Per il Fondo monetario resta il carico fiscale eccessivo sul lavoro e la limitata base imponibile Iva. Nessuna soluzione, inoltre, al problema del ruolo della imposizione patrimoniale.
di Yoda
La delega fiscale all’esame del Parlamento[1] risulta sostanzialmente coerente con il vigente sistema fiscale italia noe con le auspicate prospettive di riforma. Tuttavia non ne intacca le principali criticità. Il Fondo monetario internazionale in un rapporto[2] in cui analizza la proposta di riforma varata dal governo mette in evidenza le principali lacune della delega. I rilievi riguardano soprattutto l’eccessiva pressione fiscale sul lavoro e la ridotta base imponibile dell’Iva, per cui sussiste anche un serio problema di evasione. Nessuna soluzione, inoltre, è stata apportata, secondo gli esperti di Washington, al problema del ruolo della imposizione patrimoniale e di quale siano le scelte più opportune, per la crescita: se un’imposta generale sul patrimonio oppure una più rigorosa imposta sulle successioni e donazioni. Tra le altre criticità la non sufficiente neutralità dei sistema, che finisce per interferire sulle scelte di investimento.Il contesto di riferimento. La Delega si colloca in un sistema fiscale che – ricordano gli esperti del Fondo – è fondamentalmente ‘duale’, in quanto tassa alcuni redditi con le aliquote progressive Irpef, mentre riserva ad altre categorie reddituali (in genere quelle più mobili) una tassazione proporzionale con aliquota ridotta. Nato nei Paesi nordici, il sistema ‘duale’ è in grado di intercettare meglio le esigenze emerse con la crescente mobilità internazionale dei capitali finanziari e con la forte innovazione degli strumenti finanziari. Per un verso, infatti, l’estrema volatilità dei capitali rende difficile tassare i relativi redditi con le alte aliquote marginali che gravano sui redditi di lavoro; per un altro, l’applicazione di aliquote proporzionali ridotte riesce, quantomeno, ad attenuare le distorsioni che derivano dalla impossibilità pratica di tassare con la medesima aliquota effettiva tutte le differenti forme di redditi di capitale: ad esempio, gli interessi attivi, tassati al maturato – pro rata temporis – hanno un carico fiscale che, a parità di aliquote nominali, è diverso da quello che grava sui capital gain, che invece sono assoggettati a tassazione solo al momento del realizzo.
Il sistema ‘duale’, ricorda il Fmi, presenta tuttavia alcune importanti criticità, perché – differenziando il trattamento fiscale di redditi di fonte diversa – può alimentare gli arbitraggi e generare una diffusa percezione di iniquità, anche perché le aliquote più basse finiscono per avvantaggiare proprio i contribuenti più ricchi, che più dipendono dai redditi di capitali. L’Italia ha adottato, da tempo, questo modello, per cui, mentre i redditi da lavoro concorrono alla formazione del reddito complessivo e soggiacciono alla progressività per scaglioni fino al 43 per cento; i redditi di capitale (interessi, capital gain su qualsiasi tipologia di strumento finanziario e dividendi di partecipazioni non qualificate) e i proventi di locazione degli immobili sono tassati, rispettivamente, con l’aliquota proporzionale del 20 e al 21 per cento (c.d. cedolare). Quello italiano, non è tuttavia un sistema ‘duale’ perfetto, precisa il Rapporto, perché alcuni redditi di capitale o immobiliari continuano a concorrere alla formazione del reddito complessivo, come nel caso dei dividendi spettanti ai soci ‘qualificati’ o delle plusvalenze realizzate sugli immobili ceduti entro il quinquennio (per le quali, la tassazione ‘separata’ con l’imposta sostitutiva è solo un’opzione), e perché è assente qualsiasi reale tentativo di tassare separatamente i redditi di lavoro.
E’, inoltre, un ordinamento non sufficientemente neutrale, che finisce per interferire sulle scelte di investimento. Resta, ad esempio, molto sperequato il carico complessivo delle imposte che gravano, rispettivamente, sui dividendi o sugli interessi, nonostante si tratti di redditi che, in principio, prevedono l’applicazione sul titolare (persona fisica) della medesima aliquota proporzionale. Gli utili di partecipazione, che remunerano gli apporti al capitale della partecipata, scontano, infatti, aliquote effettive che complessivamente (tenuto conto dell’Ires prelevata sulla società) sono molto più vicine alle aliquote marginali Irpef che alla aliquota propria dei redditi di capitale. Sia il socio non qualificato (i cui dividendi sono tassati ‘separatamente’ al 20 per cento) sia il socio qualificato ( i cui dividendi concorrono per il 49,72 per cento del loro ammontare alla formazione del reddito complessivo) subiscono, pertanto, un prelievo sul proprio investimento che, al netto dell’IRES della società, è pari rispettivamente al 42 per cento[3] e al 43 per cento[4]. Al contrario, la remunerazione dei capitali concessi a titolo di finanziamento beneficia di aliquote effettive, addirittura negative, considerato che a fronte del prelievo nominale del 20 per cento sugli interessi attivi dovuti al lender, la società deduce interessi passivi e sostiene minori imposte per il 27,5 per cento del loro ammontare[5].
Negli ultimi mesi, sono state adottate alcune importanti misure di adeguamento e miglioramento del sistema che gli esperti del Fondo segnalano: l’unificazione al 20 per cento delle aliquote sulle differenti forme di interessi e capital gain (prima molto differenziate), e, soprattutto, l’introduzione dell’Ace (Allowance for Corporate Equity) che favorisce la capitalizzazione, detassando, in capo alla società, la parte del reddito che è idealmente attribuibile agli utili non distribuiti e ai nuovi apporti dei soci in linea capitale. Apprezzabili, a loro avviso, anche le nuove linee di tendenza verso forme di tassazione, che incidono, su basi imponibili diverse dal reddito, ossia sui consumi o sul patrimonio[6]. In definitiva, a giudizio degli esperti del fondo, il nostro sistema deve poter assicurare maggiore neutralità rispetto alle decisioni di finanziamento o di investimento e fare più intenso uso di imposte che colpiscano altre forme di ricchezza che, rispetto a quelle sul reddito, sono meno distorsive per la crescita e l’equità orizzontale.
Il giudizio del Fmi. La delega fiscale si colloca in questo contesto. Non è in grado di superare la complessità[7] e le debolezze più profonde del sistema italiano, e,in primis, il carico fiscale eccessivo sul lavoro[8] e la limitata base imponibile Iva: che, comunque, non sono, avverte il Fondo, nei suoi obiettivi. Né risolve il problema del ruolo della imposizione patrimoniale e di quale sia la soluzione più opportuna, per la crescita, se un’imposta generale sul patrimonio oppure una più rigorosa imposta sulle successioni e donazioni.
Il suo scopo è implementare il sistema ‘duale’ esistente, riducendone gli elementi critici. E, in questa direzione, il Fondo individua quelle che sono, a suo avviso, le tre principali direzioni strategiche del progetto riformatore: la riforma del catasto per dare equità alla imposizione sugli immobili, l’unificazione del trattamento fiscale degli utili non distribuiti per le differenti tipologie di attività economica[9], la protezione dei diritti dei contribuenti, il contrasto degli abusi, la comunicazione dei tax schemes e delle migliori pratiche di gestione del rischio fiscale da parte delle società e delle autorità fiscali. Tre direzioni di intervento di carattere strutturale che hanno in comune l’obiettivo di attenuare, ove possibile, le differenze e le distorsioni non volute, di gestire al meglio le ‘dualità’ strutturali nella direzione di una maggiore equità e neutralità.
Il Fondo ha colto in profondità la ratio della Delega, e in particolare la centralità della norma sull’abuso del diritto e la sua complementarietà con gli istituti di cooperazione rafforzata tra l’Amministrazione tributaria e i contribuenti, come strumenti di ‘chiusura’ e riequilibrio del sistema fiscale, che è complesso, non solo perché ‘imperfetto’, ma perché è intrinsecamente complessa la fiscalità nell’era della globalizzazione delle imprese e della estrema mobilità di persone e capitali. Per quanto riguarda la norma generale antiabuso, gli esperti del Fondo muovono dalla constatazione che la giurisprudenza della Cassazione ha ampliato il novero delle circostanze in cui possono essere rinvenuti schemi di pianificazione fiscale dannosa, in quanto sono stati considerati abusivi anche casi in cui il contribuente si era semplicemente avvalso di benefici fiscali previsti e voluti, come tali, dalle norme introduttive. Ma il punto critico è proprio questo. Per un verso l’essenza della norma generale antiabuso – ad avviso degli esperti del Fondo – è permettere alle autorità fiscali di disconoscere gli atti e i negozi che non hanno ragioni economiche diverse dal vantaggio fiscale (e in questo senso il vigente art. 37 bis del Dpr 600 del 1973 – depurato del comma 3 con l’elencazione tassativa delle operazioni interessate – rappresenterebbe, secondo loro, un valido punto di partenza). Per un altro, tuttavia, questa regola non può essere spinta al di là del limite oltre il quale essa finirebbe per sovvertire e porre nel nulla le finalità tipicamente agevolative di ogni incentivo fiscale. E’ questo il confine che, in molti casi, è difficile tracciare, perché la sola presenza di un incentivo conduce, di per sé, il contribuente ad assumere decisioni e porre in essere comportamenti che, in sua assenza, non avrebbero altre valide ragioni economiche. A tal fine, il Fondo sottolinea la necessità di dotare l’ordinamento di nuovi strumenti di contrasto dell’abuso, di cooperazione e controllo come quelli previsti dagli attuali commi da 1 a 5 dell’art. 3 del progetto di Delega. Gli esperti del Fondo non si spingono oltre, e sposano, sul tema, un’impostazione molto vicina a quella prevalente in sede Ocse.
Il concetto Ocse di Pianificazione fiscale aggressiva (Aggressive Tax Planning). Sono possibili fonti di arbitraggio non solo le imperfezioni e le differenze strutturali di tassazione presenti nell’ordinamento interno, ma anche, e soprattutto, le asimmetrie che derivano dall’interconnessione delle strutture giuridiche dei differenti ordinamenti che interagiscono a livello europeo e internazionale e l’esplosione dei nuovi strumenti finanziari. E’ possibile costruire, con estrema facilità, forme giuridiche di comodo per trasformare la natura dei flussi reddituali e le caratteristiche delle entità, che – senza cambiare sostanza – possono fruire di regimi fiscali di favore; raddoppiare e moltiplicare, in più Paesi, il riconoscimento di perdite deducibili a fronte di un’unica perdita economica, o il riconoscimento di sgravi e rimborsi a fronte di un’unica imposta pagata in un paese terzo; avvalersi, altresì, di una fiorente industria di produzione di schemi di pianificazione aggressiva, sviluppata ad opera di quei medesimi consulenti e intermediari istituzionali cui i governi hanno affidato funzioni importanti di responsabilità e sostituzione d’imposta per conto e in luogo di altri[10]. In relazione a questi più affinati strumenti di pianificazione fiscale, si è diffusa anche a livello Ocse la consapevolezza (da cui muovono i principi enunciati nella Delega) che le imprese debbano rispettare sia la forma che la sostanza delle leggi[11] e che la certezza del diritto non può più essere assicurata, tout court, dalla forma giuridica delle operazioni, e debba essere ricostruita nella cooperazione e condivisione.
La crisi economica del 2008 segna un momento di forte discontinuità nella percezione negativa del fenomeno come fonte di iniquità tra capitale e lavoro e di alterazione della concorrenza per le imprese. A partire dal Comunicato di Cap Town del 10-11 gennaio 2008[12], l’Ocse ha sostituito il precedente concetto di “minimizzazione fiscale inaccettabile” con quello di “pianificazione fiscale aggressiva”, per tale intendendo un comportamento, di per sé sostenibile, ma che ha conseguenze indesiderate e inattese in termini di gettito; oppure, sotto altro punto di vista, la proposizione di posizioni favorevoli al contribuente, senza che incorra sugli intermediari l’obbligo di fare presenti i rischi e le incertezze che sussistono in merito alla corrispondenza tra la legge e lo schema di comportamento consigliato (o ceduto) al cliente. Non è questa la sede per dibattere su un tema molto presente in Italia agli operatoti del diritto tributario, ossia se, in tema di abuso, le valide ragioni economiche siano da considerare – quando assenti – un indizio di pianificazione fiscale aggressiva, oppure costituiscano – qualora siano provate – un’esimente idonea a ‘superare’ e legittimare anche comportamenti borderline. La circostanza che non siano rinvenibili ragioni diverse da quelle fiscali e che il relativo vantaggio fiscale giunga ‘inatteso’ non provano certamente – nella visione dell’Ocse – che si è in presenza di uno schema di pianificazione aggressiva, ma segnalano una situazione di pericolo, che deve essere subito intercettata (dall’Amministrazione finanziaria, oltre che dalle procedure interne di governance delle grandi imprese), prima che lo schema si diffonda e sia utilizzato[13]. Sarà infatti molto più facile in una prospettiva di cooperazione ex ante valutare se il comportamento in questione, adottato per meri motivi di opportunità fiscale, procuri un vantaggio (una doppia detassazione, un duplice riporto delle perdite, il riconoscimento multiplo di crediti …) indebito rispetto alla ratio della norma o ai principi generali dell’ordinamento, oppure se sia stato indotto, in via fisiologica, dal legislatore che ha inteso accordare proprio quel beneficio o rimuovere un ostacolo ad iniziative di ristrutturazione societaria. La certezza del diritto deve essere garantita a partire dai nuovi istituti di cooperazione tra contribuenti e Amministrazione finanziaria e dalle nuove modalità di accertamento ex ante dell’abuso, che la Delega vuole introdurre, sul modello Ocse della cooperazione rafforzata. Il contribuente si impegna a dotarsi di procedure interne di governance del rischio fiscale e controllo degli schemi di pianificazione ed, eventualmente, a comunicare all’Amministrazione finanziaria quelli che appaiano potenzialmente abusivi; e, a sua volta, l’Amministrazione finanziaria si impegna a intervenire tempestivamente, a condividere con gli altri Stati le best practices e ad introdurre istituti premiali di interesse per i contribuenti (semplificazioni, esclusioni o riduzioni di sanzioni)[14] in un contesto di fiducia e cooperazione.
Note:
[1] Il testo ha superato il vaglio della Camera senza sostanziali modifiche ed è ora all’esame del Senato. Ilgoverno ha messo e ottenuto la fiducia sul proprio maxiemendamento. L’originario testo, articolato in 17 articoli è stato accorpato in 4 articoli.
[2] International Monetary Fund, Fiscal Affairs Department, “Italy: The Delega Fiscale and the Startegy Orientation of Tax Reform”. A chiedere il parere del Fmi era stato il governo al momento del varo della delega.
[3] Il prelievo complessivo è del 42% per soci non qualificati (27,5% + 20% di (1-0,275))
[4] Per i soci qualificati con aliquota marginale del 43 per cento, il prelievo complessivo è, appunto, pari al 43% (27,5% + 43% del 49,72% di (1-0,275)).
[5] Per evitare arbitraggi, occorrerebbe quantomeno uniformare – avverte il Fmi – l’aliquota dell’imposta sul reddito delle società all’aliquota unica sui redditi di capitale. Se infatti la corporate tax è superiore alla aliquota sui redditi di capitali vi è un vantaggio fiscale a dare prestiti alle società (interessi passivi deducili,ad aliquota della corporate tax; interessi attivi tassati con l’aliquota unica più bassa)
[6] A parere del Fondo, la tassazione crescente sui consumi (aliquote Iva), la riduzione, sia pur modesta, del cuneo fiscale sul lavoro (con la deducibilità dall’Ires della componente lavoro dell’Irap) e in particolare, il rafforzamento della tassa sul patrimonio (dall’Imu sugli immobili all’imposta di bollo sui titoli) sono, comunque, indicativi dell’intenzione di indirizzarsi anche verso basi imponibili nuove.
[7] Ad esempio le tante, differenti opzioni per le imposte sostitutive.
[8] Il Fmi ricorda che nel 2011 l’Italia è il sesto paese Ocse con il carico fiscale più alto sui redditi da lavoro.
[9] Sul punto, il testo approvato dalla Camera non prevede più l’unificazione del trattamento anche per i professionisti.
[10] Cfr. Ocse Tackling Aggressive Tax Planning Through Improved Trasparancy and Disclosure,2011; Ocse Corporate Loss Utilisation throught Aggressive Tax Planning 2011; Ocse Hybrid Mismatch Arrangements, 2012.
[11] Ocse, Guidelines for Multinational Enterprises,2011 Cap. XI Taxation
[12] Cfr. Forum Ocse On Tax Administration summit di Cape Town 10-11 gennaio 2008 ricerca di più efficaci strategie contro la pianificazione fiscale aggressiva. Cap Town Declaration 82008)
[13] Da parte delle imprese di maggiori dimensioni, Ocse chiede l’attivazione di controlli interni e l’individuazione di responsabilità che coinvolgano non solo gli uffici fiscali ma i vertici delle società . Ladisclosure degli schemi aggressivi è utile per l’Amministrazione finanziaria e per i contribuenti che sono in grado di conoscere e valutare il livello di rischio che si assumono con la loro adozione
[14]Cfr. Ocse Buiding Trasparent Tax Compliance by banks 2009; Ocse Code Of Conduct for Revenue Bodies and Banks; Paper Ocse Istanbul 2010