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martedì 29 Aprile 2025
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Def 2015: “No a tagli e nuove tasse”, il Governo cauto sulle stime, pesa la clausola

Presentato in Consiglio dei ministri il Def 2015, che sarà varato ufficialmente venerdì: stima di crescita del Pil fissata a un prudenziale +0,7%, deficit al 2,6% tendenziale. Tra gli obiettivi, la riduzione del debito di quasi 10 punti in tre anni. Pressione fiscale al 43,5% nel 2015, in salita al 44,1% nel 2016 e 2017.

Pil rivisto all’insù dello 0,1% per il 2015, revisione della spesa, privatizzazioni e rinvio del pareggio di bilancio al 2018: sono questi i capitoli più importanti del Def, il documento di economia e finanza presentato ieri in Consiglio dei Ministri che dà avvio al percorso che in autunno porterà alla legge di stabilità 2016. Nel testo che sarà varato ufficialmente venerdì, Renzi ha precisato che “non ci sono tagli né aumenti delle tasse”, a conferma di un 2015 interlocutorio in cui la maggior parte delle risorse sarà impiegata per scongiurare i 13 miliardi di maggiori imposte previste dalla clausola di salvaguardia, che scatterebbero automaticamente dal primo gennaio 2016 qualora non venissero rispettati gli obiettivi di bilancio di medio termine. Una bomba ad orologeria che il Governo conta di disinnescare da un lato approfittando della riduzione della spesa per interessi, dall’altro attraverso un piano di razionalizzazione della spesa corrente per circa 10 miliardi. Al resto dovrebbe pensare la crescita, stimata da Palazzo Chigi in un +0,7% per quest’anno (invece dello 0,6% previsto nella nota di aggiornamento al Def dello scorso settembre), sospinta da un quadro macroeconomico reso favorevole dai cosiddetti “fattori esogeni”: dal piano di investimenti di Junker al Quantitative easing della Bce, passando per il deprezzamento dell’euro e il calo del petrolio.

Previsioni al ribasso. Fattori eccezionalmente positivi, ma da maneggiare con cautela, specialmente quando si è alle prese con le previsioni di crescita. Anche perché un eccesso di ottimismo potrebbe far correre il rischio di sforare il vincolo imposto da Bruxelles, impiccando un bilancio già gravato dal peso dell’ultima manovra finanziaria. Da qui la strategia del Governo di tenere la stima del Pil agganciata alla realtà, come ha spiegato ieri il ministro Padoan: “se si consolida la fiducia di cittadini e imprese, allora le aspettative potranno essere sbagliate per difetto, per il momento preferiamo essere prudenti”. Un basso profilo che trova riscontro anche in alcune previsioni di entrata: tra queste la voluntary disclosure, sulla quale, alla voce “gettito potenziale” sarà inserita la cifra simbolica di 1 euro. Niente voli pindarici quindi, nella speranza che in autunno ci si ritrovi con un “tesoretto” non messo in preventivo.

 

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(FONTE:GOVERNO.IT)

 

Molto più ottimistiche le previsioni del prossimo triennio. Secondo l’esecutivo, il Pil dovrebbe raggiungere l’1,4% nel 2016, l’1,5% nel 2017, e contestualmente il rapporto deficit/Pil calare dal 2,6% previsto per il 2015 all’1,8% del 2016, fino a toccare lo 0,8% nel 2018. Traiettoria in discesa anche per lo stock di debito: 132,5% del Pil nel 2015, 130,9% nel 2016 e 123,4% nel 2017. Al percorso di riduzione dovrebbe contribuire, seppure marginalmente, un piano di privatizzazioni pari all’1,8% nel quadriennio 2015-2018, anche se sul punto Padoan ha precisato che lo Stato “non perderà il controllo degli asset, ma ci saranno valorizzazioni dal punto di vista manageriale”, aggiungendo poi che “si sta lavorando su Enel, Poste e Ferrovie dello Stato”.

 

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L’ombra di nuove tasse. Nonostante il Premier abbia più volte ripetuto che “nel 2015 non ci saranno aumenti delle tasse”, il rischio di ulteriori aggravi resta concreto. Anche perché per disattivare la clausola di salvaguardia servono 12,8 miliardi, e la previsione di recuperarne quasi dieci dalla revisione della spesa in un solo anno appare più un esercizio di ottimismo che una concreta possibilità. I tagli dovrebbero riguardare non solo le centrali d’acquisto delle società partecipate e alcune spese correnti al livello regionale, ma anche le cosiddette “tax expediture”, ossia quel vasto mondo di agevolazioni fiscali (l’ultimo studio del Mef, datato 2011, ne contava 720) che hanno un impatto in termini di mancato gettito di circa 250 miliardi. Da tempo se ne auspica uno sfoltimento, che consenta di abbassare le aliquote nominali. Tuttavia, se le risorse fossero impiegate per “tamponare” il deficit di bilancio si aggraverebbe la pressione fiscale complessiva, realizzando il paradosso per cui si aumenta selettivamente il carico di alcune tasse per scongiurarne altre.

Anche sulla revisione della spesa non mancano i dubbi, visto che gli spazi di manovra restano abbastanza stretti. A questo proposito, settimane fa la Corte dei Conti aveva definito “l’effettiva realizzazione di risparmi consistenti” come un “traguardo molto difficile allorché ci si misuri con le limitate categorie di spesa realisticamente aggredibili, per le quali, tra l’altro, i margini ancora disponibili per ulteriori tagli sono ridotti dalle ripetute riduzioni di risorse intervenute negli ultimi anni (si pensi al blocco di lunga data delle retribuzioni pubbliche e al “bersagliamento incessante” dei consumi intermedi; una voce di spesa che incide per meno dell’1 per cento sul totale della spesa primaria corrente delle amministrazioni centrali)”.

Allo stesso modo, la previsione di ulteriori tagli di spesa al livello regionale e comunale rischia di essere soddisfatta per mezzo di aumenti della tassazione locale o riduzione delle prestazioni. Un’ipotesi paventata senza mezzi termini da Sergio Chiamparino, presidente della Conferenza delle regioni, secondo cui ” è impensabile continuare a chiedere sacrifici senza immaginare che ci siano conseguenze sulle prestazioni ai cittadini”. Oltre che recessivi, i tagli avrebbero l’effetto di piegare le aspettative dei cittadini, come ha fatto notare la stessa Corte dei conti: “La sostenibilità delle prestazioni pubbliche, siano esse quelle sanitarie o assistenziali e quindi le condizioni di accesso a questi servizi, è soggetta a rilevanti incertezze e differenze territoriali. A ciò si aggiunga il timore che da tagli ripetuti di risorse derivino peggioramenti nella qualità dei servizi o aumenti delle imposte destinate al loro finanziamento, con un conseguente peggioramento delle aspettative di famiglie e imprese”.

Nel triennio le stime non sono migliori. Nella bozza del Def, secondo il Sole 24 Ore, la pressione fiscale aumenterà dall’attuale 43,5% al 44,1 per cento nel 2016 e 2017. In confronto, le previsioni indicate nella nota di aggiornamento al Def dello scorso settembre erano ben più fiduciose, e calcolavano la pressione fiscale al 43,4% nel 2015, al 43,6% nel 2016 e al 43,3% nel 2017.

Local tax dal 2016. Sempre in tema di tributi, nel Def di prossima approvazione dovrebbe trovare posto anche l’impegno di introdurre, a partire dal 2016, una nuova local tax che unifichi Imu e Tasi e raggruppi sotto un unico canone la maggior parte delle imposte comunali e tasse minori.

730 precompilato. Nel corso del consiglio dei ministri, il premier si è poi brevemente soffermato sulla dichiarazione precompilata attesa al debutto fra pochi giorni. “Abbiamo iniziato un processo faticoso e il 730 online lo considero un punto zero” ha commentato, aggiungendo che “non è ancora la versione definitiva che consente tutta la precompilazione, ad esempio non ci saranno le spese sanitarie”. “Noi consideriamo il 2015 un inizio”, ha poi concluso “vediamo come può esser fatta questa grande sperimentazione”. 

Antonio Biondi

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