Pagare le tasse non è nè bello nè brutto. E’ semplicemente utile e se qualcuno non paga altri pagano anche per lui o si impoverisce il paese con meno servizi per i cittadini. Meno entrate significa meno ospedali, meno scuole e meno asili.
di A. Z.
Tra la “comprensione” per gli evasori fiscali dichiarata un po’ di tempo fa da Silvio Berlusconi e l’affermazione di Tommaso Padoa Schioppa che “pagare le tasse è bello”, fatta durante l’ultimo governo Prodi, c’è di certo un abisso. Ma quello che importa, e che vorremmo fosse chiaro a tutti, è che il fatto di “dover” pagare le tasse non è né bello né brutto: è semplicemente utile a tutti e se qualcuno non paga ne pagano di più gli altri o si impoverisce il paese. Un esempio? I guasti sociali e economici provocati dai tagli all’istruzione praticati per bilanciare il ridimensionamento delle entrate tributarie. E non è solo un fatto di equità economica, dall’evasione fiscale non consegue solamente che qualcuno paga di più e qualcuno meno. Ne derivano effetti negativi su tutto il sistema sociale.
Il presupposto del sistema tributario è che le spese necessarie per la sussistenza di un’organizzazione sociale si devono necessariamente realizzare anche senza il consenso dei singoli in base alle leggi dello Stato. Ed è per questo che la Costituzione, all’art. 53, prevede che: “Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Il sistema tributario è informato a criteri di progressività.” L’evasione fiscale, invece, determina il contrario della progressività. Poiché la percentuale maggiore delle entrate proviene da chi ha il prelievo alla fonte, essenzialmente, anche se non esclusivamente, lavoratori dipendenti e pensionati, costoro contribuiscono all’introito fiscale dello Stato più di coloro che hanno redditi elevati e in sostituzione di coloro che evadono. Nello stesso tempo il prelievo complessivo trova un ostacolo nell’evasione e ne limita il valore complessivo riducendo le risorse pubbliche.
I recenti tagli all’istruzione, al di là di ogni valutazione strettamente politica sull’attività dell’attuale governo, ci possono dare un esempio di come l’evasione costituisca un danno alla collettività non solo di tipo strettamente economico ma anche e soprattutto sociale. Uno studio dell’Università Bocconi e della Fondazione Rodolfo Debenedetti sui rendimenti privati e sociali dell’istruzione ne ha evidenziato alcune conseguenze che qui, molto sinteticamente, riportiamo:
• I paesi con 12 anni di istruzione medi pro capite hanno un reddito 8 volte superiore a quelli con 6 anni.
• C’è una forte relazione positiva tra istruzione, occupazione e salari. (Anche se: individui più abili ottengono un più alto livello di istruzione, dunque parte della correlazione può essere dovuta all’abilità, non all’istruzione per se).
• Si registra una grande variabilità tra paesi nei tassi di occupazione di uomini con bassi livelli di istruzione.
• Tale variazione è minore tra uomini più istruiti.
• Maggiori livelli di istruzione sono associati a un aumento delle donazioni in denaro e tempo.
• Maggiore istruzione è correlata significativamente alla partecipazione al voto.
• Più alti livelli di istruzione sono associati positivamente a ricerca, sviluppo e diffusione della tecnologia.
• Maggiore istruzione è significativamente correlata a inferiori tassi di criminalità.
• I rendimenti sociali dell’istruzione sono più grandi dei rendimenti privati.
Negare risorse all’istruzione significa, quindi, vanificare tali effetti. Ci sembra un esempio utile a smentire una delle tesi del qualunquismo e del populismo imperanti: che pagare le imposte non è un dovere del cittadino, un principio base della cittadinanza stessa, ma un’ingerenza dello stato contro il popolo.