back to top
martedì 29 Aprile 2025
spot_img
spot_img

Evasione fiscale, Dolce e Gabbana condannati a 18 mesi in secondo grado

La Corte d’appello non accoglie la richiesta di assoluzione del sostituto procuratore generale ma riduce la pena rispetto al primo grado. La difesa annuncia ricorso in Cassazione.

Un leggero sconto di pena ma la condanna è stata confermata. Domenico Dolce e Stefano Gabbana sono stati giudicati dalla Corte d’appello di Milano colpevoli di omessa presentazione della dichiarazione dei redditi e condannati così a un anno e sei mesi di reclusione ciascuno. In primo grado la condanna era stata di un anno e otto mesi. I giudici della Corte d’Appello hanno dunque ritenuto fondata l’accusa della procura di Milano, secondo la quale la società lussemburghese Gado (alla quale Dolce e Gabbana avevano venduto nel 2004 i marchi della maison) fosse in realtà una società esterovestita, ovvero domiciliata in Lussemburgo solo per evadere il fisco. I due stilisti hanno violato l’articolo 5 del decreto legislativo 74 del 2000 non dichiarando i redditi della Gado. Sconti di pena ma condanne confermate anche per gli altri imputati: Alfonso Dolce, Cristiana Ruella e Giuseppe Minoni (un anno e due mesi ciascuno) e Luigi Patelli (un anno e sei mesi). La Corte ha ignorato la posizione del sostituto procuratore generale, che aveva chiesto l’assoluzione di tutti gli imputati.

La requisitoria. Nella sua requisitoria, infatti, il sostituto procuratore generale Gaetano Santamaria Amato aveva chiesto l’assoluzione «perché il fatto non sussiste». I due stilisti «sono impegnati tra stoffe, modelle, ricevimenti. Sono due creativi e non me li immagino a gestire schemi di abbattimento fiscale» aveva sostenuto il pg che aveva così smontato le tesi accusatorie che avevano portato alla sentenza di parziale condanna del giugno di un anno fa. La conclusione del processo di primo grado era stata un vero danno per l’immagine di Dolce e Gabbana, assolti con formula piena dall’accusa di dichiarazione infedele dei redditi ma condannati a un anno e otto mesi di reclusione per omessa dichiarazione negli anni 2004 e 2005 per un valore di circa 200 milioni di euro. Alfonso Dolce, fratello di Domenico e rappresentante legale della Gado, era stato condannato a un anno e quattro mesi, lo stesso gli altri amministratori e consulenti della società Cristina Ruella, Giuseppe Minoni, mentre Luciano Patelli a una pena di un anno e otto mesi.

Le accuse. La cifra contestata all’inizio delle indagini di un miliardo di euro si era poi ridotta con la sentenza a circa 200 milioni di euro e la condanna di primo grado era arrivata solo per il reato di omessa dichiarazione dei redditi. Mentre per la restante parte i due stilisti, difesi dai legali Dinoia, Taglioretti e Simbari, erano stati assolti dal Tribunale. Tra l’altro, il primo aprile del 2011 tutti gli imputati erano già stati assolti, ma poi la Cassazione aveva annullato i proscioglimenti e un nuovo giudice li aveva mandati a processo. Poi erano arrivate le condanne. Una sentenza che era stata seguita, lo scorso luglio, da una lunga “querelle” tra il Comune di Milano e i due fondatori della multinazionale, dopo le parole dell’assessore al Commercio Franco D’Alfonso, secondo cui l’amministrazione non avrebbe dovuto concedere spazi a evasori come loro. Frasi a cui Dolce e Gabbana avevano reagito con una serrata di tre giorni delle loro boutique in città. 

Il vice procuratore generale di Milano aveva però fatto a pezzi la ricostruzione della procura e della Guardia di finanza fatta propria dal tribunale in primo grado. «Una condanna penale sarebbe in contrasto con il buon senso», aveva affermato il magistrato. La costituzione della società in Lussemburgo, aveva proseguito, non configurava un reato perché «l’ottimizzazione del regime impositivo è lecita» e le giustificazioni portate dai testimoni nel dibattimento di primo grado sono state «ottime, complete e non fantasiose». E poi, aveva sottolineato Santamaria, nel 2004 Dolce e Gabbana «pensavano in grande, come conviene a un gruppo del genere», meditavano di quotarsi in borsa e avevano scelto il Lussemburgo perché «c’è una Borsa vivace, una situazione fiscale vantaggiosa che può attrarre capitali e il paese ha molti trattati bilaterali sulla doppia imposizione fiscale».

L’annuncio del ricorso in Cassazione. «Sono allibito – ha commentato in aula il legale di Dolce e Gabbana, Massimo Dinoia -. Una sentenza che lascia senza parole. Ricorreremo in Cassazione. Lo stesso pg aveva chiesto l’assoluzione per loro, perché aveva capito, così come aveva capito già il gup nel 2011 che li aveva assolti».

Dello stesso autore

RISPONDI

Please enter your comment!
Please enter your name here

Altro in Vip e Fisco

Rubriche