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sabato 27 Luglio 2024
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Agenzie fiscali, ripensare l’accesso alla dirigenza tenendo conto della loro specificità

di Pietro De Sensi*

 La sentenza numero 37/2015 della Corte costituzionale desta dubbi e perplessità. Per garantire il rispetto del principio costituzionale del concorso pubblico per l’accesso alla dirigenza finisce per sacrificare, almeno in parte, quello del buon funzionamento. E comunque non tiene conto della specificità delle Agenzie fiscali alle quali andrebbe garantita la stessa autonomia organizzativa della magistratura o dei corpi militari che scelgono i dirigenti con procedure interne. Partendo proprio dalla decisione della Consulta sembra ormai maturo il tempo per un intervento legislativo che facendo perno sull’autonomia organizzativa riconosca alle Agenzie fiscali strumenti adeguati per selezionare al proprio interno le persone a cui affidare ruoli dirigenziali attraverso meccanismi di selezione trasparenti e rigorosi. 

 Una interessante chiave di lettura critica della sentenza numero 37/2015, con la quale la Corte costituzionale ha dichiarato illegittima la norma che, negli ultimi tre anni, ha consentito alle Agenzie fiscali l’attribuzione provvisoria a propri funzionari di posti di qualifica dirigenziale, viene offerta dall’articolo di Giuseppe Farina pubblicato sul sito dell’Associazione Nens

In sintesi Farina sostiene:

1.Ammesso che la lunga e non ben circoscritta continuità nel tempo delle reggenze ne abbia snaturato lo scopo transitorio consentito dalle leggi che le ammettono, si sarebbe dovuto registrare una semplice contrarietà ad una norma ordinaria e non una violazione costituzionale; 

2. Se, come è detto nella sentenza, il passaggio ad una posizione di carriera più elevata è “una figura di reclutamento”e, come tale, soggetta “alla regola del pubblico concorso”, il giudice delle leggi non ha tenuto conto: 

a. Che ancor prima dell’entrata in vigore della Costituzione repubblicana, ma vale ancora oggi, in molte carriere il passaggio a funzioni direttive o dirigenziali non è legata ad una prova di concorso, ma costituisce il naturale sviluppo di una carriera (magistratura, settore militare, forze di polizia, diplomazia, carriera prefettizia); 

b. Che ormai da numerosi anni il rapporto di lavoro di larga parte del personale pubblico è disciplinato dalle norme del codice civile sul rapporto di lavoro subordinato nell’impresa privata, salvo quanto prevede il d.lgs. n. 165/2001 ed in particolare il suo art. 2. 

3. Dunque, la selezione interna ad una pubblica amministrazione per l’accesso ad una posizione più elevata non è necessariamente legata ad un concorso, né per inderogabile regola costituzionale, né per inderogabile legge ordinaria. E l’attribuzione, temporanea o permanente, di posizioni dirigenziali non è affatto subordinata al superamento di un concorso. 

Si tratta di una analisi condivisibile che merita di essere ulteriormente sviluppata. Il percorso motivazionale della sentenza in argomento opera una distinzione tra “l’apparenza” del dato letterale, in base al quale “la disposizione impugnata non si pone in contrasto diretto” con i principi costituzionali,  e “le circostanze di fatto, precedenti e successive” che invece rivelerebbero “l’aggiramento della regola del concorso pubblico”.

In ordine alle circostanze “precedenti” viene richiamato l’art. 24 del Regolamento il cui termine finale stabilito per il conferimento di incarichi dirigenziali a propri funzionari è stato ripetutamente prorogato, fino al 31.12.2012.

Poi è intervenuta la norma impugnata (art. 8, c. 24, D.L. 16/2012) della quale viene svuotata di ragion d’essere tutta la prima parte (“l’indizione di concorsi … è resa possibile da norme già vigenti, che lo stesso art. 8, c. 24 … si limita a richiamare … Inoltre, considerando le regole organizzative interne dell’Agenzia delle entrate e la possibilità di ricorrere all’istituto della delega … la funzionalità delle Agenzie non è condizionata dalla validità degli incarichi dirigenziali …”) e, di conseguenza, viene svelato “l’obiettivo reale … rivelato dal secondo periodo … ove … si fanno salvi i contratti stipulati in passato … e … si consente ulteriormente che … entro il 31 dicembre 2013, le Agenzie attribuiscano incarichi dirigenziali a propri funzionari …”.    

In ordine alle circostanze “successive” si muove una critica alle ulteriori proroghe del termine finale disposte con il D.L. n. 150/2013 e con il D.L. n. 192/2014, ritenendo “indubbio che gli interventi descritti abbiano aggravato gli aspetti lesivi della disposizione impugnata”, poiché “in stridente contraddizione con l’affermata temporaneità”.

Viene poi rafforzato il ragionamento con “un elemento d’incertezza” contenuto nello stesso art. 8, c. 24, laddove il divieto di attribuzione di nuovi incarichi dirigenziali a propri funzionari non è legato ad un termine finale “certo, preciso e sicuro” ma alla indeterminatezza della “assunzione dei vincitori delle procedure concorsuali”.

Il tutto per concludere che “in definitiva, l’art. 8, c. 24 … ha contribuito all’indefinito protrarsi nel tempo di un’assegnazione asseritamente temporanea di mansioni superiori, senza provvedere alla copertura dei posti dirigenziali vacanti da parte dei vincitori di una procedura concorsuale aperta e pubblica”.

Partendo dalle conclusioni della Corte costituzionale, se il discrimine tra la legittimità e l’illegittimità della norma è“l’indefinito protrarsi nel tempo di una assegnazione asseritamente temporanea …” a causa della sussistenza dell’elemento di incertezza individuato nella imponderabilità del momento in cui le Agenzie decidono di assumere l’ultimo vincitore delle procedure concorsuali, considerato che la vertenza si sviluppa in una fase largamente distante dalla conclusione delle procedure concorsuali e, quindi, abbondantemente in anticipo rispetto al potenziale slittamentosine die del termine finale, ben si sarebbe potuto procedere ad una sentenza di rigetto, interpretativa o additiva, volta a fissare in maniera certa il termine finale oltre il quale non si sarebbe potuto più procedere ad ulteriori incarichi. Oppure, volendo tranciare comunque la norma, si sarebbe potuto dichiarare l’illegittimità dell’art. 8, c. 24 limitatamente al periodo finale che poneva l’indefinito termine alla possibilità di conferire ulteriori incarichi. E se proprio si voleva andare oltre, ci si poteva spingere anche alla dichiarazione di illegittimità dell’ultima o di entrambe le successive leggi di proroga, sebbene con maggiore sforzo motivazionale, considerato che il loro termine è senza dubbio “certo, preciso e sicuro”.

Ma inficiare anche la norma fulcro della disposizione impugnata, ossia aver fatto salvi gli incarichi già affidati, rappresenta una posizione giurisprudenziale che sembra andare a confliggere proprio con il canone costituzionale che la sentenza ha inteso tutelare, cioè quell’art. 97, terzo comma, che già in sé reca l’eccezione (“salvi i casi previsti dalla legge”) alla regola che si è dato (“Agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni si accede mediante concorso”). Peraltro, una valida e più che adeguata motivazione all’intero impianto normativo l’ha offerta quello stesso Consiglio di Stato che ha poi sollevato la questione di legittimità costituzionale, allorquando in assenza della copertura legislativa, poi sopraggiunta in corso di causa, aveva concesso un non consueto provvedimento di sospensione cautelare dell’esecutività della sentenza di primo grado, con una motivazione che non richiede alcun commento esplicativo: “sussiste il danno grave ed irreparabile derivante dalla esecuzione della sentenza appellata (ferma ogni migliore valutazione del fumus in sede di esame nel merito della controversia), e ciò in relazione alla funzionalità degli uffici e, quindi, alla correntezza dell’attività amministrativa nel delicato settore dell’amministrazione finanziaria, in tal modo giudicando, nella doverosa comparazione degli interessi coinvolti, prevalente l’interesse pubblico su quello fondante l’azione dell’appellata organizzazione sindacale”.

Di fronte ad una simile situazione, l’attenzione di un Governo previdente (nell’adottare il decreto-legge in corso di causa per mettere in sicurezza lo stesse bene pubblico precariamente tutelato dal Consiglio di Stato con la concessione della sospensiva) e la conferma in sede legislativa, pur nella loro discutibile formulazione letterale, non possono non rientrare a pieno titolo nelle possibilità consentite dalla Costituzione. Nella sentenza, per contro, la vicenda è descritta come un maldestro tentativo di aggiramento della regola del concorso pubblico, compiuto dalle Agenzie con il contributo del legislatore.

In buona sostanza, se il punto di rottura della tenuta costituzionale di questa norma è costituito dall’infelice formulazione del momento finale oltre il quale si sarebbe dovuta interrompere l’assegnazione degli incarichi ex art. 24, la decisione di inficiare l’intero blocco normativo e non limitarsi alla censura di quest’ultimo inciso ha finito per compromettere in maniera molto grave proprio il canone costituzionale di efficienza e buon funzionamento dell’amministrazione pubblica al cui perseguimento tende lo strumento del concorso pubblico, eletto dalla costituzione quale mezzo per la provvista dei pubblici dipendenti, privilegiato sì ma non esclusivo, in quanto fa salvi i casi previsti dalla legge.

Ma se il commento critico alla decisione, comunque insindacabile e da rispettare, della Corte costituzionale di dichiarare l’illegittimità dell’intero art. 8, c. 24, del D.L. n. 16/2012, è il presupposto per l’atteso urgente intervento del Governo a normalizzare il buon funzionamento dell’amministrazione finanziaria seriamente compromesso dagli indiretti effetti di questa pronuncia, una maggiore riflessione ed approfondimento, soprattutto per quello che bolle in pentola de jure condendo, è il passaggio argomentativo riferito alla mansioni superiori (art. 52 del d.lgs. n. 165/2001) e alle reggenze (art. 20 del d.p.r. n. 266/1987) che, troppo semplicisticamente, liquida la partita dei dubbi di legittimità dell’art. 24 del regolamento agenziale sul presupposto della non riconducibilità di questa previsione regolamentare né sotto il cappello delle mansioni superiori (perché si applicano solo alla classificazione del Comparto e non alle funzioni dirigenziali), né sotto il cappello delle cd. reggenze (perché limitate a cause imprevedibili e condizionate dall’avvio del procedimento per la copertura del posto vacante).

Nessun accenno alla peculiarità della fonte legislativa dalla quale prendono vita le agenzie (d.lgs. n. 300/1999) ed in particolare alla specialità delle disposizioni sulle agenzie fiscali e alla importante potestà regolamentare ad esse attribuita dall’art. 71 del richiamato d.lgs. 300, che sul tema delle regole per l’accesso alla dirigenza è stato troppo frettolosamente messo in soffitta a seguito della pronuncia del TAR Lazio sul primo concorso pubblico a 300 posti di dirigente nell’Agenzia delle entrate.

Come pure nessun accenno alle vicissitudini dell’art. 28 del d.lgs. n. 165/2001 recante le norme per l’accesso alla dirigenza, le cui ripetute modifiche e la cui stretta dipendenza operativa dai decreti attuativi ne hanno per lunghi anni impedito un proficuo utilizzo.

Come anche si tace sulle più volte emendate disposizioni di cui all’art. 19, recanti le modalità di conferimento degli incarichi dirigenziali e le percentuali per il conferimento dall’esterno (molto meno ampie rispetto all’omologa norma del testo unico per gli enti locali). E si tace pure sulle alterne vicende dell’art. 23 relativo ai ruoli dei dirigenti, poi divenuto ruolo unico, successivamente ritornato al modello separato ed oggi in procinto di ulteriori cambiamenti.

Sicuramente tanta carne al fuoco che certamente avrebbe potuto meglio giustificare e contestualizzare la storia dell’art. 24 del regolamento delle agenzie fiscali ma che, su un piano più generale, può oggi risultare particolarmente interessante nella prospettiva de jure condendo, in ordine ai lavori parlamentari in corso sull’AS 1577 recante la“Riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche”.

* Dirigente pubblico, già incaricato di funzioni dirigenziali nell’Agenzia delle entrate.

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