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sabato 27 Luglio 2024
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Elusione McDonald’s, Commissione Ue valuta indagine, “ma sui tax rulings Stati poco trasparenti”

Dopo il dossier dei sindacati si pensa ad avviare un’inchiesta contro il colosso. Ma la Vestager ammette: “in tre anni è stato fatto poco, bisogna partire da un regime fiscale unico per imposte sulle società”.

Dopo Apple, Fiat, Starbucks e Amazon, anche McDonald’s potrebbe finire sotto la lente d’ingrandimento della Commissione europea per presunta elusione fiscale. Lo ha annunciato il commissario alla concorrenza Ue Margrethe Vestager dinnanzi al Parlamento europeo, spiegando che ci sarebbero i presupposti per l’apertura di un’indagine nei confronti del colosso dei fast food. Dietro l’azione di Bruxelles c’è lo zampino di un consorzio di sindacati, che non più tardi di due mesi fa pubblicò un corposo dossier in cui accusava l’azienda di aver nascosto in Lussemburgo quasi quattro miliardi di utili realizzati in diversi paesi dell’Unione Europea tra il 2009 e il 2013, per un’elusione fiscale di circa 1,05 miliardi. Che, se fosse confermata inguaierebbe e non poco anche il Granducato, già sotto torchio dopo che lo scandalo “Luxleaks” ha portato alla luce gli accordi fiscali concessi dalle autorità a oltre 340 multinazionali, da Deutsche Bank ad Amazon passando per Ikea, Pepsi e Gazprom.

Elusione inevitabile. Caso vuole che all’epoca delle “spintarelle” fiscali scoperchiate dal consorzio di giornalisti dell’Icij il premier lussemburghese fosse Jean Claude Junker, oggi al timone della Commissione Europea. La stessa che ora potrebbe aprire un’inchiesta sulla multinazionale dei fast food per presunte pratiche elusive. Pratiche a dire il vero largamente diffuse tra i colossi internazionali, anche se difficilmente debellabili. “C’è molta segretezza sui tax rulings, gli stati membri su questo non sono trasparenti tra di loro” ha ammesso la stessa Vestager dinanzi al Parlamento Ue. Certo, le tasse andrebbero pagate lì dove si produce il reddito, ma, ha aggiunto “a questo punto le cose si fanno complicate” perché “le aziende riescono a muovere denaro contante in tanti modi, ad esempio facendo accordi sui prezzi o prestiti tra filiali”. E d’altra parte l’Ue non ha fatto molto per contrastare il fenomeno: “Ero nel governo danese nel 2012, quando la Commissione ha presentato il suo piano d’azione sui tax rulings” eppure “da allora gli stati membri non hanno fatto nessun passo avanti”.

Regime fiscale unico. Alcuni passi in avanti ci sono stati, come l’accordo firmato lo scorso ottobre al Global Forum di Berlino che impegna oltre 90 paesi ad adeguarsi al modello di cooperazione amministrativa elaborato dall’Ocse. Ma non basta. È vero che “siamo in grado di avviare procedure di infrazione e, nel caso, portare le aziende in tribunale qualora non ottenessimo le informazioni necessarie”, tuttavia “per agire velocemente avremmo bisogno dello scambio automatico delle informazioni in materia di tax ruling e, soprattutto, di un regime fiscale comune per l’imposta sulle società (il Cccbt). In aggiunta potremmo anche elaborare una guida per gli stati membri, per esporre in dettaglio ciò che  è consentito e cosa no. Ma per farlo abbiamo bisogno di più giurisprudenza”. 

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