Pronto un emendamento sugli immobili ecclesiastici: “Esenti soltanto gli edifici non commerciali”
La Chiesa dovrà pagare l’Ici sugli enti commerciali. Per l’esenzione di cliniche, scuole e pensionati non basterà più avere quindi all’interno dell’immobile una struttura religiosa (che rimarrà esente), il fisco guarderà alla destinazione prevalente, individuando un rapporto percentuale tra le due attività, e su tutto il resto si pagherà il dovuto. Il presidente del Consiglio, Mario Monti, ha comunicato ieri ufficialmente al vicepresidente della Commissione europea, Joaquin Almunia, la sua intenzione di presentare al Parlamento «un emendamento che chiarisca ulteriormente e in modo definitivo la questione», che ha generato molte polemiche e sulla quale la Commissione europea ha aperto, dopo un esposto del Partito radicale, nel 2010, una procedura di infrazione per violazione della concorrenza ed illegittimo aiuto di Stato. La decisione di Monti arriva proprio alla vigilia della cerimonia per i Patti Lateranensi, ma il tema era comunque sul tavolo già da qualche tempo. Lo scorso dicembre Bagnasco si era detto «disponibile a chiarire, a fare alcune precisazioni, qualora queste precisazioni si rivelino necessarie». A fine gennaio, poi, la Cei aveva resa nota la propria «disponibilità», visto che si tratta di «materia di tipo unilaterale e non concordataria», cioè «una legge dello Stato: e alle leggi si obbedisce».L’iter storico. Quella del Vaticano e dell’Ici è una storia lunga, che dura ormai da venti anni. Era il 30 dicembre 1992 quando il decreto legislativo n. 504 venne varato dal primo governo di Giuliano Amato: il testo stabiliva alcune esenzioni per le proprietà della Chiesa. Nell’articolo 7 della norma, tra gli immobili che risultavano esentati dall’imposta comunale figuravano «i fabbricati di proprietà della Santa Sede indicati negli articoli 13, 14, 15 e 16 del Trattato lateranense, sottoscritto l’11 febbraio 1929 e reso esecutivo con legge 27 maggio 1929, n. 810». Ma la questione su quale tipo di edifici e proprietà dovessero essere esentati e quali no ha portato negli anni a diversi procedimenti giudiziari. Fino a che la norma è stata in parte bocciata nel 2004, quando la Corte di Cassazione ha stabilito, con due sentenze, che per quello che riguarda il diritto all’esenzione Ici: «tanto gli enti ecclesiastici che quelli con fini di istruzione o di beneficenza sono esentati dall’imposta, limitatamente agli immobili direttamente utilizzati per lo svolgimento delle loro attività istituzionali […] non lo sono, invece, per gli immobili destinati ad altro». L’esenzione stabilita nel decreto del ’92 fu poi reintrodotta con il decreto legge del 17 agosto 2005, in cui il terzo Governo di Berlusconi cambiò la vecchia normativa, includendo gli immobili destinati ad attività commerciali tra quelli compresi nel diritto all’esenzione. Il contenuto del decreto, decaduto per mancata conversione in legge nei tempi utili, venne poi ripreso nel decreto fiscale collegato alla legge finanziaria 2006, in cui l’esenzione si estendeva anche alle organizzazioni no-profit e alle Chiese con cui lo Stato aveva stretto un’intesa. Ma nel 2006 il secondo Governo Prodi ha modificato nuovamente la legislazione. Tuttavia un emendamento alla legge, votato da esponenti di entrambi gli schieramenti, permette, fino ad oggi, di mantenere l’esenzione per le sedi di attività che abbiano fini «non esclusivamente commerciali».
Il valore dell’esenzione. Se la Cei a inizio gennaio 2012 ha dichiarato su Avvenire che l’esenzione vale forse anche meno di 100 milioni, in tempi recenti si è parlato di cifre che vanno dai 500-700 milioni stimati dall’Anci ai 2,2 miliardi stimati dall’Ares, l’Associazione ricerca e sviluppo sociale. Mentre il presidente dell’Anci, Graziano Del Rio, ha proposto innanzitutto un censimento degli immobili, visto che molti non sarebbero neppure denunciati al catasto, in particolare per individuare quelli adibiti a uso commerciale. Secondo stime realizzate sul web si parla di un totale di 100 mila immobili, di cui 9 mila sono scuole, 26 mila strutture ecclesiastiche e quasi 5 mila strutture sanitarie. Secondo stime non ufficiali dell’Agenzia delle entrate, si tratterebbe di un potenziale introito di due miliardi di euro all’anno.
Gli arretrati. La disponibilità del Vaticano ha agevolato il lavoro del governo in vista di un’interpretazione autentica della norma. Nel dossier che è stato preparato dai tecnici del Ministero dell’Economia, si parlava di una posizione «dura» della Commissione europea (la sentenza è attesa entro maggio), che lascia prevedere una bocciatura del regime agevolativo. Con una conseguenza di non poco conto: l’obbligo di recuperare l’imposta non pagata dalla Chiesa a partire dal 2005, da parte dei Comuni. Se invece la norma verrà riscritta prima, come ha annunciato ieri Palazzo Chigi, la procedura di infrazione dovrebbe fermarsi e gli arretrati non saranno più dovuti. Se si fa un’ipotesi prudenziale di circa 200 milioni l’anno, ciò vuol dire un risparmio (in sei anni) di circa un miliardo e duecento milioni.
I criteri. Nell’emendamento alla legge attuale si attueranno i seguenti criteri: innanzitutto l’esenzione farà riferimento solo ed esclusivamente agli immobili nei quali si svolge in modo esclusivo un’attività non commerciale (come ad esempio gli edifici di culto, gli oratori, eccetera…). Verranno invece abrogate le norme che prevedono l’esenzione per immobili dove l’attività non commerciale non sia esclusiva, ma solo prevalente. Inoltre l’esenzione sarà limitata alla sola frazione di unità immobiliare nella quale si svolga l’attività di natura non commerciale. Sarà infine introdotto un meccanismo di dichiarazione vincolata a direttive rigorose stabilite dal ministro dell’Economia circa l’individuazione del rapporto proporzionale tra attività commerciali e non commerciali esercitate all’interno di uno stesso immobile.
La reazione della Cei. Come era già chiaro dal confronto diplomatico in atto oramai da qualche mese, la novità non trova l’opposizione della Conferenza Episcopale Italiana. Anzi, la Cei ha dichiarato che «ogni intervento volto a introdurre chiarimenti alle formule vigenti sarà accolto con la massima attenzione e senso di responsabilità». Certo però – hanno messo in guardia i vescovi italiani – bisognerà fare attenzione che «sia riconosciuto e tenuto nel debito conto il valore sociale del vasto mondo del no profit». Stupore, invece, è stato espresso dai Comuni, che sono i destinatari del maggior gettito, per non essere stati consultati.