Fisco Equo pubblica la relazione di Massimo Romano* sugli schemi di decreto relativi alla revisione dell’organizzazione delle agenzie fiscali e alla razionalizzazione delle norme in materia di riscossione, presentata in commissione finanze della Camera in occasione del seminario istituzionale sul sistema fiscale più equo. (Vai al documento)
Non poche sono le contraddizioni e gli errori che hanno caratterizzato in questi ultimi anni le scelte politiche in materia fiscale. Dalla mancanza di un’effettiva strategia di contrasto all’evasione alla confusa gestione della fiscalità, fino agli improvvisi stravolgimenti normativi (si pensi allo strumento del redditometro) poi rivelatisi del tutto inefficaci. Né si può dimenticare la discutibile riorganizzazione degli uffici territoriali o il poco razionale accorpamento voluto per le agenzie, che a fronte di riduzioni di spesa dubbie e in ogni caso marginali, ha determinato confusione e difficoltà fra le diverse missioni. O, ancora, il progetto del fisco telematico avviato alla fine degli anni ’90 e in buona parte ancora inattuato anche per via dei problemi di coordinamento tra Agenzia delle entrate e Sogei.
Problematiche mai realmente risolte cui ora si è aggiunta la questione dei funzionari incaricati delle agenzie fiscali, decaduti dopo la sentenza della Corte Costituzionale. Una situazione che sta gravemente compromettendo la funzionalità della macchina fiscale e mette a rischio l’autonomia stessa delle agenzie.
Per comprendere la portata del problema occorre richiamare il d.lgs 300/1999 che è all’origine dell’attuale sistema agenziale. In quel decreto, il Legislatore aveva disposto che le agenzie si dotassero di un proprio regolamento di amministrazione, nella convinzione che la modalità di selezione del personale dirigente non potesse essere materia estranea alla sfera di autonomia dell’amministrazione fiscale. Una previsione doppiamente innovativa, perché da un lato riconosceva la natura specialistica delle agenzie; dall’altro consentiva ad esse di plasmare dirigenti con spiccate capacità manageriali e doti di leadership, oltre a solide competenze tecnico-tributarie e organizzative. Relativamente all’Agenzia delle entrate, nell’art. 24 del regolamento di amministrazione era disciplinato l’iter selettivo: prima una procedura concorsuale pubblica, poi un periodo di tirocinio teorico-pratico finalizzato a verificare il possesso delle capacità funzionali all’incarico dirigenziale. Il tutto dietro un apposito sistema trasparente di misurazione e valutazione delle competenze. L’obiettivo, in sintesi, era quello di superare il modello burocratico-formale tipico delle amministrazioni pubbliche, prevedendo un modello di progressione della carriera che premiasse il risultato più che la conoscenza nozionistica delle procedure.
Quella che fino ad oggi è stata un’esperienza di successo nel panorama italiano, rischia ora di essere travolto sotto gli occhi distratti della politica. L’orientamento assunto dal Tar del Lazio e poi quello della Consulta hanno azzerato le scelte fatte nel 1999 e fatto venir meno uno degli elementi costitutivi dell’autonomia agenziale, l’organizzazione. E con esso, viene meno anche il riconoscimento dell’Agenzia quale amministrazione specialistica, al pari, ad esempio, di forze armate e Banca d’Italia. In questo senso la soluzione di bandire un nuovo concorso per soli esami entro la fine del 2016 equivale a una resa, perché ammette implicitamente che nelle amministrazioni pubbliche non c’è posto per il merito, per la progressione di carriera come riconoscimento per i risultati ottenuti sul campo. Come se fare bene il proprio lavoro non fosse abbastanza per meritare una promozione. Un assunto discutibile che si deduce anche dalla quota del 30% che verrebbe riservata ai funzionari interni all’Agenzia: chiunque, anche senza esperienza, potrebbe aspirare al ruolo di dirigente, scavalcando ingiustamente chi all’interno dell’Agenzia ha dimostrato di ottenere risultati. E, d’altro canto, appare del tutto irrealistica l’idea che si possano formare dirigenti attraverso Scuole esterne che, nella migliore delle ipotesi, potranno arricchire il bagaglio nozionistico dei candidati.
Stesso discorso vale per la previsione, anch’essa contenuta nel decreto di riordino delle agenzie fiscali, di ridurre del 10 per cento il corpo dirigenziale. Gli spazi ci sarebbero, ma a patto che si introducano strumenti per la valorizzazione della professionalità degli operatori delle agenzie. È utile ricordare in tal senso che l’aumento delle posizioni dirigenziali, e i conseguenti incentivi economici riconosciuti in questi anni, sono risultati indispensabili per riconoscere il delicato lavoro di alcuni funzionari dell’Agenzia. Si consideri chi si occupa delle verifiche sui soggetti internazionali, o chi presidia il ruling, o ancora chi si occupa delle vertenze più complesse: hanno mansioni ben più delicate di chi coordina un gruppo di collaboratori. In relazione a tale esigenza, l’ordinamento aveva risposto con l’introduzione delle PO (le posizioni organizzative), che però si sono rivelate insufficienti per il carattere specialistico dell’Agenzia delle entrate, all’interno della quale operano tanti funzionari contesi con la consulenza privata. Per ovviare al problema sono state create le POS (posizioni organizzative speciali) che, almeno parzialmente, potrebbero servire per tamponare l’emorragia nell’organico e al contempo rispondere all’esigenza di ridurre le posizioni dirigenziali.
Criticità rilevanti se ne trovano anche nello schema di decreto sulla semplificazione e razionalizzazione delle norme in materia di riscossione. Contrariamente allo schema teorico, basato sull’adempimento spontaneo e nel quale l’azione degli agenti di riscossione dovrebbe essere tendenzialmente limitata al recupero delle somme dovute dai soggetti che non aderiscono ai meccanismi di definizione bonaria, nella realtà italiana, sta prendendo piede il fenomeno delle imposte dichiarate e non versate. Secondo i dati diffusi dall’Agenzia delle entrate, nel 2011 le imposte dichiarate e non versate sono state pari a 11,5 miliardi, ma se si considera il quadriennio 2008-2011 la somma complessiva raggiunge la quota record di 36,3 miliardi. L’omesso versamento si conferma pratica sempre più utilizzata per finanziare impropriamente le imprese in difficoltà, col rischio concreto di insolvenza ai danni dello Stato e compromissione dell’azione di riscossione. Quel che emerge, insomma, è che la posizione dello Stato è più debole di quella di qualsiasi creditore privato.
Per questo motivo appare poco convincente l’idea di allargare ulteriormente le maglie per i debitori per i quali l’insolvenza sia ormai evidente. Nello schema di decreto si prevede la possibilità di nuova rateizzazione dei debiti tributari anche per chi non ha adempiuto alla rateizzazione precedente. Per superare queste problematiche potrebbero essere previsti una serie di interventi volti a favorire la semplificazione delle procedure e il contenimento dei contenziosi: dall’introduzione di un sistema informatizzato che consenta all’ente pubblico di valutare la qualità del credito e la effettiva solvibilità del debitore, passando per l’introduzione del pagamento della cartella tramite modello f24, fino all’eliminazione dei limiti generalizzati alla pignorabilità. (Vai al documento)
* (L’autore è stato direttore del Dipartimento delle entrate dal 1996 al 2000 e direttore dell’Agenzia delle entrate nel 2001 e dalla fine del 2006 al maggio 2008. Attualmente è consigliere della Corte dei conti)