A più di 25 anni dall’istituzione formale e a nove dalla realizzazione, l’agenzia delle Entrate prova a puntare sull’archivio dei rapporti finanziari per combattere l’evasione fiscale. E lo fa spinta dalle indicazioni della Corte dei conti che, nella relazione del luglio dello scorso anno, ha segnalato «il chiaro sottoutilizzo» della mole di informazioni comunicate dalle banche e dagli altri operatori finanziari al Fisco.
Si tratta dei dati sull’apertura e la chiusura dei rapporti finanziari, ma anche delle informazioni sui saldi e i movimenti di conti correnti, conti di deposito, rapporti fiduciari, carte di credito e altri rapporti finanziari. Dati che l’Agenzia avrebbe dovuto sfruttare – ha rilevato la Corte dei conti – per predisporre «liste selettive» di contribuenti a maggior rischio di evasione (come ha previsto il decreto legge 201/2011) e per condurre «analisi del rischio» di evasione (come indicato dalla legge di Stabilità del 2015). Ma fino al luglio dello scorso anno, si legge nella relazione dei magistrati contabili, «deve registrarsi l’inesistenza di selezioni di contribuenti attraverso lo strumento dell’archivio dei rapporti finanziari». Questo benché lo strumento – dopo una gestazione lunga e complessa – sia funzionante e utilizzato per altri tipi di accertamenti e indagini, anche penali.Ora le Entrate provano a mettere l’archivio dei rapporti finanziari al servizio delle finalità per cui era stato pensato in origine. Tanto che «la sperimentazione» per il suo utilizzo nelle analisi di rischio è finita tra gli strumenti chiave per la lotta all’evasione nel piano della performance 2018-2020 presentato dall’agenzia delle Entrate a fine gennaio. Il Fisco, in particolare, si propone di mettere sotto la lente quest’anno le persone fisiche e nel 2019 quelle giuridiche.