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martedì 29 Aprile 2025
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Caos dirigenti, Lupi: “Sentenza giusta, ma gli atti sono validi”

Intervista a Raffaello Lupi, esperto di diritto tributario, sulla questione dei 1.200 dirigenti delle agenzie fiscali “illegittimi” e sulla validità degli atti, sui quali si temono valanghe di ricorsi.  

«La sentenza della Corte Costituzionale non è giusta, è giustissima». Per Raffaello Lupi, professore ordinario di Diritto tributario presso la facoltà di Giurisprudenza dell’università Tor Vergata di Roma, non ci sono dubbi sulla bontà della decisione presa dalla Consulta, che ha dichiarato illegittimi 1.200 dirigenti delle agenzie fiscali nominati senza concorso. Sia perché ha accertato che l’assegnazione degli incarichi è stata arbitraria, a danno di tanti funzionari titolati, sia perché pone un freno al numero di dirigenti («troppi», dice). 

Quindi Professor Lupi, la sentenza va nella direzione giusta?

Intanto va detto che solleva un problema che in realtà riguarda tutte le amministrazioni, non solo le agenzie fiscali. Un problema latente dai primi anni ’90, quando si fece largo l’idea che per accedere ai ruoli dirigenziali si dovesse passare per concorsi di secondo livello. Che, come procedura, può andare anche bene per alcune amministrazioni dove c’è un dislivello di competenze tra dirigenti e impiegati “esecutivi” o “di concetto”, ma non per tutte. Penso a quelle più specialistiche come l’Agenzia delle entrate, dove c’è un numero proporzionalmente elevato di funzionari direttivi preparati, con competenze già certificate dal concorso d’ingresso e tecnicamente adeguati ai ruoli dirigenziali. È qui che incide giustamente la sentenza della Corte Costituzionale, che in pratica dice: siccome questi funzionari hanno conoscenze teorico-pratiche assimilabili a quelle dei dirigenti “incaricati”, il criterio con cui questi incarichi sono stati assegnati è discriminatorio. In tutti i sensi.

Ad esempio?

Anzitutto sulla retribuzione. Se è vero che il bagaglio tecnico e professionale è lo stesso, non è accettabile che i coordinatori guadagnino più del doppio rispetto ai coordinati. Anche perché sono i funzionari a svolgere in prima persona gli accertamenti, mentre i dirigenti si limitano alla supervisione e all’organizzazione del lavoro degli altri. Per fare questo lavoro, di apicali ce n’erano pure troppi.

Perché nominarli senza concorso, allora?

In parte perché c’è una competizione salariale col settore privato, che ha spinto l’Agenzia a utilizzare la leva degli incarichi dirigenziali per incentivare economicamente alcuni rispetto ad altri. Da qui si è posto il problema della mancanza di trasparenza nella scelta.

Di troppa discrezionalità parlava anche Renzi qualche settimana fa.

Sì ma un conto è la discrezionalità nel calcolo dell’imposta, connaturata a qualsiasi stima della ricchezza  e comunque facilmente controllabile. Un altro è l’arbitrarietà nella scelta dei dirigenti. Chiariamo: io sono un fautore della discrezionalità, perché non si può non considerare l’‘intuitus personae’, però bisogna darne conto. Per questo le invalidità nell’attribuzione degli incarichi ci sono e sono pesanti, ma da qui a dire che hanno rilevanza esterna, sugli atti di accertamento, ce ne corre.

Alcuni però sostengono che se il dirigente è illegittimo, lo sono a cascata anche gli atti da lui firmati.

Anche qui si tende a semplificare, pensando che se un criterio è illegittimo lo è automaticamente anche tutto il resto. In realtà il concetto di illegittimità, come tutti i concetti giuridici, è relativo e può investire singoli profili senza per questo inficiarne altri. In questo caso la Corte ha dichiarato illegittimi i funzionari “incaricati” non perché non avevano i requisiti tecnici e professionali per fare i dirigenti, ma perché sono stati scelti in modo discrezionale. Se avessero dato gli incarichi a individui senza conoscenze tecnico-giuridiche,  magari solo con la licenza media  allora sì, gli atti d’accertamento sarebbero viziati. Ma qui il problema è semplicemente nell’organizzazione del lavoro interno, e la sentenza va a tutela del principio del buon funzionamento dell’ufficio, non dell’interesse dei contribuenti.

Quindi tutti gli atti sono validi?

Non è detto. Ci possono essere dei casi in cui il dirigente “incaricato” abbia fatto pasticci, creato disfunzioni organizzative che si riflettono sui contribuenti,  ad esempio indotto i propri funzionati a trascurare  il contraddittorio coi contribuenti, o a comportarsi in modo irrazionale nella fase anteriore all’accertamento: in questi casi la sentenza può rafforzare i vizi presenti nell’atto, che vanno comunque indicati dal contribuente.

Tornando alla questione dei dirigenti, l’idea di attribuire deleghe di funzione o posizioni organizzative speciali la convince?

Assolutamente sì, anche perché come ho detto non c’è bisogno di tutti questi dirigenti che controllano, visto che poi la responsabilità dell’atto è di chi lo fa, soprattutto per la massa di controlli su piccole posizioni, in genere di lavoro indipendente, dove è particolarmente necessario il controllo valutativo del territorio da parte degli uffici. Basterebbe dare una delega di supervisione a un funzionario cui si riconoscono capacità organizzative, che controlli gli accertamenti del suo reparto.

Secondo lei va cambiato l’assetto organizzativo dell’Agenzia delle entrate?

Sì, andrebbe adattato il modello amministrativo alla particolare professionalità dell’agenzia. Quanto agli incarichi dirigenziali, si può pensare di attribuirli attraverso scrutini di merito, sulla base di note di qualifica fatte di anno in anno. Oppure attraverso sistemi di autovalutazione e valutazioni reciproche da parte di colleghi e del dirigente. Altrimenti procedure paraconcorsuali: si fa un test di idoneità e poi si effettua una scrematura in base alle valutazioni fatte in ufficio e in relazione alle caratteristiche del singolo. Il classico concorso coi “temini” rischia di favorire il ” bello scrivere” rispetto alla capacità di gestire le situazioni, e quindi la valutazione dei dirigenti sullo “stato di servizio” è importante. Ma dev’essere condivisa e trasparente.

Antonio Biondi 

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