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lunedì 10 Marzo 2025
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Irap, finanzia il sistema sanitario ed è a prova di elusione, un errore abolirla

In tutti i Paesi ove esiste un Sistema Sanitario Nazionale i datori di lavoro, insieme ai loro dipendenti, contribuiscono al suo finanziamento in quanto il funzionamento delle strutture produttive dipende dalla salute e dalla buona forma fisica della forza lavoro impiegata.
In Italia, dove il Ssn è articolato per Regioni, il mondo datoriale contribuisce dall’anno d’imposta 1998 al suo finanziamento attraverso l’Imposta Regionale sulle Attività Produttive, Irap, che va ad alimentare, su base territoriale, le casse della Regione in cui l’attività produttiva si è svolta.

La sua introduzione nel 1998 (DLgs 446/1997) realizzò una significativa razionalizzazione e semplificazione del sistema: l’Irap infatti sostituì i contributi per l’assistenza sanitaria, pagati in parte dal datore di lavoro e in parte dal dipendente, l’Imposta Locale sui Redditi (Ilor), Imposta Comunale per l’esercizio di Imprese Arti e Professioni (Iciap), l’Imposta sul patrimonio netto, la tassa sulla partita Iva, la tassa sulla salute (contributo al Servizio Sanitario Nazionale) ed altri tributi minori e tasse di concessione comunali.

Il presupposto dell’imposta è l’esercizio abituale di un’attività diretta alla produzione o allo scambio di beni ovvero alla prestazione di servizi; e quindi, in linea di massima, riguarda tutti i contribuenti Iva.
L’imposta si applica sul valore della produzione netta realizzata nel territorio di ciascuna regione. Sostanzialmente l’imponibile è dato dalla differenza tra ricavi e costi, escludendo però le spese per il personale e concettualmente, finisce col coincidere con la differenza tra volume d’affari e volume d’acquisti. L’imposta dovuta non è deducibile dall‘imponibile assoggettato all’imposta sui redditi (Irpef e Ires); per ripartire l’Irap a livello regionale, si suddivide la base imponibile in proporzione alle retribuzioni spettanti al personale addetto alle sedi operanti nel territorio di ciascuna regione. I soggetti senza dipendenti o collaboratori pagano l’Irap nella regione in cui hanno la sede sociale. L’Irap è dovuta anche dagli Enti pubblici per i quali l’imponibile si determina in modo diverso.

Mentre i datori di lavoro contribuiscono al Ssn con l’Irap, I lavoratori a loro volta contribuiscono con la fiscalità generale o meglio con parte del dovuto delle loro Imposte personali, Irpef ed Addizionale Regionale all’Irpef.
Il mondo datoriale delle imprese e dei professionisti non ha mai amato la logica della riforma fiscale che ha introdotto l’Irap e con il passare del tempo ha sempre più ignorato le motivazioni di solidarietà sociale e di razionalità e semplificazione del sistema fiscale e degli adempimenti dei contribuenti che avevano portato alla sua introduzione. Alla base di questa progressiva e martellante propaganda per la sua abolizione vi è anche il fatto che l’Irap si è rivelata una imposta difficile da eludere ed evadere. Infatti dopo la sua introduzione, a parità di condizioni, si è avuto un consistente aumento del gettito relativo con riduzione dell’evasione causata in particolare dalla complicata gestione delle imposte minori soppresse.

Nell’anno d’imposta 2018 l’IRAP dichiarata è stata pari a 24,1 miliardi di euro poco più del 20% della spesa sanitaria che è stata pari a 116 miliardi di euro. Inizialmente un anno d’imposta dell’Irap valeva più di 30 miliardi. La percentuale dell’apporto al Ssn del mondo datoriale, compresa l’amministrazione pubblica, si è nel tempo progressivamente ridotta di almeno dieci punti percentuali per l’esclusione dall’Irap e per la riduzione delle aliquote, in alcuni settori economici e per alcune tipologie di contribuenti; per la concessione di alcune agevolazioni nella determinazione dell’imponibile e per alcune attività professionali svolte in modo non completamente autonomo, come quella dei medici di famiglia, a cui è stata riconosciuta l’assenza d’una stabile organizzazione.

Questo rilevante decremento percentuale non accompagnato da una contemporanea riduzione dell’Irpef costituisce un primo squilibrio non equo in quanto l’onere della corrispondente spesa del Servizio Sanitario Nazionale si è trasferito dal mondo datoriale a quello della fiscalità generale e sostanzialmente all’Irpef e all’Addizionale Regionale la cui aliquota media per i redditi compresi fra 35.000 euro e 50.000 euro è elevatissima arrivando al 25% e in alcune regioni addirittura superandolo; l’aliquota marginale, a sua volta, in alcune regioni va oltre il 40%.

A fronte di questo trasferimento dal mondo datoriale alla fiscalità generale suscita, quindi, notevoli perplessità l’affermazione contenuta nel “Documento conclusivo approvato dalla commissione sull’indagine conoscitiva sulla riforma dell’imposta sul reddito delle persone fisiche e altri aspetti del sistema tributario” sulla “necessità di una riforma che porti al superamento dell’Imposta Regionale sulle Attività Produttive” … “Nell’ottica di una semplificazione del sistema tributario”.

Il tema assume un maggior rilievo anche in considerazione del fatto che la pandemia da Covid ha comportato un notevole incremento della spesa sanitaria sia quella corrente per i costosi ricoveri in strutture altamente specializzate, l’acquisto e la somministrazione dei vaccini, le complesse attrezzature di cura necessarie e così via che quella d’investimento in quanto lo sviluppo e l’andamento della malattia ha evidenziato le carenze d’un sistema pubblico che ha necessità nel medio e lungo periodo di essere riorganizzato, migliorato, accresciuto e valorizzato nella distribuzione dei presidi sanitari, nelle competenze professionali specifiche del personale e nella ricerca.

Se è vero che superare o abolire l’Irap significa oltre che semplificare il sistema fiscale anche sgravare la tassazione sulle attività produttive delle imprese e dei professionisti e quindi aumentarne la loro competitività è anche maggiormente vero che a fronte della crescente spesa sanitaria ci sarà bisogno di aumentare le risorse economiche per il suo finanziamento e il tutto potrebbe trasformarsi in un ulteriore aggravio della fiscalità generale per i contribuenti persone fisiche.

Per evitare ciò la perdita delle entrate Irap potrebbe essere recuperata interamente, almeno per le società, con un aumento dell’Ires e questo significherebbe semplicemente semplificare il sistema ma non aumentare la produttività e la competitività delle imprese.
Ma c’è un’altra ragione, strettamente legata alla natura e alla specificità di questa imposta, che spinge verso un suo mantenimento e che spesso nel dibattito viene sottovalutata.

Questa ragione è connessa alla distribuzione territoriale dei fattori che incidono sulla produzione che in un sistema sanitario federale consentono di far rimanere le risorse economiche provenienti dall’imposta nell’area geografica che le ha generate. Si crea in questo modo una relazione biunivoca fra entrate e spesa sanitaria finanziata. Tra l’altro la territorializzazione dell’imposta la svincola dal luogo in cui risiede ed è governata l’impresa o l’attività professionale, la sede legale della stabile organizzazione, rendendo quanto mai complesso, in caso di abolizione, ridistribuire le entrate dell’Ires o dell’Irpef per regione di produzione. Probabilmente pochi hanno familiarità con le statistiche sulle dichiarazioni Irap che sono una formidabile rappresentazione di dove si svolgono le attività produttive nel nostro paese; una mappa molto diversa da quella che riproduce, attraverso l’Ires o l’Irpef, la localizzazione di chi le dirige.

Ma è proprio da questo punto di vista che abolire l’Irap significherebbe in futuro negarsi una potenzialità enorme per tassare le imprese e le attività professionali nelle regioni in cui queste svolgono la produzione ai fini di sostenere economicamente non solo la Sanità pubblica ma anche altri settori del nostro federalismo.

In sostanza il criterio della territorializzazione è lo stesso che si vorrebbe applicare per tassare in qualche modo le multinazionali, localizzate nei paradisi fiscali fuori dall’Italia; i tentativi di tassazione in atto non fanno che replicare il criterio impositivo territoriale, in questo caso su base nazionale, alle imprese multinazionali non residenti che realizzano ricavi nel nostro Paese.

Questa tendenza internazionale, in un’Unione Europea che va verso una fiscalità comune, costituisce un vantaggio d’esperienza e di conoscenza dei meccanismi per un paese che con l’Irap già applica il criterio; vantaggio che si annullerebbe con l’abolizione dell’imposta.
Il grande pregio dell’Irap è, quindi, la sua “trasparenza territoriale” cosa che si perderebbe con il semplice trasferimento dell’onere sull’Ires e sull’Irpef. Forse, e non è azzardato affermarlo, si potrebbe per aumentare la competitività e semplificare il sistema fiscale abbassare l’Ires e rivedere le aliquote dell’Irap, mantenendola perché, dal punto di vista tecnico, è un’imposta che risponde in maniera adeguata allo scopo per cui fu creata di sostenere la Sanità pubblica.

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