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lunedì 10 Marzo 2025
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La pressione fiscale aumenta ma l’occupazione non c’entra

“Mi trovo un po’ in imbarazzo a dover spiegare a dei parlamentari della Repubblica una cosa del genere, ma forse ci aiuta con i cittadini. Quando aumenta la pressione fiscale, non è necessariamente perché aumentano le tasse” quindi “perché aumentano i dati sulla pressione fiscale? Perché c’è più gente che lavora, perché questo governo ha portato il record di proventi dalla lotta all’evasione. Quindi le entrate aumentano quando le tasse non aumentano”.

Così il 3 marzo scorso, ospite di un programma televisivo, la presidente del Consiglio Giorgia Meloni si è difesa dai partiti dell’opposizione che sulla base della crescita della pressione fiscale accusano il governo di aver aumentato le tasse.

Secondo l’Istat nel 2024 le imposte e i contributi incassati dallo Stato hanno raggiunto il 42,6% del prodotto interno lordo, oltre un punto percentuale in più rispetto al 2023.

L’affermazione di Meloni ha suscitato una certa sorpresa per la sua infondatezza economica anche tra gli osservatori più disattenti.

Come noto la pressione fiscale esercitata su cittadini e imprese si determina calcolando il rapporto in percentuale tra l’ammontare delle imposte e dei contributi versati e il Prodotto interno lordo, definibile come la somma dei redditi percepiti nel periodo di riferimento, compreso salari e stipendi.

L’aumento del monte retributivo, dovuto alla nuova occupazione segnalata dalla Presidente del Consiglio, agli scarni miglioramenti contrattuali e all’emersione dal lavoro nero che comporta la formalizzazione di rapporti già esistenti in nuovi contratti (assai poveri), determinerebbe per la statistica anche una crescita del Pil di pari importo.

Come appare intuitivo, se il fattore di crescita delle entrate fosse legato solo all’incremento dell’occupazione e allo scarso gettito aggiuntivo (e non strutturale), apportato principalmente dai provvedimenti di condono, il rapporto dovrebbe rimanere invariato. La pressione fiscale al contrario aumenta, ma per motivi assai meno virtuosi.

La causa principale dell’andamento piatto del denominatore è la sostanziale stagflazione complessiva, con punte fortemente recessive nell’industria, in cui versa l’economia italiana e la contrazione dei consumi. Al numeratore del rapporto, il fenomeno crescente del “fiscal drag” da imposte dirette e indirette spinge verso l’alto il prelievo fiscale mentre l’inflazione erode le retribuzioni reali. In definitiva i prezzi aumentano insieme alle retribuzioni nominali e lo Stato ci lucra.

Il risultato è che in piena crisi economica i contribuenti che non evadono si ritrovano a pagare anche più tasse.

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