back to top
lunedì 10 Marzo 2025
spot_img
spot_img

Abuso del diritto, con le nuove norme elusori “salvi” e col portafoglio pieno

La definizione di condotta abusiva, la depenalizzazione di molti reati fiscali e il pasticcio sul regime sanzionatorio. Norme controverse, in alcuni casi miopi e di dubbia costituzionalità: l’analisi di Oreste Saccone del Centro Studi Lef. (Vai al documento).

Eludere? Si può. Non solo non rischiando nulla sul piano penale, ma cavandosela pure col portafoglio pieno. Eludendo, in pratica, anche le sanzioni. Sono gli effetti (nemmeno troppo collaterali) del decreto attuativo della delega fiscale sulla “certezza del diritto”, che in nome del profitto d’impresa garantirà una sensibile ripresa dei fenomeni elusivi, di cui tra l’altro non sarà facile avere reale contezza visto che il monitoraggio del tax gap italiano non li incorpora. Un risultato che si deve a disposizioni volutamente miopi, in alcuni casi di dubbia costituzionalità; in altri ancora in palese contrasto con l’orientamento assunto sia dalla Corte di Giustizia che dalla Suprema Corte.

Quella delega in bianco. D’altronde, che l’intento fosse quello di ridurre al minimo il carico fiscale e sterilizzare le conseguenze penali lo si era evinto già dal dettato normativo della legge delega n. 23/2014. In particolare dagli artt. 5 e 8, che si preoccupavano di fissare principi e criteri cui il governo avrebbe dovuto attenersi per disciplinare l’abuso del diritto. Ma è in un passaggio contenuto nel Def 2015 che il Governo esce allo scoperto, stabilendo che “l’abuso del diritto sarà disciplinato con l’obiettivo prioritario di tutelare i diritti dei contribuenti e non di difendere le pretese di accertamento dell’amministrazione finanziaria”.

Tante definizioni per nulla. Carta bianca per fare e disfare, quindi. A cominciare dalla definizione di “condotta abusiva”, descritta nei primi due commi dell’art. 10bis: un ibrido che fa ricorso ai concetti di “sostanza economica” e “vantaggi fiscali indebiti (in quanto) in contrasto con l’ordinamento” (ricavate dalla raccomandazione CE n. 2012/772/UE) che lascia ben poco spazio alla infelice formulazione di abuso del diritto contenuta nell’art. 5 della legge delega. Nella sostanza non dovrebbe cambiare nulla però, visto che la clausola antiabuso ha valenza costituzionale e non può contenere paletti di sorta.

Le “specifiche violazioni tributarie”. Un chiaro esempio di miopia è dato invece dal comma 12: “In sede di accertamento l’abuso del diritto può essere configurato solo se i vantaggi fiscali non possono essere disconosciuti contestando la violazione di specifiche disposizioni tributarie”. Una formulazione piuttosto singolare, visto e considerato che la condotta elusiva si realizza con operazioni complesse, non facilmente inquadrabili dal punto di vista giuridico.  Così posto, il comma sembra poi in contrasto con l’orientamento assunto dalla Corte di Giustizia e dalla Cassazione, secondo le quali il meccanismo di abuso costituisce il superamento della forma giuridica per cogliere l’esatta finalità economica di un negozio. C’è poi un secondo problema: la disposizione, fortemente ambigua, non trova riscontro nella legge delega. Ma a preoccupare maggiormente sono gli effetti che una disposizione come questa può generare. I limiti procedurali imposti dalla norma renderanno molto più complicata l’attività d’indagine degli uffici finanziari in sede di accertamento. I quali, in caso di fattispecie complesse, saranno obbligati a indagare ulteriormente per escludere la sussistenza di ipotesi che costituiscono violazioni di norme specifiche. In altre parole si offre un assist niente male all’elusore/evasore, che in sede di giudizio potrebbe servirsi dell’errato inquadramento della fattispecie per vanificare la pretesa del Fisco.

La depenalizzazione dubbia. Decisamente controverso il comma 13: “Le operazioni abusive non danno luogo a fatti punibili ai sensi delle leggi penali tributarie. Resta ferma l’applicazione delle sanzioni amministrative tributarie”. La disposizione trae origine dal dettato della legge n. 23/2014, che delega il governo a revisionare il sistema sanzionatorio penale senza tuttavia fissare alcun criterio. Una delega in bianco, anche in questo caso. Che l’esecutivo “sfrutta” appieno, depenalizzando l’elusione fiscale in toto. Appare francamente scandaloso sul piano etico e irragionevole sul piano costituzionale ritenere molto meno grave (fino a prevederne l’irrilevanza penale) il comportamento di chi si sottrae al pagamento di imposte milionarie ponendo in essere sofisticate operazioni elusive, appositamente pianificate a tavolino, rispetto alla classica evasione mediante l’occultamento di ricavi. In palese contraddizione, tra l’altro, con le valutazioni fatte dallo stesso Ministro dell’economia, che nel Rapporto 2014 sull’evasione fiscale attribuisce valore 5, cioè di massima pericolosità,  alle forme sofisticate di evasione e fenomeni di elusione (rapporti con estero, ingegneria finanziaria, “pacchetti” elaborati da professionisti). Con una beffa ulteriore: la disposizione dovrebbe trovare applicazione anche ai processi in corso, cessando l’esecuzione degli effetti penali qualora ci fosse già stata la condanna.

… E il pasticcio del regime sanzionatorio. A tutto ciò si aggiunge un’ulteriore rebus. Non si comprende, infatti, quali sanzioni amministrative sono applicabili ai casi di abuso di diritto. L’insidia è che la violazione del divieto di abuso venga considerata, sul piano sanzionatorio amministrativo, una fattispecie diversa dalla dichiarazione infedele. Con la conseguenza che la violazione non venga sanzionata affatto. (Vai al Documento)

Dello stesso autore

RISPONDI

Please enter your comment!
Please enter your name here

Altro in Analisi

Rubriche