Il 28 febbraio 2017 sono state pubblicate sul sito del Dipartimento delle Finanze i primi dati sulle dichiarazioni Irpef relative al 2015. Salta all’occhio innanzitutto quanto, sempre di più, l’Irpef stia ormai diventando l’imposta dei percettori di reddito da lavoro dipendente e da pensione. L’82% del reddito è prodotto dalle due categorie, che rappresentano l’89% dei contribuenti. Il reddito complessivo ammonta ad un valore medio di 20.690 euro. A vantare un reddito dichiarato più elevato sono i lavoratori autonomi con una media pari a 38.290 euro, mentre il reddito medio dichiarato dagli imprenditori è pari a 19.990 euro. Il reddito medio dichiarato dai lavoratori dipendenti è pari a 20.660 euro, quello dei pensionati a 16.870 euro e, infine, il reddito medio da partecipazione in società di persone ed assimilate risulta di 17.020 euro. In merito al lavoro dipendente è interessante notare come i lavoratori a tempo indeterminato sono 16 milioni, +2,1% rispetto al 2014 ma dichiarano un reddito medio pari a 23.068 euro ovvero -1,3% rispetto all’anno precedente. Praticamente anche le analisi del Dipartimento delle Finanze confermano la bolla (già collassata) di contratti a tutele crescenti, aggiungendo però che tali contratti sono stati più poveri di retribuzione, oltre che di diritti. I lavoratori dipendenti a tempo determinato vantano invece un reddito medio di 9.633 euro. Il Bonus fiscale di 960 euro annui è una corposa riduzione delle imposte per i lavoratori dipendenti (10 miliardi), ma fin dalla sua nascita sconta una serie di limiti importanti.
Innanzitutto il suo essere in cifra fissa mensile che, se diventa un marchio di riconoscibilità politica rende tuttavia il “Credito art.1 DL 66/14” anche conosciuto come gli 80 euro di Renzi, molto simile ad una detrazione non scalare, non proporzionata al reddito, e quindi mal integrata col sistema delle detrazioni. Non comportandosi come tutte le detrazioni, che si interrompono una volta raggiunta l’area dell’incapienza, ha sì il vantaggio di diventare, per i redditi bassi, una sorta di imposta negativa, ma si trasforma in un debito fiscale improponibile quando, per i più disparati motivi, un reddito lordo annuo che si prevedeva ad esempio pari a 9.000 euro scende a 8.000 euro. In quel caso un lavoratore già povero si ritrova a dover versare un importo pari al 12% del suo reddito annuo. In secondo luogo, nella fascia tra i 24.000 e i 26.000 euro l’effetto del bonus è massimamente distorsivo, comportando, negli incrementi di reddito che si collocano in questo intervallo, un aumento di tasse di di 79,50 euro per ogni 100 euro di incremento, in questo modo rischiando di vanificare l’effetto netto di aumenti contrattuali o scatti di anzianità.
In terzo luogo, modulandosi in base al reddito complessivo, può essere erogato a contribuenti molto facoltosi che magari beneficiano di grandi affluenze non inserite nel reddito complessivo stesso. E’ ormai il secondo anno nel quale si verificano questi problemi, che la CGIL aveva evidenziato già
nel giugno 2014, ed è prevedibile che questi continuino a ripersi in futuro finché non verranno corretti i difetti che hanno caratterizzato questo provvedimento. La Cgil non contesta di certo la finalità di questo intervento, dare sollievo ai redditi da lavoro, né l’entità delle risorse messe in campo, quanto invece il processo unilaterale e populista da cui questo è disceso, l’obiettivo più di consenso verso il leader che di una seria riforma del prelievo sul lavoro dipendente, l’aver totalmente ignorato le rappresentanze di quei lavoratori per cui si stava intervenendo, al punto di utilizzare il bonus, al contrario, per delegittimarne l’operato ed i risultati. Anche nelle dichiarazioni dei redditi presentate nel 2016 il Dipartimento delle Finanze ci mostra, tra le altre cose, che oltre un milione e 700 mila contribuenti hanno dovuto restituire, in tutto in parte, il bonus di 80 euro. Il dato in sé non sarebbe una novità. Da sempre, infatti, in sede di dichiarazione dei redditi alcuni contribuenti devono restituire detrazioni non spettanti. Peraltro il dato è molto vicino al milione e mezzo di contribuenti che, invece, in sede di dichiarazione il bonus lo hanno percepito, non avendolo avuto applicato in busta paga. Tale restituzione al fisco del bonus deriva nella quasi totalità dei casi da una errata applicazione delle detrazioni da parte del sostituto d’imposta, in gran parte causata da una non corretta valutazione del reddito complessivo annuo del lavoratore. Potremmo suddividere i contribuenti che hanno dovuto restituire tale somma, per semplicità, in tre
fasce di reddito:
1)Coloro che hanno un reddito complessivo superiore a 26.000 euro e che hanno comunque percepito il bonus dal proprio datore di lavoro. L’errore può essere stato causato da una non corretta informazione del lavoratore stesso in merito ai propri redditi diversi da quello da lavoro prodotto in azienda o dall’eventualità che nel corso dell’anno abbiano avuto un innalzamento del reddito. Rappresentano circa il 29% di chi ha restituito il bonus. Coloro che hanno un reddito complessivo tra gli 8.147 euro e i 26.000 euro sono probabilmente lavoratori che hanno avuto nel corso dell’anno più datori di lavoro, o lavoratori a tempo determinato
o percettori di trattamenti assimilati nel 2015 per un periodo inferiore all’anno, oppure lavoratori che, come quelli di cui al punto 1 hanno visto il proprio reddito complessivo aumentare ma che continuano ad aver residuo diritto al bonus stesso, perché il loro reddito resta nella fascia 24.000-26.000 euro. Sono circa il 44% e hanno importi medi di restituzione più bassi, segno che hanno dovuto rendere all’erario quote parte degli 80 euro. 3)Lavoratori che, a causa di errori del sostituto d’imposta, o più sfortunatamente perché hanno avuto una diminuzione di reddito in corso d’anno (es. a causa di cassa integrazione, perdita del lavoro, diminuzione delle ore), hanno percepito il bonus indebitamente in quanto diventati incapienti. Sono circa il 27% del totale, e sono quelli che vengono definiti “troppo poveri per accedere al bonus”. In questi casi la richiesta di restituzione fiscale in sede di dichiarazione diventa un evento di difficile gestione, e che può seriamente mettere in crisi le finanze di una famiglia già indigente.
Bonus 80 euro: Cgil, detrazione distorsiva premia i ricchi penalizza i poveri
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