Per pagare meno Irpef sono sempre di più i coniugi che attuano separazioni fittizie. In pratica si tratta di una sorta di quoziente familiare ‘fai da te’ che nel caso di famiglie monoreddito con un imponibile medio-alto consente risparmi significativi
di Carlo Di Iorio
La pianificazione fiscale, un tempo prerogativa assoluta delle imprese, coinvolge sempre più anche le famiglie. E così vi sono coppie che si dividono sulla carta per pagare meno Irpef, ma anche coppie che vivono insieme, ma non si uniscono in matrimonio per non perdere vantaggi fiscali o comunque legati ai servizi sociali. Il fisco, dunque, è sempre più elemento decisivo anche nella scelta del tipo di rapporto legale tra persone dello stesso nucleo. Nturalmente è necessario che il reddito percepito dal contribuente che sostiene il nucleo sia di importo significativo per determinare un risparmio d’imposta apprezzabile. Nel caso di un imponibile di 80.000 euro si può arrivare a risparmiare anche 5.000 euro.
Nei giorni scorsi il Sole 24 ore in un articolo dal titolo ‘Rinuncia al marito e a vrai la detrazione che ti spetta’ ha raccontato la vicenda di una signora, alla quale una combinazione diabolica di varie norme impedisce di fruire della pensione minima di 500 euro mensili perchè considerata troppo “ricca” per via del reddito del consorte (deve pertanto accontentarsi di una pensione maturata di 192 euro mensili); per lo stesso motivo deve pagare i tickets ed inoltre, per il fatto di possedere un reddito personale troppo basso, non può usufruire di alcune deduzioni o detrazioni d’imposta. La via d’uscita da tale “corto circuito normativo” viene argutamente individuata nella separazione consensuale, peraltro correttamente rifiutata dalla signora. Si tratta comunque di una casistica diffusa. Non sono poche le persone che hanno aderito alla separazione consensuale (formale e non reale). Proviamo ad approfondire il perchè facendo un po’ di conti.
Il signor Francesco, da sempre ligio ed onesto contribuente, possiede un reddito complessivo annuo di 80.000 euro, l’unico della famiglia, composta dalla moglie, priva di redditi, e da due figli studenti. Ipotizziamo che Francesco e sua moglie, a causa di sopravvenute esigenze familiari di carattere economico, spinti e convinti dalle intuibili ragioni di convenienza manifestate dall’immancabile amico furbo e bene informato, decidano di separarsi (pro forma) consensualmente, concordando un assegno annuale di mantenimento di 20.000 euro al coniuge e di 7.500 euro per ognuno dei due figli. Attualmente Francesco (che per semplicità di calcolo non dispone di oneri deducibili o detraibili), commisura l’imposta ad un reddito imponibile di 80.000, euro, costituito per 79.335 euro da lavoro dipendente e per 665 euro da un immobile “a disposizione” (rendita catastale di 500 euro aumentata di 165 euro, pari ad un terzo). Non può fruire di detrazioni per il coniuge e figli a carico in quanto il suo reddito supera il limite di 75.000 euro e pertanto paga una Irpef di 27.570 euro, cui si aggiun- gono addizionali comunali e regionali (ipotizzate al 2%) di 1.600 euro, per un totale di 29.170 euro.
In caso di separazione consensuale Francesco decurterà dal proprio reddito l’importo di 20.000 euro corrisposto al coniuge ( importo che diventerà tassabile per quest’ultimo),non potrà fare lo stesso per l’ammontare di 15.000 corrisposto per i due figli (comunque non tassabile per questi ultimi), ma potrà usufruire (come anche la moglie) delle detrazioni d’imposta per i figli a carico. Nella nuova situazione fiscale Francesco avrebbe un imponibile di 60.000 euro e pagherebbe una imposta Irpef corrispondente 19.270 alla quale vanno aggiunte le addizionali comunali e regionali (2%) per un importo di 1.200 euro e sottratte le detrazioni per i due figli a carico per un importo di 364 euro. L’imposta dovuta sarebbe di 20.106 euro Il coniuge invece con un imponibile di 20.000 euro pagherebbe una imposta Irpef corrispondente di 4.800, addizionali comunali e regionali (2%) per 400 euro e godrebbe di detrazioni per i due figli a carico per 655 euro. L’imposta dovuta sarebbe di 4.545 euro. Considerando i due coniugi ‘separati’ avremmo una imposta complessiva di 24.651 euro contro i 29.170 pagati in precedenza dal solo Francesco con un risparmio d’imposta di 4.519 euro.
Per chiudere il cerchio, non potendo più risiedere ufficialmente (ma di fatto continuerà a farlo) insieme alla propria moglie (separata) ed ai due figli, Francesco trasferirà la sua residenza nell’immobile sinora tenuto “a disposizione” (un appartamento ereditato, posto a 30 chilometri da quello utilizzato da moglie e figli e dalla sua sede di lavoro). In tal modo, si accorgerà di realizzare altri risparmi d’imposta. Infatti la nuova casa, costituendo per lui “abitazione principale”, non sarà più soggetta ad imposte erariali (prima scontava, all’aliquota del 43%, un’imposta IRPEF di 286 euro ed all’aliquota del 2% addizionali comunali e regionali di 13 euro, il tutto per complessivi 299 euro), e non sarà soggetta nemmeno ad Ici (prima, ad una aliquota del 7 per mille, l’abitazione incideva per circa 350 euro). Tra l’altro, presentando al (nuovo) Comune di residenza apposita istanza, otterrà una riduzione della Tarsu perchè il proprio nucleo familiare risulterà composto da una sola persona e tale minor esborso, diverso a seconda di quanto stabilito dal relativo regolamento comunale, di norma sarà almeno pari (quando non sarà superiore) all’aggravio derivante dal contestuale venir meno della riduzione prima spettante quale titolare di abitazione “a disposizione”. Alla fine del conto, tralasciando la Tarsu, il signor Francesco risparmierà 5.168 euro (4.519 + 299 + 350). Il che vorrà dire aver aumentato il proprio stipendio netto mensile di 430,66 euro per dodici mensilità. Ma non finisce qui, perchè a seguito della separazione per il signor Francesco ci saranno anche altre positive conseguenze, e cioè: Francesco, per la sua “nuova prima casa” pagherà i consumi (energia elettrica, gas etc…) in base alla tariffa agevolata per “residenti; i due figli avranno buone possibilità di fruire, a causa del relativamente basso reddito della madre, di diverse agevolazioni (sussidi scolastici, borse di studio, viaggi premio, soggiorni estivi, etc…). Insomma, un vero . . .bingo !!!
A questo punto, due considerazioni finali: la prima è che il comportamento del signor Francesco, per quanto comprensibile sul piano umano, non può essere assolutamente giustificato, perchè del tutto contrario a qualsiasi principio di legalità, ed oltretutto diseducativo nei confronti dei figli. La seconda è che non vale dire, sempre a titolo giustificativo, che in fondo il signor Francesco ha “solo” anticipato l’attuazione del quoziente familiare di cui ormai si discute da decenni, che consiste essenzialmente nella suddivisione tra i coniugi e/o figli dei redditi del nucleo familiare. Non è certo questa la sede per affrontare il problema del quoziente familiare, sicuramente meritevole di analisi ben più approfondite; basti solo osservare che comunque il quoziente non si rivela una buona soluzione se si riduce ad una pura e semplice redistribuzione reddituale, perchè in tal caso di esso beneficerebbero solo le famiglie con un solo reddito di importo medio-alto. Infine, una domanda: quanti sono i Francesco d’Italia ? La sensazione è che le separazioni simulate siano numerose, più di quanto si possa ragionevolmente immaginare, per cui sarebbe auspicabile su tali fattispecie una intensificazione dei controlli da parte dell’Amministrazione finanziaria. E se poi dai riscontri operativi la sensazione dovesse trovare conferma, forse potrebbe rivelarsi utile subordinare la deducibilità della spesa alla effettività del suo pagamento (all’uopo prevedendo la tracciatura del relativo assegno/bonifico) in modo da scoraggiare in radice comportamenti anomali e da facilitare i controlli del fisco sulla reale destinazione ed utilizzazione delle somme.