In tema di richiesta di accesso alle fonti di innesco del controllo, il diritto del contribuente all’accesso alle informazioni sottostanti l’emissione dell’atto impugnato riguarda solo quelle che possano essere effettivamente utili alla sua difesa. Il rispetto del diritto di difesa non costituisce peraltro una prerogativa assoluta, ma può essere assoggettato a restrizioni, in particolare in ambito tributario, ove occorra tutelare ulteriori interessi, come la vita privata di terzi e la stessa efficacia dell’azione repressiva.
Così si è espressa la Corte di Cassazione, con l’Ordinanza n. 34044 del 05.12.2023.
Nel caso di specie, la Commissione Tributaria Regionale del Veneto aveva accolto l’appello proposto dalL’Agenzia delle Entrate e riformato la sentenza di primo grado, nell’ambito di un contenzioso avente ad oggetto un avviso di accertamento con il quale, tra le altre, stata contestata l’esistenza, certezza ed inerenza all’attività di impresa di costi di sponsorizzazione.
La Commissione Tributaria Provinciale aveva ritenuto che la contribuente avesse fornito la documentazione necessaria al fine di dimostrare l’effettiva esistenza ed inerenza delle prestazioni. Ma, come detto, la decisione era stata poi integralmente riformata in appello.
Avverso tale pronuncia la contribuente proponeva infine ricorso per cassazione, deducendo, per quanto di interesse, la erroneità della sentenza laddove aveva rilevato la genericità delle pattuizioni concordate e lo scarso interesse della contribuente all’esecuzione della prestazione, escludendo che il costo sostenuto potesse ritenersi inerente all’attività imprenditoriale.
Con altra censura la ricorrente criticava poi la parte in cui la sentenza impugnata, a fronte della richiesta della contribuente di conoscere il contenuto esatto della fonte di innesco della verifica, stabiliva che “Le motivazioni a sostegno delL’accertamento risultano esaustive riproducendo il contenuto essenziale dell’atto richiamato e descrivono in modo dettagliato il contenuto della segnalazione dell’ufficio antifrode dell’Emilia Romagna, ponendo l’appellata in condizione di conoscere le ragioni determinanti la verifica e di provvedere alla propria difesa, come dimostrato dallo stesso ricorso predisposto”.
Infine, la contribuente invocava comunque la previsione della L. n. 289 del 2002, art.90, comma 8, la quale individua l’importo annuo complessivo (200.000 Euro) entro il quale i corrispettivi erogati a società ed associazioni sportive dilettantistiche costituiscono, per presunzione assoluta, spese di pubblicità deducibili.
Secondo la Suprema Corte tutte le censure erano infondate.
Evidenziano innanzitutto i giudici di legittimità che la deducibilità di costi ed oneri, come pure la detraibilità della relativa IVA, richiedono l’inerenza all’attività di impresa, da intendersi come necessità di riferire i costi sostenuti all’esercizio dell’attività imprenditoriale.
Sono così esclusi quelli che si collocano in una sfera estranea ad essa, senza che si debba compiere alcuna valutazione in termini di utilità – anche solo potenziale ed indiretta – secondo una valutazione qualitativa e non quantitativa. La relativa prova, in caso di contestazioni dell’Amministrazione finanziaria, è del resto a carico del contribuente, dovendo egli provare e documentare l’imponibile maturato e, quindi, l’esistenza e la natura del costo, i relativi fatti giustificativi e la sua concreta destinazione alla produzione, quale atto di impresa.
Tanto premesso, nella specie, la Commissione Tributaria Regionale aveva compiuto precisi accertamenti fattuali, non contestabili in sede di legittimità, con riferimento alla non inerenza dei costi di sponsorizzazione all’attività di impresa della contribuente.
Quanto poi al denegato accesso alle fonti di innesco della verifica, la Corte rileva che questo non aveva avuto alcuna conseguenza sulla legittimità della motivazione dell’atto impositivo, che dava pieno conto dei presupposti di fatto e diritto posti a suo fondamento.
A tal proposito la Cassazione ricorda anche che il diritto di accesso alle informazioni sottostanti l’emissione dell’atto impugnato può essere esercitato solo se, e nella misura in cui, sia strumentale all’esercizio del diritto di difesa, che può dirsi violato ove il contribuente illustri come e in che termini la tempestiva ostensione degli elementi di fatto a lui favorevoli, e non contenuti negli atti impositivi impugnati, avrebbe potuto influenzare l’esito dell’accertamento nei propri confronti. E tale onere nella specie non era stato assolto.
Infine, quanto alla presunzione assoluta invocata dalla contribuente in merito alle spese di sponsorizzazione, la Suprema Corte ricorda che nella sentenza della CTR veniva a tal proposito rilevato che nel contratto di sponsorizzazione allegato si faceva esplicito riferimento all’acquisto di spazi pubblicitari in occasione di un gran premio che si era in realtà già svolto in data antecedente alla stessa conclusione del contratto.
Le indagini avevano del resto evidenziato che parte degli importi corrisposti venivano in realtà restituiti al fine di conseguire illeciti vantaggi fiscali.
Il quadro probatorio, in sostanza, escludeva che il costo sostenuto potesse ritenersi inerente all’attività imprenditoriale, trattandosi di costo non sufficientemente documentato, non giustificato e non inerente e come tale indeducibile ai sensi del Dpr. n. 917 del 1986, art. 109.
Nel caso specifico, infatti, il giudice di merito aveva accertato che gli esborsi non erano destinati alla promozione dell’immagine o dei prodotti della contribuente, né risultava, anche sotto il profilo cronologico, una specifica attività utile posta in essere dal beneficiario dell’esborso, sia con riferimento alla certezza del costo, sia quanto al contenuto.
A prescindere dallo specifico caso processuale, si ricorda comunque che l’art. 8, comma 8, Dl. 2 marzo 2012, n. 16 (così come modificato dalla legge di conversione 26 aprile 2012, n. 2012), ha stabilito che le Agenzie fiscali e la Guardia di finanza, nell’ambito dell’attività di pianificazione degli accertamenti, tengono conto anche delle segnalazioni non anonime di violazioni tributarie.
In realtà anche una segnalazione anonima potrebbe essere in teoria spunto di pianificazione accertativa, anche se è chiaro che, al fine di rappresentare idoneo indizio comprovante l’evasione, dovrebbe trovare riscontro in altri mezzi probatori.
Si ricorda del resto che, ai sensi dell’art. 39, comma 2, del Dpr. n. 600/1973, l’Amministrazione finanziaria può effettuare rettifiche del reddito sulla base dei dati e delle notizie “comunque raccolti o venuti a conoscenza dell’ufficio”, con facoltà anche di avvalersi di presunzioni non qualificate, ossia anche prive dei requisiti di “gravità”, “precisione” e “concordanza”.
Da un punto di vista poi della legittimità della motivazione, si evidenzia che gli avvisi di accertamento devono essere motivati in relazione ai presupposti di fatto ed alle ragioni giuridiche che li hanno determinati.
Se quindi la motivazione fa riferimento ad un altro atto, non conosciuto né ricevuto dal contribuente, questo deve essere allegato all’atto che lo richiama, salvo però che quest’ultimo non ne riproduca il contenuto essenziale, dovendosi intendere per essenziale l’insieme di quelle parti dell’atto o del documento che risultino necessarie e sufficienti per consentire al contribuente – ed al giudice in sede di eventuale sindacato giurisdizionale – di individuare gli elementi dell’atto richiamato che forniscono gli elementi della motivazione del provvedimento.
E’ dunque in tal senso sufficiente, a legittimare la motivazione dell’accertamento, il richiamo, anche in sintesi, a quegli elementi “indispensabili” affinchè il contribuente accertato possa comprendere pienamente le ragioni della pretesa impositiva.
Come era appunto successo nel caso deciso nella sentenza in commento.