Di Radar
La norma “acchiappa-ricchi” introdotta dalla legge di Bilancio 2017 potrebbe presentare profili di incostituzionalità. Contenuta all’art. 22 della sezione normativa del testo votato dalla Camera dei Deputati e approvata senza modifiche dal Senato il 7 dicembre, la norma è stata allora descritta dal Servizio studi di Camera e Senato come “un’imposta sostitutiva forfettaria sui redditi prodotti all’estero”. In particolare, argomentano i tecnici parlamentari, il comma 5 – introducendo un articolo 24-bis nel Testo unico delle imposte sui redditi – TUIR, di cui al D.P.R. n. 917 del 1986 – consente alle persone fisiche che trasferiscono la residenza fiscale in Italia di optare per l’applicazione di una imposta sostitutiva sui redditi prodotti all’estero, a specifiche condizioni. Destinatari della norma (comma 1 del nuovo articolo 24-bis) sono le persone fisiche che trasferiscono la residenza fiscale in Italia ai sensi dell’articolo 2, comma 2 TUIR. Esse non devono essere state residenti in Italia in almeno nove dei dieci periodi d’imposta che precedono l’inizio del periodo di validità dell’opzione. L’imposta sostitutiva colpisce i redditi prodotti all’estero. Il comma 2 del nuovo articolo 24-bis del TUIR fissa la misura dell’imposta sostitutiva, calcolata in via forfettaria, a prescindere dall’importo dei redditi percepiti, nella misura di 100.000 euro per ciascun periodo d’imposta in cui è valida la predetta opzione. L’importo è ridotto a 25.000 euro per ciascun periodo d’imposta per ciascuno dei familiari (di cui al comma 6) a cui il soggetto passivo può chiedere di estendere l’applicazione dell’imposta sostitutiva. L’imposta è versata in un’unica soluzione entro la data prevista per il versamento del saldo delle imposte sui redditi. Per l’accertamento, la riscossione, il contenzioso e le sanzioni si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni previste per l’imposta sul reddito delle persone fisiche. Essa non è deducibile da nessuna altra imposta o contributo. Ai sensi del comma 4 l’opzione è revocabile; comunque cessa di produrre effetti decorsi quindici anni dal primo periodo d’imposta di validità. Gli effetti dell’opzione cessano in ogni caso in ipotesi di omesso o parziale versamento, in tutto o in parte, dell’imposta sostitutiva, nella misura e nei termini previsti dalle vigenti disposizioni di legge, fatti salvi gli effetti prodotti nei periodi d’imposta precedenti. La revoca o la decadenza dal regime precludono l’esercizio di una nuova opzione. Così come è stata concepita la nuova imposta “a forfait” comporta quindi sconti fiscali dall’ammontare del tutto inedito, anche se riferita alle analoghe adottate in altri sistemi fiscali europei, al punto da configurare un evidente profilo d’incostituzionalità. Per fare un esempio, chi incamera all’estero 10 milioni di euro si vedrebbe applicata un’aliquota pari all’1% del reddito, molto meno di quanto pagato da un operaio o da un bracciante. Il criterio di progressività a cui dovrebbe esplicitamente informarsi tutto il sistema tributario italiano (art. 53, c. 2) è stato evidentemente accantonato, sostituendolo con un vantaggio fiscale attribuito solo in ragione della ricchezza e della residenza estera del contribuente da “attirare” in Italia. Esattamente l’opposto di quanto sancito dal testo costituzionale. Gli effetti sull’equità del sistema fiscale sono intollerabili. Pensata per attrarre ricchi, la norma rischia inoltre di incentivarli a produrre e investire al di fuori del paese, proprio in ragione dell’imposizione più vantaggiosa. Ad aumentare i sospetti di incostituzionalità vi è anche il tempo di applicabilità dell’imposta sostitutiva a regime agevolato: ben quindici anni.