Nell’Audizione sulla nuova Legge di Bilancio davanti alle Commissioni riunite di Camera e Senato, il direttore Generale dell’ABI Giovanni Sabatini ha introdotto il suo intervento inquadrandolo nella richiesta di un’ulteriore detassazione del risparmio.
Per stimolare la crescita, ha sostenuto Sabatini, occorrono misure che incentivino la canalizzazione del risparmio verso investimenti a medio-lungo termine. Come? Per attrarre strutturalmente nell’economia la liquidità accumulata in questi anni grazie ai risparmi degli italiani e, al contempo, per incentivare l’afflusso di capitali esteri, “la proposta che l’Associazione da tempo avanza è quella di prevedere una tassazione inferiore per il risparmio investito nel medio/lungo periodo rispetto ad operazioni speculative di breve o brevissimo termine”.
Una richiesta più esplicita in tal senso era venuta qualche giorno prima dal presidente dell’Abi, Antonio Patuelli intervenendo alla 100esima edizione della giornata del risparmio: è troppo tassato e quindi va all’estero invece di essere investito in Italia, servono sgravi.
La questione effettivamente è complessa: innanzitutto parlare di risparmio degli italiani “tout court”, accomunando quanto riescono ad accantonare le famiglie con sempre crescente difficoltà al rendimento finanziario di patrimoni di svariata origine, è fuorviante. Più corretto, non solo dal punto di vista fiscale, sarebbe parlare di redditi di capitale. E allora si potrebbe notare che su di essi si applicano trattamenti sperequati e di favore basati su molteplici aliquote cedolari (proporzionali), non di rado inferiori a quella minima dell’Irpef, che alterano il corretto funzionamento del mercato finanziario; che alcuni rendimenti sono esenti; che il trattamento preferenziale riservato ai titoli pubblici non è giustificabile da nessun punto di vista, ma l’Abi chiede che sia esteso anche ai prodotti di raccolta del risparmio emessi dalle banche; che l’inflazione aumenta l’incidenza reale su alcuni rendimenti (depositi e reddito fisso), ma non su altri; che ai redditi dei lavoratori autonomi è stato assicurato un trattamento anch’esso “cedolare” così favorevole da rendere addirittura non conveniente l’evasione, che è stata così di fatto legittimata; che l’intero sistema fiscale è ormai una giungla inestricabile di privilegi e vessazioni.
Patuelli e l’organizzazione che rappresenta appaiono incuranti del fatto che qualsiasi lavoratore dipendente potrebbe agevolmente contestare, busta paga alla mano, che la somma di Irpef più contributi sociali che gravano sul suo salario sia inferiore al 26% più bollo che pagano alcuni e non tutti rendimenti finanziari.
In questa situazione chiedere ulteriori sgravi e trattamenti di favore per un solo settore, invece di una riforma generale del sistema, appare poco serio e poco responsabile. Si è detto inoltre che gli italiani risparmiano di meno perché le tasse sono troppo alte. Correttamente, il presidente Mattarella ha ricordato che i salari sono così bassi che ogni possibilità di risparmio delle famiglie viene annichilita in partenza. Né bisognerebbe trascurare il fatto che, al di là delle tasse, i rendimenti che le banche assicurano al risparmio degli italiani sono pari o inferiori a zero e nei trattamenti più favorevoli così bassi da non difendere neppure il valore reale delle somme accantonate. Dovrebbe garantirlo il bilancio pubblico?
Negli stessi giornali che riportavano la notizia del convegno, si dava conto del fatto che Banca Intesa prevede, per il 2025, 9 miliardi di utili, e che si appresta a varare un’operazione di acquisto di azioni proprie che produrrebbe per gli azionisti guadagni in conto capitale non tassati, o poco tassati (se realizzati). Come si vede l’Italia in realtà è il paese del Bengodi per il “risparmio” investito degli azionisti di banche e multinazionali, spesso sovvenzionato dallo Stato e un’operazione a perdere per i soldi sudati accantonati da famiglie, lavoratori dipendenti e pensionati.