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domenica 1 Settembre 2024
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Accertamento, da Consulta ok a raddoppio termini in presenza di reato fiscale

Per la Corte Costituzionale la norma è legittima perchè non si tratta né di una riapertura di termini già scaduti, né di reviviscenza di poteri accertativi oramai esauriti, ma di un termine fissato dalla legge, che raddoppia automaticamente in presenza di circostanze oggettive come l’indizio di reato fiscale.

Via libera alla norma che stabilisce il raddoppio dei termini di scadenza per l’accertamento fiscale in presenza di un reato tributario. Non solo, questo può accadere anche se la constatazione della violazione é stata effettuata dopo la scadenza dei termini ordinari. Lo ha deciso la Corte Costituzionale con sentenza n. 247 del 25 luglio 2011. Qualora il contribuente lo richieda, sarà competenza del giudice tributario accertare l’azione imparziale oppure l’uso strumentale della normativa da parte dell’amministrazione per usufruire di tempi più lunghi ai fini dell’accertamento. Ne consegue altresì l’obbligo per i contribuenti e le imprese di conservare i documenti fiscali e quelli relativi alla contabilità per almeno otto anni dalla presentazione della dichiarazione dei redditi.

 

La sentenza della Consulta era attesa dopo che la Commissione tributaria provinciale di Napoli con ordinanza di remissione aveva messo in dubbio la costituzionalità della norma introdotta dal Dl 223/2006 con cui si stabiliva che «in caso di violazione che comporta obbligo di denuncia ai sensi dell’art. 331 del codice di procedura penale» i termini di decadenza dell’azione di accertamento ai fini delle imposte sui redditi e Iva venivano raddoppiati. Quello che la Ctp partenopea aveva ritenuto evidentemente di dubbia costituzionalità riguardava le segnalazioni di reato di una violazione relativa ad un periodo specifico, avvenute oltre i termini di decadenza dell’accertamento propri del periodo stesso. Il caso avrebbe infatti comportato la riapertura dei termini con probabile mancata conservazione dei documenti fiscali da parte del contribuente. Al contrario, la Consulta ha ritenuto legittimo questo raddoppio temporale considerando i termini di decadenza come fissati direttamente dalla legge e non come una «riapertura o proroga di termini scaduti» né di reviviscenza di poteri accertativi oramai esauriti. Questo procedimento, secondo la Corte Costituzionale, scatta automaticamente visto l’obbligo di denuncia penale per i reati tributari e dunque non a discrezione dell’amministrazione.

E’ la sola sussistenza dell’obbligo di denuncia a connotare la fattispecie di illecito tributario: questo comporta la possibilità di applicazione dei suddetti termini di accertamento. Non è necessario dunque che l’obbligo di denuncia non sia stato adempiuto entro il termine breve. A tutela del contribuente il sistema processuale tributario consente poi al giudice di controllare, se richiesto con i motivi di impugnazione, la sussistenza dei presupposti dell’obbligo di denuncia tramite l’accertamento dell’azione imparziale oppure pretestuosa dell’amministrazione finanziaria. Una sentenza, quella della Consulta che nelle sue più dirette conseguenze impone al contribuente un cammino di difesa più difficile. Il primo passo: evidenziare l’assenza dei presupposti per l’inoltro della notizia di reato e la sua strumentalità. La valutazione che a questo punto compete al giudice tributario è però limitata al riscontro dei presupposti dell’obbligo di denuncia penale e non riguarda l’accertamento del reato. Per questo il contribuente, qualora ritenga che la denuncia sia avvenuta in ritardo, potrà esporre il caso alla Procura della Repubblica e qualora ritenga oppure provi poi che l’ufficio di accertamento abbia agito in maniera strumentale, potrà chiedere i danni.

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