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sabato 5 Ottobre 2024
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L’impatto della riforma del processo tributario sulle criticità del sistema

È tristemente vero come i numerosi interventi normativi in materia tributaria succedutisi negli ultimi anni abbiano contribuito ad aggravare anziché risolvere i problemi. Oggi l’esigenza prioritaria è quella di potersi confrontare con regole certe, al riparo dalle complicazioni inestricabili che caratterizzano il sistema. Ne sanno qualcosa gli uffici e gli operatori del settore che hanno ormai smarrito il gusto e il dovere del dialogo, sempre più dediti alla pratica del rinvio, nella speranza di spingere il tasto giusto e azzeccare improbabili soluzioni adeguate. Di qui la crisi del rapporto tra fisco e contribuente e le ampie aspettative riposte nella riforma del contenzioso.

Eppure, più delle grandi riforme, per recuperare la normalità del quotidiano si avverte la necessità di semplificare, alzare bandiere di tregua normativa, trovare un interlocutore, riflettere sulla struttura dei programmi informatici e, se possibile, abrogare le tante norme discriminatorie che insidiano i principi costituzionali e la pace fiscale. Sotto questo aspetto, non si giustificano gli entusiasmi suscitati dalla preannunciata riforma del contenzioso che, nella graduatoria delle priorità, viene sicuramente dopo la soluzione delle difficoltà che ostacolano a monte la proficuità del rapporto tra fisco e contribuente.

Occorre considerare che la materia tributaria è caratterizzata, da un lato, dalla massificazione dei procedimenti indotta dalla numerosità della platea dei contribuenti, dall’altro, da questioni valutative e fattuali che mal si prestano alla cognizione di un giudice chiamato a stabilire chi ha torto o ragione e che necessariamente devono poter trovare soluzione in sede amministrativa. Rimettere al giudice la cognizione di tali numerosissime questioni significherebbe intasare le aule giudiziarie e soprattutto deresponsabilizzare l’amministrazione. Necessitano misure che definiscano realisticamente gli ambiti di intervento dell’amministrazione, sulla falsariga di quanto accade in altri paesi occidentali, dove non si immagina neppure di riportare tutto e finanche le questioni di fatto sotto l’ombrello della certezza del diritto e dell’ordine giudiziario. Non per caso siamo la patria del diritto e, assieme, dell’evasione fiscale.

Dall’altro versante, il buon funzionamento della giustizia tributaria dipende soprattutto dal numero e dalla qualità della domanda giudiziale ovvero dalla capacità di filtro che l’amministrazione, in un contesto di regole semplificate e ben definite, è in grado di assicurare in dialogo con il contribuente. Queste premesse aiutano a ben comprendere la funzione della “mediazione” di cui all’art. 17bis del d. lgs. n. 546/1992, quale istituto che induce e in qualche modo obbliga l’amministrazione, pena la condanna rafforzata alle spese di lite, a pronunciarsi sulla tenuta in giudizio dei propri atti alla luce dei rilievi fissati nel ricorso. La mediazione ha contribuito ad elevare il tasso di responsabilizzare dell’amministrazione, potenziandone la potestà di farsi giustizia da sé. All’istituto va riconosciuto il merito di aver più che dimezzato il numero delle controversie: già nella prima fase di applicazione, dal 2 aprile 2012 al 31 dicembre 2016, a fronte di 450.782 ricorsi notificati all’Agenzia delle entrate e passati per la mediazione, soltanto 206.507 sono stati successivamente depositati in giudizio. Per effetto del minor numero di controversie si sono ridotti drasticamente i carichi di lavoro delle Commissioni e i tempi medi delle decisioni.

Forse non tutti hanno compreso che la mediazione tributaria ha poco o nulla in comune con l’omologo istituto introdotto nel rito civile, essendo affidata – senza costi aggiuntivi – essenzialmente alle cure dell’amministrazione, chiamata a formulare un giudizio prognostico circa l’esito dell’eventuale giudizio. Non interferisce con le dinamiche giudiziali né con i livelli di tutela del contribuente, ma impatta, con funzione di stimolo e potenziamento, sulle competenze proprie dell’amministrazione. In altre parole, si qualifica come strumento che obbliga l’amministrazione a confrontarsi con la giurisprudenza, in tal modo avviando un percorso virtuoso che prelude al miglioramento della qualità della produzione amministrativa lasciando alle spalle antiche abitudini sintetizzabili nella esortazione “lei ha ragione ma faccia ricorso”.

A fronte di questa specifica funzione, l’idea di affidare la mediazione ad un soggetto terzo oppure incardinato nell’ordine giudiziario si muove su un piano completamente diverso e avrebbe l’effetto di privare l’amministrazione di uno strumento che aiuta ad assolvere meglio le proprie competenze.

Non andrebbero coltivate pertanto le numerose proposte di riforma che, volta per volta, auspicano l’attribuzione del ruolo di mediatore ad una ennesima sovrastruttura esterna all’amministrazione oppure la revisione della collaudata struttura del giudizio di impugnazione-merito o, ancora,  il potenziamento delle potestà istruttorie delle Commissioni. Tutte iniziative queste che inciderebbero, con un effetto di complicazione regressivo, sui livelli di responsabilizzazione dell’amministrazione e sui fattori di successo dell’attuale giudizio, cui va riconosciuto comunque il merito della speditezza e della riduzione dei tempi di giustizia.

Le insidie della preannunciata riforma non si fermano qui. Vi è il rischio concreto che l’attribuzione della giurisdizione tributaria al giudice ordinario o contabile possa far perdere di vista fino a snaturare la peculiarità del rapporto tributario e il ruolo della parte pubblica. Sotto questo aspetto, l’equilibrio garantito dall’attuale giudizio nella ponderazione degli interessi convergenti all’attuazione del giusto processo è sostanzialmente soddisfacente. Se mai, andrebbero valorizzati e potenziati strumenti che, allo stesso modo della mediazione e della condanna alle spese di lite, inducano l’amministrazione non più ad arroccarsi, come a volte succede, sulla difesa acritica dei propri atti, ma a perseguire univocamente l’interesse alla giusta imposizione, muovendo da una posizione non conflittuale ma più prossima a quella del giudice. Vi è il rischio, in breve, che la struttura e le logiche proprie di altre giurisdizioni possano stravolgere l’attuale assetto del giudizio tributario e nel contempo compromettere il percorso evolutivo dell’amministrazione faticosamente avviato con l’introduzione della mediazione.

Vi è sicuramente spazio invece per potenziare i livelli di terzietà, indipendenza e professionalità del giudice tributario. Obiettivi che possono essere conseguiti con l’introduzione del giudice professionale, arruolato tramite concorso pubblico, su cui convergono peraltro le opinioni di tutti indistintamente. Quanto alla sorte degli attuali giudici onorari andrebbero evitati compromessi e soluzioni corporativiste a regime, che finirebbero per affievolire se non neutralizzare gli obiettivi condivisi della riforma prima richiamati. Sembrano invece praticabili soluzioni transitorie atte a salvaguardare, in attesa di completare l’organico dei nuovi giudici professionali, l’apporto di esperienza degli attuali giudici e la continuità della funzione giudiziale. Dovrebbe in ogni caso consentirsi ai tanti giudici togati part time che oggi fanno parte delle Commissioni l’esercizio di un’opzione obbligatoria per la giurisdizione tributaria a tempo pieno.

Si pone infine la questione dello smaltimento dei ricorsi per cassazione, che l’introduzione del giudice professionale nei gradi di merito solo in parte aiuterebbe a risolvere. Affinché la funzione nomofilattica della Suprema Corte possa effettivamente uniformare l’orientamento delle Commissioni tributarie sarebbe altresì necessario definire a livello normativo adeguate iniziative che impattano sull’organizzazione e sull’efficienza degli uffici giudiziari, facendo uso tra l’altro dell’intelligenza artificiale e prevedendo l’istituzione di appositi uffici che, in esito al monitoraggio sistematico delle decisioni adottate nei diversi gradi di giudizio, ne assicurino la più ampia e sistematica pubblicità, con l’obiettivo di evidenziare gli orientamenti consolidati o prevalenti della giurisprudenza e di mettere a fuoco le questioni in attesa di soluzione univoca.

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