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sabato 5 Ottobre 2024
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Cassazione: spoliazione società “drenando” liquidità è bancarotta fraudolenta

La spoliazione della società attraverso un continuo e ingiustificato drenaggio di denaro configura il reato di bancarotta fraudolenta. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, Sez. Penale,  con la Sentenza n. 39674 del 29.09.2023, confermando la decisione dalla Corte d’Appello che nella sentenza di condanna aveva rimarcato l’esistenza di una sistematica prassi dell’amministratore, finalizzata al drenaggio di liquidità in danno della società, poi fallita. I prelievi avvenivano peraltro con motivazioni del tutto generiche (prestito, giroconto, prelevamento) e con operazioni prive di supporto documentale.

Nel caso di specie, l’imputata aveva, in particolare, distratto rilevanti importi, mediante ingiustificati prelevamenti di cassa ovvero dai conti bancari della società, in contropartita al conto crediti diversi.

I giudici di merito avevano accertato, da una parte, l’elemento oggettivo della concreta pericolosità del fatto distrattivo, e, dall’altra, l’elemento soggettivo, rappresentato dal dolo generico, valorizzando, quale “indice di fraudolenza”, la condizione patrimoniale e finanziaria dell’impresa, il contesto in cui la società operava e l’accertamento, in capo all’agente, della consapevolezza e volontà della condotta in concreto pericolosa.

I giudici di legittimità, nel confermare la sussistenza del dolo, sottolineano il carattere continuativo e ripetuto delle operazioni di prelevamento dalla cassa, senza che mai i prelievi fossero documentati e senza che mai fosse descritta, in modo dettagliato, la relativa scrittura, come vorrebbe invece la corretta tecnica di redazione di bilancio, in base a principi di trasparenza e chiarezza.

Peraltro, sottolinea la Suprema Corte, l’importo complessivo dei prelievi era consistente (superava il milione di euro) e non trovava alcuna giustificazione economico-finanziaria, avendo anzi i prelevamenti di fondi reso del tutto priva di “cassa”; la società proprio nel momento in cui era entrata in difficoltà, con conseguente fallimento.

Anche negli anni precedenti, del resto, gli utili raggiunti erano stati di esigua consistenza, dovendosi quindi considerare quanto meno poco “prudenti”, secondo i normali principi di oculatezza della gestione societaria, i prelievi di contanti o daconto corrente, senza, come detto, alcuna giustificazione.

In un tale contesto, pertanto, rileva la Cassazione, sussisteva senz’altro il delitto di bancarotta per distrazione, fattispecie incriminatrice da qualificarsi come reato di pericolo concreto.

A prescindere dallo specifico caso processuale, in termini più generali, giova comunque anche sottolineare lo stretto rapporto che sussiste tra evasione fiscale e bancarotta fraudolenta, anche considerato che, spesso, la società viene “portata” al fallimento proprio per evitare il pagamento dei debiti tributari, accumulati tramite omessi versamenti (senza neppure il bisogno di particolari “artifici”).

In tema di bancarotta fraudolenta fallimentare, le operazioni dolose possono dunque ben consistere anche nel sistematico inadempimento delle obbligazioni fiscali e previdenziali, frutto di una consapevole scelta gestionale da parte degli amministratori della società, da cui consegue il prevedibile aumento della esposizione debitoria societaria nei confronti dell’Erario e degli enti previdenziali.

In tali casi, l’accertamento dell’elemento oggettivo della concreta pericolosità del fatto distrattivo e del dolo generico dovrà pertanto valorizzare la ricerca di indici di fraudolenza, rinvenibili, ad esempio, nella disamina della condotta alla luce della condizione patrimoniale e finanziaria dell’azienda e nell’accertamento, in capo all’agente, della consapevolezza e volontà della condotta pericolosa.

Ai fini della individuazione dei detti indici di fraudolenza assume così rilevanza la sussistenza di condotte di spoliazione dell’mpresa poi fallita, che mettano in pericolo la “salute” economico-finanziaria dell’impresa, laddove, a mente dell’art. 2392 c.c., gli amministratori devono adempiere ai doveri imposti dalla legge e dall’atto costitutivo con la diligenza richiesta dalla natura dell’incarico e dalle loro specifiche competenze.

Tra gli obblighi di diligenza rientra del resto, chiaramente, anche quello di corretta gestione e conservazione delle risorse finanziarie dell’impresa per provvedere al pagamento degli obblighi fiscali e tributari.

Non bisogna infine dimenticare che, anche ai fini di eventuali azioni risarcitorie, dentro o fuori il processo penale, o accertative (per esempio, ex art. 36 del Dpr.602/73), nei confronti degli amministratori accusati di bancarotta fraudolenta e sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte, il “danno” subito dall’Agenzia delle Entrate potrà essere commisurato in misura equivalente al debito tributario non assolto.

Insomma, a fronte della preordinata e fraudolenta “decozione” della società, lo Stato, sia sotto il profilo penale che sotto quello risarcitorio e tributario, ha ancora vari mezzi di tutela.

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