Di Luciano Cerasa
Ntv, la società dei treni Italo, è stata venduta al fondo statunitense Gip per quasi 2 miliardi di euro, debito escluso. L’operazione comporta per i soci fondatori un guadagno al netto degli investimenti che oscilla tra i 140 e i 320 milioni, ma grazie alla legislazione vigente sulla tassazione delle plusvalenze, ben poco andrà allo Stato italiano, nonostante che senza l’apporto del pubblico in termini di infrastrutture, know how e mercato, l’operazione non sarebbe potuta mai nascere. Nella tarda serata del 7 febbraio, è stato annunciato che il consiglio di amministrazione di Ntv (Nuovo trasporto viaggiatori, la società dei treni Italo) ha deciso di accettare l’offerta del fondo statunitense Gip (Global infrastructure partners III), di 1,98 miliardi, alla quale si aggiunge l’impegno di coprire anche il debito da quasi 500 milioni. In altri termini, la società che fino a pochi anni fa sembrava a un passo dal fallimento, ora passerà di mano per quasi 2 miliardi. La strada della quotazione in Borsa, avviata proprio in questi ultimi mesi, sarà a questo punto abbandonata. I due soci fondatori Diego Della Valle e Luca Cordero di Montezemolo, lanciarono l’idea di un treno ad alta velocità che facesse concorrenza alle Ferrovie dello Stato già nel 2006.
Il patron della società di abbigliamento e pelletteria Tod’s oggi ha in mano il 17,14% di Ntv tramite i due veicoli Mdp Holding Due srl e Fadel srl. Ciò significa che Della Valle incasserà circa 340 milioni di euro. Montezemolo, invece, al 12,71% di Ntv sia personalmente sia tramite la Mdp Holding Uno srl e la Mdp Holding Quattro srl, realizzerà dall’operazione circa 252 milioni. Il terzo fondatore, Gianni Punzo, che attraverso Mdp Holding Tre srl ha in mano il 7,85% della società dei treni Italo, incasserà circa 155 milioni.
Queste, però, sono le entrate al lordo degli investimenti. Secondo i calcoli di Gianni Dragoni nei libri “Alta rapacità” e “Banchieri e compari” i tre fondatori Della Valle, Montezemolo e Punzo, a cui si aggiunge anche Giuseppe Sciarrone (poi uscito), diedero vita a Italo nel 2006 con un investimento iniziale da 300 mila euro ciascuno. Negli anni successivi, poi, è stato fatto spazio ad altri soci che per essere della partita hanno messo sul piatto svariate decine di milioni. Tra questi Intesa Sanpaolo (principale finanziatrice dell’azienda), che nel 2008 ha rilevato il 20% del capitale della società per 60 milioni. Oggi che la banca ha in portafoglio quasi il 19% della società dei treni Italo,
con l’arrivo di Gip, si prepara a incassare circa 375 milioni al lordo degli investimenti. Anche le Assicurazioni Generali sono salite a bordo nel 2008, con un 16% oggi diventato 14,3% (e un incasso lordo dall’operazione Gip di oltre 280 milioni). E risale alla fine del 2008 l’ingresso nel capitale di Ntv delle Ferrovie francesi Sncf (Société Nationale des Chemins de Fer) con un 20% che secondo i calcoli di Dragoni è stato pagato 84 milioni.
In pratica, dei 264 milioni di capitale versato in Ntv nel 2011 “Le società personali di Montezemolo, Della Valle e Punzo hanno versato una ventina di milioni e li hanno già recuperati”, scrive Dragoni.
Vanno poi considerati gli interventi degli azionisti quando la società navigava in acque difficili. In primo luogo, c’è quello da 85 milioni in forma di finanziamento soci risalente al 2013-2014, che per i tre fondatori ha comportato quasi 10 milioni a testa. Va poi annoverato l’aumento di capitale da 60 milioni del 2015, nell’ambito del quale i tre azionisti fondatori hanno sostenuto esborsi tra i 5 e i 10 milioni ciascuno. Quindi, tenendo conto dell’investimento iniziale e degli apporti successivi, il guadagno netto (al lordo delle tasse) di Della Valle dovrebbe aggirarsi sui 320 milioni, mentre Montezemolo dovrebbe accontentarsi di circa 240 milioni e Punzo di una somma di circa 140 milioni. A questo punto, realizzate le plusvalenze, dovrebbe avanzare le sue pretese il fisco, che però ancora prima di giocare scende in campo con le ali spuntate. Per fare un calcolo attendibile della pretesa fiscale occorre tenere conto delle diverse situazioni possibili. In primo luogo bisogna distinguere le partecipazioni possedute direttamente dalle persone fisiche da quelle percepite tramite società. Nel caso di plusvalenze da partecipazioni possedute da persone fisiche dal 1° gennaio 2019 (vedi legge n. 205/2017, art. 1, commi da 999 a 1006) sulla plusvalenza (introito lordo meno costo), si applica la ritenuta del 26% a titolo d’imposta. Ancora per quest’anno rileva per le plusvalenze da partecipazioni la distinzione tra partecipazioni qualificate e non qualificate (nel caso di qualificate tassazione progressiva IRPEF, max 43%, previo riconoscimento della quota di esenzione del 41,86%). Nel caso specifico pare che di partecipazioni qualificate di persone fisiche non ve ne siano, quindi si dovrebbe applicare il 26% sul plusvalore.
Se la plusvalenza è conseguita da società dovrebbe applicarsi la PEX (partecipation exemption) e la plusvalenza dovrebbe concorrere all’imponibile societario solo per il 5%. Va ricordato che la PEX è finalizzata ad impedire la doppia tassazione. Quindi quando la plusvalenza rifletta utili non distribuiti conseguiti dalla partecipata e regolarmente tassati come reddito. Viceversa, quando, come in questo caso, la detassazione al 95% del plusvalore non si riconnette ad utili tassati incorporati nel plusvalore stesso, ma all’andamento della partecipazione derivante da altri fattori, la detassazione si traduce in un regalo ingiustificato. E sembra proprio il caso di Italo, almeno per buona parte del plusvalore che i vecchi azionisti stanno realizzando oggi (non sappiamo se il capitale netto della società incorporasse utili pregressi non distribuiti).