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lunedì 10 Marzo 2025
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Corte Costituzionale, legittima non impugnabilità dell’estratto – ruolo ma occorre riforma della riscossione

La non impugnabilità del ruolo è legittima. A confermarlo è la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 190 del 17.10.2023. La Corte tuttavia evidenzia che a generare il bisogno di tutela giurisdizionale anticipata è, in realtà, la patologica situazione, dell’esistenza di un magazzino di  entrate non riscosse che va affrontata con una adeguata riforma della riscossione. Le cartelle non riscosse, secondo gli ultimi dati, ammontano a più di 170 milioni, di cui il 60 per cento notificate prima del 2015, per un importo pari ad oltre mille miliardi di euro.

La Consulta ricorda inoltre come una riscossione ordinata e tempestivamente controllabile delle entrate è elemento indefettibile di una corretta elaborazione e gestione del bilancio, inteso come bene pubblico, funzionale alla valorizzazione della democrazia rappresentativa.

Nel caso di specie, i giudizi erano stati promossi dalla Corte di Giustizia Tributaria di primo grado di Napoli e dal Giudice di pace di Napoli, che avevano sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 12, comma 4-bis, del Dpr. 29 settembre 1973, n. 602, così come modificato dall’art. 3-bis del Dl. 21 ottobre 2021, n. 146,

convertito, con modificazioni, nella L. 17 dicembre 2021, n. 215.

Tale disposizione prevede che l’estratto di ruolo non è impugnabile e che il ruolo e la cartella che si assume in validamente notificata sono suscettibili di diretta impugnazione nei soli casi in cui il debitore che agisce in giudizio dimostri che dall’iscrizione a ruolo possa derivargli un pregiudizio per la partecipazione a una procedura di appalto, oppure per la riscossione di somme allo stesso dovute da soggetti pubblici, o, infine, per la perdita di un beneficio nei rapporti con una pubblica amministrazione.

La CGT ripercorreva l’iter giurisprudenziale in ordine alla possibilità d’impugnazione “diretta” ed “anticipata” di ruolo e cartella, richiamando la Cass. a SS.UU. (sent.,

19704/2015), che aveva affermato l’immediata impugnabilità del ruolo in mancanza di notifica della cartella senza dover necessariamente attendere la notifica di un atto successivo, e ciò in base ad una lettura dell’art. 19 del Dlgs. n. 546/92, orientata alla tutela del diritto di difesa previsto in Costituzione.

La CGT, quindi, evidenziava che la riforma del 2021 e la successiva interpretazione delle SS.UU. del 2022 (n. 26283/2022) avevano invece mutato il quadro, rendendo oggettivamente più difficoltosa la possibilità di tutela innanzi al Giudice tributario.

Sotto un secondo profilo, il giudice rimettente rilevava poi come le ipotesi previste dalla norma censurata non esauriscono comunque tutti i possibili pregiudizi derivanti dal permanere di un’indebita iscrizione a ruolo, restando sforniti di tutela immediata,

tra gli altri: a) il pregiudizio riguardante la stessa possibilità di subire l’esecuzione senza poter preventivamente paralizzare la pretesa; b) quello per cui gli Istituti di Credito sono molto attenti ai debiti tributari ed un’impresa che esponesse debiti fiscali in bilancio vedrebbe senza dubbio peggiorare il suo rating e avrebbe difficoltà per l’accesso al credito; c) nonché quello relativo a qualsiasi altro mutuo, anche in favore di soggetti non esercenti attività di impresa.

Anche il Giudice di pace di Napoli, come detto, sollevava questioni di legittimità costituzionale sulla stessa norma, sottolineando il “grande rilievo” delle questioni sia per il cospicuo contenzioso pendente, sia “per la soluzione poco condivisibile suggerita dalla S.C. a SS.UU. in ordine alla efficacia retroattiva di una norma emanata a mezzo decretazione d’urgenza”.

Precisava poi il GdP che l’impianto della norma in esame tipicizza le ipotesi in cui è ammessa l’impugnazione del ruolo e della cartella di pagamento, con un ambito di previsioni alquanto riduttivo che discrimina tutti i contribuenti che non operano con la pubblica amministrazione, i quali però dalla iscrizione a ruolo del debito erariale subiscono un pregiudizio.

La Corte Costituzionale, dopo aver disposto la riunione dei due giudizi, rilevava, per quanto di interesse, che la disposizione censurata si poneva quale epilogo di una complessa evoluzione giurisprudenziale, laddove il primo orientamento delle Sezioni Unite, che aveva avallato la possibilità di impugnare la cartella di pagamento che si ritenesse invalidamente notificata e di cui il contribuente fosse venuto a conoscenza dall’estratto di ruolo, si scontrava con le “gravi inefficienze del sistema italiano della riscossione”, conducendo “all’enorme proliferazione, negli ultimi anni, di controversie strumentali di impugnazione degli estratti di ruolo radicate dai debitori iscritti a ruolo”, con “un aumento esponenziale delle cause radicate innanzi alle Commissioni Tributarie, ai Giudici di Pace e, più in generale, alla Magistratura ordinaria per far valere, spesso pretestuosamente, ogni sorta d’eccezione avverso cartelle notificate anche molti anni prima, senza che l’Agente della riscossione si fosse attivato in alcun modo per il recupero delle pretese ad esse sottese”.

A fronte dunque di una tale proliferazione di ricorsi, che aveva messo in crisi il sistema di tutela giurisdizionale, il legislatore è intervenuto con la disposizione censurata, limitando la possibilità di impugnare direttamente il ruolo e la cartella che si assume invalidamente notificata solo al ricorrere di determinate fattispecie attinenti a rapporti con la pubblica amministrazione.

A seguito dell’entrata in vigore della norma, rileva la Corte, la massa dei ricorsi si è poi in effetti notevolmente ridotta. A tale esito, tuttavia, si era giunti incidendo sull’ampiezza della tutela giurisdizionale, potendo peraltro il “bisogno” di tutela giurisdizionale manifestarsi anche in situazioni diverse da quelle considerate nella

norma censurata (quali, ad esempio, l’ipotesi di cessione di azienda e della responsabilità del cessionario ex art. 14 del Dlgs. 18 dicembre 1997, n. 472).

In tutti questi casi, comunque, evidenzia la Consulta, a generare il bisogno di tutela giurisdizionale “anticipata” è, in realtà, la patologica situazione, tra l’altro già denunciata dalla stessa Corte con la sentenza n. 120 del 2021, della singolare esistenza di un magazzino di entrate non riscosse pari, come detto, ad oltre mille miliardi di euro, dove risultano affastellate cartelle che, seppur evidentemente prescritte, incombono sul contribuente e ne possono compromettere la “credibilità fiscale”.

La Corte, del resto, ricorda di essere già intervenuta sul tema, stigmatizzando il cosiddetto meccanismo scalare inverso, che, fra l’altro, ha addirittura rinviato fino al biennio 2038-2039 l’azione di controllo per i ruoli del 2000 e che, essendo basato sull’esame prioritario delle annualità più recenti, concorre alla stratificazione di crediti più “antichi”, non riscossi, e non suscettibili di riscossione.

Tanto premesso, venendo al giudizio sulla norma censurata, la Corte Costituzionale evidenzia che, in linea generale, l’abuso di quanti approfittano della vulnerabilità del sistema – dove spesso l’agente della riscossione non è in grado di fornire neppure la prova della regolare notifica – generando un preoccupante contenzioso seriale, non dovrebbe, in via sistematica, comprimere il bisogno di tutela “anticipata” dei soggetti (fossero anche pochi) che legittimamente lo invocano.

In ogni caso, però, conclude la Corte, il rimedio alla situazione prodottasi per effetto della norma censurata coinvolge profili rimessi alla discrezionalità del legislatore, potendo peraltro tale risultato essere ottenuto intervenendo in più direzioni, quali, da un lato, estendendo la possibilità di una tutela “anticipata” a fattispecie ulteriori e, dall’altro, agendo in radice, ovvero sulle patologie che ancora permangono nel sistema italiano della riscossione.

A tal fine la Corte formula comunque “il pressante auspicio che il Governo dia efficace attuazione ai princìpi e criteri direttivi per la revisione del sistema nazionale della riscossione contenuti nella delega conferitagli dall’art. 18 della L. 9 agosto 2023, n. 111 (Delega al Governo per la riforma fiscale)”.

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