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sabato 27 Luglio 2024
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Multinazionali, Paesi cercano l’accordo per riforma tassazione

Il lavoro intorno al processo di riforma del sistema di tassazione delle
multinazionali è in corso da mesi sotto l’egida Ocse, con l’annuncio di
un possibile accordo atteso in occasione del vertice del G20 Finanze
di metà luglio prossimo. L’obiettivo è di mettere in campo una nuova
normativa generale in grado di arginare più efficacemente le pratiche
elusive dei giganti corporate e al contempo di rispondere alle sfide
fiscali poste dall’avvento dell’economia digitale. Due sono le direttrici
dei negoziati: una revisione delle regole di allocazione dei profitti di
una multinazionale tra diversi Paesi e l’identificazione del nesso tra la
presenza economica di una corporation fisicamente assente da un
Paese e il diritto del Paese a tassarne i profitti; l’introduzione di un
livello minimo di imposte sugli utili che una multinazionale è tenuta a
corrispondere ai Paesi in cui conduce la propria attività economica.
Occhi puntati dunque sui risvolti negoziali e in particolare, anche se
non in modo esclusivo, sulla portata redistributiva della riforma e sul
livello di aliquota minima effettiva che verrà concordato. Sarà
importante anche monitorare le modalità di applicazione
(hard law) degli standard Ocse (strumenti di soft law) da parte
dell’Unione europea con l’auspicio del rilancio della proposta – da
tempo congelata e da aggiornare – di una base imponibile consolidata
comune per l’imposta sulle società, prototipo di un modello di
tassazione unitaria delle multinazionali.
Nel frattempo, in tema di giustizia fiscale vanno segnalati due ulteriori
importanti novità sul palcoscenico europeo: lo sblocco, dopo ben 5
anni, dello stallo in seno al Consiglio dell’Ue e l’entrata nel vivo del
negoziato tra i Paesi membri e il Parlamento europeo sull’introduzione
dell’obbligo di una maggiore trasparenza fiscale per grandi
multinazionali che operano nello spazio economico europeo (country-
by-country reporting pubblico) e il possibile potenziamento dello
screening nel processo di blacklisting delle giurisdizioni non
cooperative ai fini fiscali (lista nera europea dei paradisi fiscali extra-
Ue).
Il trasferimento degli utili societari da parte delle imprese
multinazionali dalle giurisdizioni a fiscalità medio-alta d’impresa verso
giurisdizioni a fiscalità agevolata (paradisi fiscali societari), con
conseguente erosione della base imponibile delle imposte sui redditi
in molti Paesi in cui grandi conglomerati globali operano attraverso

società controllate, consociate o “stabili organizzazioni” , ha raggiunto
dimensioni allarmanti. Secondo Oxfam, la confederazione internazionale
di organizzazioni non profit che si dedicano alla riduzione della povertà
globale, attraverso aiuti umanitari e progetti di sviluppo, seicento miliardi
di dollari all’anno è la stima conservativa dei profitti trasferiti nei
paradisi fiscali, con considerevoli ammanchi per gli erari di tanti Stati.
Un dato che pone da tempo seri interrogativi sulla tenuta del principio
cardine della fiscalità internazionale d’impresa, secondo il quale gli utili
societari vanno registrati, e le rispettive imposte versate, nelle
giurisdizioni in cui l’attività economica, che ne ha permesso la
realizzazione, è condotta. Un principio che, a sua volta – sottolinea
ancora il policy advisor di Oxfam Italia, Mikhail Maslennikov – ha
un’efficacia discutibile nell’epoca della digitalizzazione, quando la
conduzione da remoto di attività economiche che hanno luogo nella
giurisdizione in cui un prodotto o servizio digitale viene consumato
non vi configura una “presenza fiscale” e non lascia quindi al Paese
interessato il diritto di tassare gli utili generati da simili attività sul
proprio mercato.

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