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sabato 5 Ottobre 2024
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Il debito e la tassazione ai tempi di Papa Chigi, Alessandro VII

Tra la situazione economica e finanziaria dello Stato Pontificio negli anni del Papato di Fabio Chigi, che fu
Vicario di Cristo dal 7 aprile 1655 alla sua morte il 22 maggio 1667, e la congiuntura che stiamo vivendo in
questi giorni nel nostro Paese ci sono molte analogie da cui si potrebbe trarre qualche insegnamento
nonostante siano trascorsi più di due secoli e mezzo.
Come spesso è accaduto nella storia del potere temporale della Chiesa la spesa per mantenere ad un livello
adeguato la vita e l’immagine esteriore dell’istituzione religiosa fu in quegli anni di gran lunga superiore a
quelle che erano le entrate per sostenerla.
La Camera Apostolica, l’allora Ministero dell’economia dello Stato Pontificio, fu, quindi, costretta, per
supportare l’attività del Papa, ad indebitarsi, ricorrendo a prestiti, attraverso l’emissione di titoli pubblici,
chiamati “monti”.
Tenendo conto delle differenze dimensionali e temporali fra quei tempi ed oggi, si stima che il debito dello
stato Pontificio era, come ordine di grandezza, quantitativamente paragonabile a quello accumulato negli
ultimi cinquant’anni dalla nostra repubblica.
Probabilmente nel confronto il debito dell’allora stato Pontificio era in proporzione d’importo più
considerevole in quanto le entrate ordinarie derivanti dalle imposte erano modeste, a differenza
dell’odierna tassazione di massa, in quanto alla raccolta contribuivano in pochi e per di più non sulla base
dei loro redditi e della loro ricchezza. Le tasse, infatti, gravavano prevalentemente sulla produzione, sui
consumi e sul transito delle merci. È anche vero che la Camera Apostolica godeva anche di altre entrate in
genere retaggio del passato feudale ma si trattava di entrate prevalentemente occasionali.
Dal punto di vista economico a questa situazione si poteva fare fronte in due modi o aumentando la
tassazione o riducendo la spesa. Si scelse, al contrario, una terza via che fu quella di rimborsare “i monti”
alla pari annullando gli interessi e l’impossibilità di restituire l’obbligo contratto originò ovviamente un
impoverimento generalizzato in una realtà economica già in decadenza.

È, tuttavia, interessante ed utile in questo contesto esaminare, anche alla luce di ciò che sta accadendo ora
in Italia, non solo l’alto prezzo pagato dalla popolazione romana ma anche gli interventi che furono presi,
per fronteggiare la crisi e avviare un minimo di ripresa, da parte di Papa Chigi.
Alessandro VII divenne Papa in un periodo in cui il ruolo internazionale della città eterna e del Vaticano si
stava progressivamente indebolendo e Roma di conseguenza oltre a perdere abitanti decadeva nelle
condizioni di vita e ambientali, divenendo sempre più città marginale. Per di più nel 1656 fu colpita da una
terribile epidemia di peste che la martoriò ulteriormente per ben due anni.
La salvaguardia della salute e il contrasto alla diffusione della malattia divennero il principale obiettivo non
solo dei romani ma anche delle autorità ecclesiastiche che li governavano. Aumentare le entrate con nuove
tasse in questa situazione era improponibile né si poteva considerare di ridurre le spese.
In un momento così difficile che forse poteva segnare la decadenza irreversibile della città, Papa Chigi,
fermo ed incrollabile nelle sue convinzioni, mise le basi con una serie di interventi sul tessuto urbanistico ed
architettonico per avviare il rinnovamento e la rinascita di Roma.
C’era nel Papa, infatti, la certezza che con un insieme di opere di risanamento e ristrutturazione del tessuto
edilizio, promosse direttamente dalla sua autorità, si potesse riqualificare, modernizzare e rilanciare
l’immagine e la dignità di Roma, avvicinandola con la sua storia millenaria, a quella delle altre capitali
europee e che, con la contemporanea offerta di lavoro ad una moltitudine di disoccupati e diseredati, si
potesse rimettere in moto l’economia.

I suoi propositi, con l’ausilio di architetti come Gian Lorenzo Bernini, Francesco Borromini, Piero da
Cortona, Carlo Fontana e Carlo Rainaldi avviarono un gran numero di cantieri che cambiarono il volto della
città dandogli quell’impronta barocca che tuttora la contraddistingue. Molte di queste opere il Papa le seguì
in prima persona. Fu, in pratica, sotto la sua direzione che venne ristrutturato il percorso che dall’accesso a
nord di Piazza del Popolo portava i pellegrini, attraverso Via del Corso e i rioni di Parione e Ponte, a San
Pietro.
Seguì la realizzazione e il completamento di alcune chiese che ancor oggi caratterizzano la città barocca tra
le quali Sant’Andrea al Quirinale del Bernini, Sant’Agnese in Agone a Piazza Navona del Borromini, portata a
termine da Carlo Fontana, Santa Maria della Pace di Pietro da Cortona e Santa Maria in Campitelli di Carlo
Rainaldi. Tutto ciò in poco più di un decennio.
Ma l’intervento che più di tutti darà lustro al suo Pontificato e riqualificherà Roma come capitale del
cattolicesimo è la sistemazione di Piazza San Pietro con l’ellisse del colonnato del Bernini ormai simbolo
dell’universalità della Chiesa che abbraccia il mondo.
È utile riflettere, oggi, su come Alessandro VII e la Camera Apostolica affrontarono la gravissima crisi
economica causata, anche allora, principalmente da una epidemia. Innanzitutto, non si preoccuparono del
debito di bilancio ma puntarono tutto su una politica espansiva con un serio e affidabile piano di
rinnovamento e modernizzazione della città.
Anche oggi il tutto dipende dalla messa a punto di un piano d’investimenti credibile ed attuabile, senza
sprechi e ruberie, che sia effettivamente in grado di rilanciare e dare un futuro al Paese; ora come allora è
necessario puntare sulla qualità dell’azione che, accompagnata da riforme adeguate, costruisca per gli
italiani un domani dignitoso.

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