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sabato 5 Ottobre 2024
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Le frodi fiscali indotte dal regime delle sponsorizzazioni di associazioni e società sportive dilettantistiche

La diversa deducibilità fiscale delle spese di pubblicità rispetto a quelle di rappresentanza ha determinato spesso incertezze applicative, in particolare nel caso delle spese di sponsorizzazione, stante la loro difficoltà di inquadramento concettuale nell’una o nell’altra categoria.

Anche per superare tali difficoltà il legislatore, con l’art. 90, comma 8, della legge n. 289 del 2002, ha stabilito il carattere pubblicitario delle spese di sponsorizzazione erogate a beneficio delle associazioni e delle società sportive dilettantistiche ponendo il limite annuo, per il soggetto erogante, di 200.000 euro. Tale assunto è stato confermato da una recente ordinanza della Sezione tributaria della Corte di cassazione (ord. n. 3470, pubblicata il 7 febbraio 2024) che ha ribadito precedenti pronunce secondo le quali «in tema di detrazioni fiscali, le spese di sponsorizzazione di cui all’art. 90, comma 8, della legge n. 289 del 2002, sono assistite da una “presunzione legale assoluta” circa la loro natura pubblicitaria, e non di rappresentanza, a condizione che: a) il soggetto sponsorizzato sia una compagine sportiva dilettantistica; b) sia rispettato il limite quantitativo di spesa; c) la sponsorizzazione miri a promuovere l’immagine ed i prodotti dello sponsor; d) il soggetto sponsorizzato abbia effettivamente posto in essere una specifica attività promozionale».

Come osservato nell’ordinanza della Cassazione, “il citato art. 90, comma 8, costituisce norma speciale, destinata a derogare anche al regime generale di deducibilità dei costi previsto dall’art. 109 del t.u.i.r., trattandosi di disposizione che detta peculiari condizioni di deducibilità delle spese di pubblicità che rispondono alle specifiche esigenze del settore di riferimento, ossia delle compagini sportive dilettantistiche; la norma intende perseguire finalità diverse che, con tutta evidenza, possono essere rintracciate nella voluntas legis di approntare un regime agevolativo per quei soggetti che decidono di investire nello sport amatoriale e di favorire – tramite la leva fiscale – la diffusione di questo genere di attività giudicate socialmente utili e degne di protezione, stante anche la rilevanza costituzionale dello sport (cfr. Cass. 27/07/2021, n. 21452, in motivazione)”.

Sempre secondo quanto precisato nell’ordinanza, “Il legislatore ha, dunque, stabilito una presunzione assoluta di deducibilità del costo, rendendo non sindacabile la scelta dell’imprenditore di promuovere il nome, il marchio o l’immagine attraverso iniziative pubblicitarie nel settore sportivo dilettantistico; non si può, quindi, negare lo scomputo dei costi di sponsorizzazione sulla base di una asserita assenza di una diretta aspettativa di ritorno commerciale, atteso che una tale soluzione non si porrebbe neppure in linea con la stessa nozione di inerenza, come delineatasi nel tempo, che è di natura qualitativa e non quantitativa (Cass. 20/12/2018, n. 33030; Cass. 16/12/2019, n. 33120; Cass. 4/03/2020, n. 6017) e non è, dunque, più basata sulla necessaria riconducibilità dell’onere alla percezione di ricavi da parte dell’impresa che sostiene il costo (il che vizia anche l’affermazione della CTR volta a valutare l’inerenza esclusivamente sotto il profilo della congruità del costo); neppure è consentita la contestazione della incongruità o dell’antieconomicità del costo (Cass. 10/02/2023, n. 4274; Cass. 16/07/2020, n. 15179), dal momento che nel campo delle sponsorizzazioni è improponibile, se non impossibile, individuare l’ammontare «congruo» di una sponsorizzazione, poiché queste spese, di solito, sono sostenute nella prospettiva di aumentare i ricavi, senza la garanzia che tale obiettivo possa essere davvero conseguito (cfr. Cass. 27/07/2021, n. 21452, citata)”.

In conclusione, dunque – secondo la Cassazione – “il peculiare regime approntato dall’art. 90, comma 8, citato, […] in forza della sua natura agevolativa, fissa una presunzione assoluta di inerenza e congruità delle sponsorizzazioni rese a favore di imprese sportive dilettantistiche laddove risultino soddisfatti i requisiti sopra indicati, ossia che i corrispettivi erogati siano destinati alla promozione dell’immagine o dei prodotti del soggetto erogante e sia riscontrata, a fronte dell’erogazione, una specifica attività del beneficiario della medesima (Cass. 19/01/2018, n. 1420; Cass. 6/05/2019, n. 11797; Cass. 15/01/2020, n. 8540), e consente, di conseguenza, di ritenere integralmente deducibili tali spese dal soggetto sponsor”.

Alla luce di tale disciplina, risultano evidenti le gravi distorsioni che determina il regime fiscale delle sponsorizzazioni alle associazioni sportive dilettantistiche anche nel caso in cui sia applicato correttamente. Va, infatti, considerato che nel caso delle sponsorizzazioni alle associazioni e società sportive dilettantistiche, il costo sostenuto dello sponsor è interamente deducibile mentre il ricavo è imponibile per l’associazione solo nella misura del 3%. Ciò, con l’aliquota IRES del 24%, comporta un vantaggio del 23,28% sull’importo erogato.

A ciò si aggiunga il differente trattamento IVA (aliquota 22%), da un lato detraibile al 100% e dall’altro con detrazione forfetaria del 50%, quindi con un differenziale dell’11%.

In sostanza, per ogni 100 euro+IVA di sponsorizzazione fatturata, lo Stato accorda benefici per 33,28 euro.

Nella prassi, peraltro, sono tutt’altro che infrequenti accordi illeciti che determinano la retrocessione parziale dell’erogazione allo sponsor. In questi casi, a fronte di 100 euro+IVA di prestazione fatturata e retrocessa, le imposte neutralizzate dallo sponsor (società + soci) vanno considerate al 46% (addizionali incluse) a fronte dello 0,72% pagato dalla associazione sportiva. A ciò si aggiunga il differenziale IVA già citato.

È ovvio che un lucro di tale entità crea un’ampia area di “contrattazione” illecita tra le parti. A questo proposito, almeno fino a qualche anno fa, in alcuni settori dello sport dilettantistico l’erogazione effettiva dello sponsor poteva probabilmente corrispondere a 1/5 della prestazione formalmente fatturata dall’associazione.

In conclusione, siamo in presenza di una grave distorsione del sistema fiscale, che andrebbe contrastata, oltre che con più penetranti e incisive indagini sul campo da parte dell’Amministrazione, anche riducendo la deducibilità delle somme erogate, abbassando il limite dei 200.000 euro annui per lo sponsor e, eventualmente, anche aumentando la parte imponibile dell’erogazione in capo all’associazione beneficiaria.

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