti, incrementando grandemente i recuperi fiscali conseguiti a seguito dei controlli (solo nel 2011 l’incremento è stato dell’800% rispetto al 2007). Di seguito in sintesi i punti cardini consolidati nella giurisprudenza della Suprema Corte:
1) La clausola antiabuso immanente alla norma costituzionale. “Non può non ritenersi insito nell’ordinamento, come diretta derivazione delle norme costituzionali, il principio secondo cui il contribuente non può trarre indebiti vantaggi fiscali dall’utilizzo distorto, pur se non contrastante con alcuna specifica disposizione, di strumenti giuridici idonei ad ottenere un risparmio fiscale, in difetto di ragioni economicamente apprezzabili che giustifichino l’operazione, diverse dalla mera aspettativa di quel risparmio fiscale”.
2) Clausola antiabuso, superamento della forma giuridica in presenza di condotta abusiva. Il meccanismo dell’abuso del diritto costituisce, come la Corte di Giustizia ha sottolineato, il superamento della forma giuridica in vista di cogliere l’esatta finalità economica di un negozio o di un complesso negoziale. La nozione di abuso del diritto prescinde, quindi, da qualsiasi riferimento alla natura fittizia o fraudolenta di un’ operazione, nel senso di una prefigurazione di comportamenti diretti a trarre in errore o a rendere difficile all’ufficio di cogliere la vera natura dell’operazione. Né comporta l’accertamento della simulazione degli atti posti in essere (o della causa illecita o in frode alla legge) in violazione del divieto di abuso.
3) Rilevabilità d’ufficio e poteri d’indagini dei giudici tributari in ordine al rapporto d’imposta. Per i giudici della Suprema Corte il processo che nasce dall’impugnativa dell’atto autoritativo è, si delimitato nei suoi confini, quanto a petitum e causa petendi, dalla pretesa tributaria, ma solo nel senso che il fondamento e l’entità di questa non possono avere latitudine diversa da quanto dedotto nell’atto impositivo..(SSUU. nn. 300557/30056/30057 del 2008).
4) Sussiste il reato di dichiarazione infedele. Il risparmio d’imposta ottenuto mediante la condotta elusiva o censurabile sotto il profilo dell’abuso del diritto può comportare la fattispecie delittuosa dell’infedele dichiarazione di cui all’art. 4 del dlgs. 74/2000. L’esistenza nell’ordinamento penale tributario di una causa di non punibilità (art. 16, dlgs. 74/2000) nei confronti dei contribuenti che si uniformano ai pareri resi in sede di interpello antielusivo, comporta che la commissione di condotte elusive di cui all’art. 37bis assume rilevanza penale. Se l’elusione fosse irrilevante dal punto di vista penale non vi sarebbe la necessità di prevedere un esimente speciale per la tutela dell’affidamento.
5) La violazione della clausola antiabuso fa scattare la sanzione amministrativa per infedele dichiarazione. Nei casi di abuso del diritto esaminati dalle pronunzie della Cassazione a Sezioni Unite soprarichiamate ( nn. 30055, 30056/2008), sono state convalidate in toto le relative sanzioni di infedele dichiarazione formulate dall’amministrazione finanziaria.
L’abuso del diritto nella legge di delega. In questo scenario si è inserita la pressante richiesta di revisione della normativa fiscale alla luce del principio generale di divieto dell’abuso del diritto, a partire da una esplicita definizione di ciò che si intende per condotta abusiva. Richiesta che ha trovato risposta nell’ambito della più ampia delega fiscale, contenuta nella legge 11 marzo 2014, n. 23.
In particolare gli artt. 5 (disciplina dell’abuso del diritto o elusione fiscale) e 8 (per gli aspetti sanzionatori) si preoccupano di fissare principi e criteri a cui il Governo dovrà attenersi per disciplinare l’abuso del diritto. Il dettato normativo della legge di delega sembra fatto a posta per dare mano libera a chi scriverà i decreti legislativi, col fine ultimo di ridare una certa libertà di manovra a chi ha sempre operato sul filo del rasoio (e oltre) per azzerare o ridurre il carico fiscale e, soprattutto, per sterilizzarne le conseguenze penali.
Sulla base della suddetta delega il Consiglio dei ministri ha approvato il 24 dicembre 2014 lo schema di decreto, che con l’art. 1 introduce nello Statuto dei diritti dei contribuenti l’art. 10 bis riguardante la disciplina dell’abuso del diritto o elusione fiscale. A tutela dei contribuenti è stato previsto uno specifico procedimento con l’ obbligo del contraddittorio (richiesta preventiva di chiarimenti), è statogeneralizzato l’interpello antielusivo, oggi limitato alle fattispecie di cui al comma 3 dall’art. 37bis e disciplinato il regime probatorio. La norma, però, presenta anche rilevanti criticità procedimentali e sostanziali che segnano un passo indietro nella lotta all’evasione fiscale. Al momento la levata di scudi contro l’art.19bis, c.d. “Salva Berlusconi”, ha indotto il Governo a rinviarne la definitiva approvazione – si suppone con qualche modifica – a fine febbraio.
Criticità della disciplina dell’abuso del diritto formulata nello schema di decreto
1) Principio generale di abuso del diritto e definizione di condotta abusiva – La definizione della condotta abusiva disciplinata dai primi due commi dell’art. 10bis è un ibrido, un mix tra la definizione evincibile dall’art. 37ter del dpr. 600/73, e la raccomandazione delle CE n. 2012/772/UE del 6 dicembre 2012( punto 4). Ad esempio si fa ricorso a concetti contenuti nella predetta raccomandazione CE, come “sostanza economica”. “non coerenza della qualificazione delle singole operazioni con il fondamento giuridico”, “vantaggi fiscali indebiti ( in quanto) in contrasto con le finalità delle norme fiscali e con i principi dell’ordinamento”. Ben poco resta della infelice formulazione di abuso del diritto contenuta nella legge di delega (art.5). Nella sostanza però non cambia nulla: la clausola antiabuso è principio di valenza costituzionale ed in quanto tale la sua definizione fissata in un decreto legislativo non può contenere paletti di sorta, ma va letta in coerenza con i principi costituzionali, in particolare con il principio di capacità contributiva di cui è diretta espressione, così come più volte chiarito dalla Suprema Corte.
2) Clausola antiabuso. Puntuale individuazione della costruzione giuridica in presenza di condotta abusiva- conseguenze per l’attività di controllo. Il comma 12 prevede che “ In sede di accertamento l’abuso del diritto può essere configurato solo se i vantaggi fiscali non possono essere disconosciuti contestando la violazione di altre disposizioni e, in particolare, di quelle sanzionabili ai sensi del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74, e successive modificazioni”.In generela condotta elusiva si realizza mediante operazioni complesse, costituite da una pluralità di fatti e atti collegati di non facile inquadramento giuridico, ivi compresi, talvolta atti o fatti che già autonomamente potrebbero palesare violazioni di altre disposizioni. Il tutto, però, risponde ad un unico disegno elusivo.
Il comma in commento sembra voler contrastare l’orientamento sostanzialista assunto dalla Corte di Giustizia e dalla Suprema Corte, secondo il quale il meccanismo dell’abuso del diritto costituisce il superamento della forma giuridica in vista di cogliere l’esatta finalità economica di un negozio o di un complesso negoziale. La disposizione appare fortemente ambigua e non trova riscontro nella legge di delega. I limiti procedimentali imposti dalla norma renderanno molto più complicata l’attività d’indagine degli uffici finanziari in sede di accertamento, pur in presenza di fattispecie complesse nelle quali è palese l’assenza o la marginalità dei vantaggi economici e l’indebito e rilevante risparmio d’imposta. In concreto viene offerto un discreto atout a favore dell’elusore/evasore, in particolare in sede di giudizio, dove, ad esempio, il contribuente colto in fallo, eccependo l’errato inquadramento della fattispecie ( patologia degli atti anziché condotta abusiva o viceversa) potrebbe vanificare la pretesa impositiva dell’ufficio, pur in presenza di costruzioni giuridiche comunque elusive/evasive, cioè finalizzate ad ottenere un indebito risparmio d’imposta.
3) Clausola antiabuso, regime dell’onere della prova, inciso “non rilevabile d’ufficio”, limitazione ai poteri d’indagine dei giudici tributari. Il comma 9 disciplina il regime dell’onere della prova. Compete all’ufficio dimostrare la sussistenza della condotta abusiva, il contribuente ha invece l’onere di dimostrare le ragioni extrafiscali che giustificano il suo comportamento. Ma la disposizione presenta un inciso di troppo che va chiarito. Viene precisato che “’L’amministrazione finanziaria ha l’onere di dimostrare la sussistenza della condotta abusiva, non rilevabile d’ufficio, in relazione agli elementi..”. Che s’intende con l’inciso “ non rilevabile d’ufficio”? Presumibilmente si riferisce ai poteri d’indagini dei giudici tributari in ordine al rapporto d’imposta, che la disposizione intende limitare. Per i giudici della Suprema Corte,se l’oggetto della domanda è la pretesa impositiva e non l’accertamento dell’ invalidità o dell’inefficacia di un atto negoziale, e se, al contrario, l’esistenza e l’efficacia del contratto sono dedotti dal contribuente al fine di paralizzare la pretesa dell’Amministrazione, ne discende, in conformità alla giurisprudenza della stessa Corte (Cass. nn. 1438172007, 11550/2007, 12398/2007), la sicura rilevabilità d’ufficio delle eventuali cause di invalidità o inopponibilità del contratto stesso sempreché, ovviamente, ciò non sia precluso, nella fase di impugnazione, dal giudicato interno eventualmente già formatosi sul punto o (nel giudizio di legittimità) dalla necessità di indagini di fatto. .(SSUU. nn. 300557/30056/30057 del 2008). E’ evidente l’obbiettivo della disposizione di impedire la rilevabilità d’ufficio dell’abuso del diritto, così come consentita dalla giurisprudenza della Suprema Corte.
4) Depenalizzazione della condotta abusiva anche per i processi in corso – eccesso di delega – dubbi di incostituzionalità. In base al comma 13 “Le operazioni abusive non danno luogo a fatti punibili ai sensi delle leggi penali tributarie. Resta ferma l’applicazione delle sanzioni amministrative tributarie.”.La legge n. 23/2014, all’art. 8 ha delegato il governo a revisionare il sistema sanzionatorio penale . In particolare mediantel’individuazione dei confini tra le fattispecie di elusione e quelle di evasione e delle relative conseguenze sanzionatorie, nonché la revisione del regime della dichiarazione infedele e del sistema sanzionatorio amministrativo al fine di meglio correlare, nel rispetto del principio di proporzionalità, le sanzioni all’effettiva gravità dei comportamenti. Ancora, la norma prevede la possibilità di ridurre le sanzioni per le fattispecie meno gravi o di applicare sanzioni amministrative anziché penali, tenuto anche conto di adeguate soglie di punibilità.La disposizione sembra costituire una sorta di delega in bianco, costituzionalmente censurabile. In particolare non viene indicato alcun criterio sostanziale che consenta al delegato di stabilire il grado di pericolosità delle condotte abusive rispetto alle altre condotte evasive. Ma lo schema di decreto delegato con il comma 13 in commento fa molto di più: forzando la delega depenalizza in toto l’elusione fiscale. Appare francamente scandaloso sul piano etico e irragionevole sul piano costituzionale ritenere molto meno grave (fino a prevederne l’irrilevanza penale) il comportamento di chi si sottrae al pagamento di imposte stramilionarie ponendo in essere sofisticate operazioni elusive, appositamente pianificate a tavolino, rispetto alla classica evasione di ingenti somme mediante l’occultamento di ricavi.Con l’ulteriore conseguenza che in base al principio della successione delle leggi nel tempo informato al favor rei (art. 2, comma 4, c.p.) la disposizione si applicherebbe anche ai processi in corso. Con l’ulteriore conseguenza che la disposizione si applicherebbe anche ai processi in corso e se vi è già stata condanna ne cesserebbero l’esecuzione e gli effetti penali (art. 2 c.p.).
5) Condotta abusiva, dubbi sul regime sanzionatorio amministrativo. Nell’ambito dell’art. 10 bis, che pure ai fini del penale si preoccupa di segnare un solco netto tra abuso del diritto e infedele dichiarazione, non si evince direttamente quali sanzioni amministrative si rendono applicabili in caso di abuso del diritto. Non vorremmo che l’ambiguo testo della norma nasconda un’altra insidia. E cioè quella di considerare, anche ai fini del sistema sanzionatorio amministrativo, la violazione del divieto dell’abuso del diritto una fattispecie diversa dalla infedele dichiarazione. Con la conseguenza che, in assenza di una disposizione che punisca espressamente l’abuso del diritto, non venga in alcun modo sanzionata, ipotesi già in passato sostenuta da una parte della dottrina
In conclusione, in assenza di una sostanziale riscrittura della disciplina dell’abuso del diritto è facile prevedere una sensibile ripresa dei fenomeni elusivi/evasivi e tempi duri per l’Amministrazione finanziaria, a meno che la Suprema Corte non ci rimetta ‘le mani’.