Nel 1555, in piena controriforma, Papa Paolo IV Carafa, con la bolla “Cum nimis absurdum” stabiliva per gli ebrei romani l’obbligo di risiedere e di trascorre la notte in una specifica zona della città, situata di fronte all’isola di San Bartolomeo (Isola Tiberina). A tal fine l’area fu delimitata da un muro con delle porte da cui gli ebrei potevano uscire dopo l’alba e rientrare prima del tramonto.
Qualche anno dopo, durante il Pontificato di Gregorio XIII (1572-1585), Boncompagni, gli ebrei del ghetto furono obbligati a radunarsi tutti i sabati nelle Chiese limitrofe al Ghetto (Sant’Angelo in Pescheria, Santa Maria del Pianto, San Gregorietto) per ascoltare le prediche di religiosi ai fini della loro conversione al cattolicesimo. Il servizio di conversione, fornito dal Sant’Uffizio, l’organo deputato al controllo del rispetto dell’ortodossia cristiana, non era gratuito ma per il suo svolgimento gli ebrei dovevano pagare alla Camera Apostolica, il Ministero dell’Economia dello stato Pontificio, una tassa, chiamata Preatico.
Per due secoli gli ebrei romani del ghetto furono costretti a sottostare a questa imposizione e a corrispondere il Preatico alla Camera Apostolica. Sin dall’inizio, visto il forte bisogno finanziario della Santa sede in quegli anni, ci fu nei funzionari del
Sant’Uffizio e della Camera Apostolica il sospetto che il preatico era largamente evaso in quanto rispetto all’ammontare delle entrate dovute la popolazione residente sembrava assai più elevata. Occorre anche rilevare che nel Ghetto i fatiscenti edifici abitativi, logorati dall’umidità del fiume, occupavano il massimo spazio possibile sia in orizzontale che in verticale. La sensazione che il Preatico era largamente evaso si trasformò nel tempo in una vera e propria ossessione in quanto la stima degli ebrei residenti nel Ghetto arrivò a valutare, all’inizio del Settecento, il loro numero in oltre quindicimila mentre ciò che entrava dal Preatico corrispondeva a meno di un terzo di questa cifra.
Per tale ragione nel 1733 si arrivò ad un vero e proprio censimento, la “Descriptio Hebreorum” per stabilire in modo corretto il numero dei residenti. Questa rilevazione sul campo smentì inaspettatamente le stime fino ad allora fatte in quanto gli ebrei che
popolavano il Ghetto erano poco più di 4.000 appartenenti a poco meno di 900 famiglie e, quindi, l’evasione al Preatico era praticamente inesistente. Da questo curioso episodio storico si possono trarre due insegnamenti. Il primo è che l’evasione per essere correttamente quantificata ha bisogno di opportuni strumenti di rilevazione e il secondo che la tracciatura all’origine dei soggetti e dell’ammontare degli oggetti d’imposta (ad esempio i ricavi) è fondamentale per contrastare l’evasione. (Spunto dal libro “Gli abitanti del ghetto di Roma” a cura Angela Groppi – Editore “Viella”. Roma 2014)