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lunedì 10 Marzo 2025
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Delega fiscale (3): tributi indiretti, imposta successione e registro. Una lettura critica dell’articolo 10

Di Francesco Ferrari

L’articolo 10 è dedicato alla revisione dei tributi indiretti diversi dall’IVA e contiene alcune disposizioni estremamente ampie che tuttavia potrebbero consentire di risolvere alcuni nodi che più volte negli anni passati sono stati affrontati con soluzioni non sempre efficaci.

In particolare, la lettera a) delega il Governo a “razionalizzare la disciplina dei singoli tributi” anche mediante soppressione di fattispecie imponibili e revisioni della base imponibile e delle aliquote impositive.

La lettura della disposizione rimanda immediatamente alla “querelle” sorta a seguito di rettifiche operate dall’amministrazione in relazione ad operazioni di cessioni di partecipazioni qualificate come cessioni di ramo d’azienda e sfociata nel rimaneggiamento dell’art. 20 del TUR e nelle pronunce giurisprudenziali relative all’estensione temporale delle modifiche. Un osservatore attento avrebbe potuto osservare come tutta la vicenda fosse in realtà generata da una palese asimmetria nel disegno della base imponibile dell’imposta di registro che vede allo stesso tempo assoggettati ad imposta fissa i conferimenti di azienda, le scissioni societarie e le cessioni di azioni o quote, mentre assoggetta ad imposta proporzionale le cessioni di azienda e di rami d’azienda. Tale assetto normativo, tralasciando i risvolti relativi alle imposte dirette, crea un evidente vantaggio tributario per le cessioni di beni di secondo livello (partecipazioni) rispetto a quelle relative alle cessioni di beni di primo livello (aziende) con un significativo incentivo per i contribuenti ad inscatolare le aziende in separate società per procedere alla cessione di queste ultime (c.d. “two steps deal”). La conseguente, ma intermittente, reazione dell’amministrazione finanziaria, che è stata quella di assoggettare a tassazione tali operazioni come cessioni d’azienda motivando l’azione di recupero ai sensi dell’articolo 20 del TUR, aveva trovato conforto nella giurisprudenza della Cassazione, cui sono seguiti due interventi legislativi, il primo diretto a modificare la norma sull’interpretazione degli atti (art. 1, co. 87, L. 205/2017, legge finanziaria per il 2018) e il secondo volto a conferire a tale modifica valenza “retroattiva” qualificando la disposizione come norma di interpretazione autentica (art. 1 co. 1084 L. 145/2018). L’intervento del legislatore, che aveva un immediato impatto sui contenziosi in corso, sconfessando nella sostanza le posizioni assunte dalla Corte di Cassazione, ha probabilmente contribuito alla decisione della Cassazione di sollevare la questione di legittimità costituzionale del nuovo articolo 20 del TUR per violazione dei princìpi di capacità contributiva di cui all’art. 53 Cost. e di eguaglianza di cui all’art. 3 Cost. La Corte Costituzionale si è quindi pronunciata con la Sentenza 158/2020 dichiarando infondata la questione di legittimità costituzionale in quanto il legislatore con tale disposizione avrebbe “inteso, attraverso un esercizio non manifestamente arbitrario della propria discrezionalità, riaffermare la natura di imposta d’atto dell’imposta di registro” precisando “l’oggetto dell’imposizione in coerenza con la struttura di un prelievo sugli effetti giuridici dell’atto presentato per la registrazione, senza che assumano rilievo gli elementi extratestuali e gli atti collegati privi di qualsiasi nesso testuale con l’atto medesimo”.

A parere di chi scrive, tutta la vicenda è sempre apparsa come una storia “senza cavalieri bianchi”: il testo dell’art. 20 del TUR, ante (e post) modifica, chiaramente dispone che l’imposta sia applicata “secondo la intrinseca natura e gli effetti giuridici degli atti presentati alla registrazione” ed è di tutta evidenza come gli effetti giuridici di una cessione di partecipazione siano differenti dagli effetti giuridici di una cessione d’azienda. La presunta rilevanza dei cosiddetti “effetti economici”, oltre ad essere stata già discussa ed esclusa nel dibattito che aveva portato alla redazione del testo del 1986, era in realtà poco sostenibile anche perché non si comprende quale potesse essere la differenza negli “effetti economici” dei due negozi atteso che chiaramente chi acquista una partecipazione è interessato ad acquistare i beni (materiali e immateriali) che nella società i cui titoli partecipativi vengono scambiati, sono presenti. Allo stesso modo, tuttavia, l’assoggettamento ad imposta fissa delle cessioni di quote e, soprattutto, degli atti di conferimento di azienda, rende l’imposta proporzionale sulle cessioni d’azienda un’imposta regressiva che alla fine finiva per colpire solo quei negozi in cui i costi di transazione dell’operazione in 2 passaggi risultavano essere superiori al costo dell’imposta applicata sulle cessioni di aziende e rami d’azienda, finendo per colpire, nella sostanza, solo le operazioni di minor valore economico.

I successivi interventi legislativi ci lasciano tuttavia con una base imponibile dell’imposta di registro ancora incoerente e con un articolo 20 del TUR la cui originaria linearità è persa con la conseguenza che, nel tentativo di escluderne dall’ambito di applicazione gli elementi di tipo soggettivo, ne viene reso arduo l’utilizzo anche per contrastare il fenomeno delle cosiddette “cessioni spezzatino” o addirittura per procedere ad assoggettare ad imposta proporzionale operazioni di conferimento di beni forzatamente qualificate dalle parti come conferimenti di azienda.

È auspicabile che il legislatore delegato utilizzi l’occasione offerta dalla riforma per intervenire sulla base imponibile dell’imposta prevedendo un trattamento delle cessioni d’azienda e di rami d’azienda coerente con quello riservato alle cessioni di partecipazioni e ai conferimenti di ramo d’azienda.

Anche tale modifica tuttavia, necessiterà di una attenta valutazione dei conseguenti oneri per il bilancio dello Stato che tuttavia potrebbero essere facilmente quantificati in base ai dati storici sull’applicazione dell’imposta ai negozi di cessione di azienda e rami d’azienda.

La lettera b) delega il governo a prevedere un sistema di autoliquidazione dell’imposta di successione e dell’imposta di registro. La disposizione vuole probabilmente intervenire per scongiurare quanto accaduto durante il periodo della pandemia quando, nel tentativo di non aggravare la posizione dei contribuenti, l’Agenzia delle entrate ha rinviato l’attività di liquidazione dell’imposta di successione. Deve osservarsi come l’imposta di successione è attualmente dovuta solo in presenza di patrimoni di notevole entità o nel caso in cui ad ereditare siano soggetti diversi da coniugi, ascendenti, discendenti, fratelli o sorelle. Poiché la liquidazione dell’imposta, attesa la prevista solidarietà dell’obbligazione di pagamento ex art. 36 del TUS, è spesso in tali casi propedeutica alla effettiva ripartizione finale dell’attivo ereditario tra gli aventi causa, la ritardata esecuzione della liquidazione dell’imposta da parte degli uffici ha di fatto comportato un rallentamento della messa in possesso dei beni caduti in successione. La previsione dell’autoliquidazione dell’imposta potrebbe in tali casi contribuire ad accelerare le divisioni ereditarie pur aumentando l’alea relativa all’imposta effettivamente dovuta in base ad una dichiarazione non rettificata, nella quale siano tuttavia presenti errori materiali o di calcolo commessi dal dichiarante.

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