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sabato 27 Luglio 2024
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Pa, una maggiore qualità dei servizi può aumentare la fedeltà fiscale

Fisco Equo pubblica una serie di riflessioni sul ruolo dell’informatica per una moderna macchina amministrativa. Serve un piano organico di riordino che partendo dall’integrazione logica delle banche dati riesca a garantire l’interoperabilità dei sistemi.

La percezione che spesso i cittadini hanno della Pubblica amministrazione è quella di una macchina complessa e poco efficiente. Una presenza invadente che, nell’imporre gli adempimenti propri della vita civile, agisce con deficit di autorevolezza ed eccesso di autoritarismo. A prescindere dai modi, anche spregiudicatamente strumentali, nei quali questa immagine viene a volte proposta, è utile chiedersi cosa intenda il cittadino per efficienza e in qual modo possa essere promossa l’immagine di una Pa che produce servizi (da finanziare), piuttosto che tasse e adempimenti per autoalimentare la sua macchinosa burocrazia. Questo sembra essere un nodo cruciale, perché anche attraverso la capacità delle istituzioni di proporsi in modo adeguato passa la possibilità di migliorare il rapporto tra Stato e cittadino, recuperando fiducia e rispetto reciproci. Anche Il tema della fedeltà fiscale può essere visto da questa angolazione, puntando sulla soddisfazione per i servizi resi e su un’azione amministrativa autorevole, piuttosto che sul timore di (poco probabili) sanzioni.

Un capovolgimento di ottica quindi: non solo gestione e controllo dell’assolvimento degli obblighi, ma anche e soprattutto supporto e collaborazione nel momento stesso dell’adempimento. Indirettamente il livello generale di tax-compliance nel paese potrebbe giovarsene facendo emergere spontaneamente nuova base imponibile, se è vero che i fenomeni evasivi si nutrono non solo della presunzione di impunità, per l’impossibilità da parte dell’Amministrazione di eseguire controlli sostanziali massivi, ma anche della macchinosità degli adempimenti, alla quale sono connessi costi che ne ostacolano oggettivamente la correttezza. Quindi per cittadini e imprese, a fronte di adempimenti da soddisfare, efficienza significa poter identificare una struttura cui rappresentarli, disporre di informazioni e supporto affidabili, avere accesso ad istruzioni chiare, impiegare tempi ragionevoli. Non significa, invece, doversi rivolgere ad interlocutori diversi e con comportamenti difformi, esser costretti a riprodurre documenti già forniti o autocertificare informazioni che dovrebbero essere già conosciute, attendere tempi lunghi perché, in back-office, le amministrazioni colloquiano male. In questo senso potremmo dare dell’efficienza la definizione, parziale e molto operativa, di capacità di interlocuzione attraverso front-office coerenti e integrati.

Una buona esemplificazione di questi temi è rappresentata dalle certificazioni Isee che i cittadini presentano ai fini dell’accesso agevolato alle prestazioni sociali o del riconoscimento delle esenzioni tariffarie. Un adempimento complesso per il contribuente, chiamato a produrre o autocertificare dati anagrafici, reddituali e del patrimonio mobiliare e immobiliare già comunicati nel contesto di altri adempimenti. Il deficit di integrazione tra le basi informative e dei relativi servizi di consultazione rende onerosa anche la fase di verifica delle condizioni di accesso alle prestazioni, svolta spesso attraverso procedure di interrogazione puntuale anziché in modo automatizzato e massivo. Ne risulta un adempimento faticoso per il contribuente, difficile da gestire per le amministrazioni e socialmente iniquo perché finisce per premiare chi, essendo evasore, dichiara livelli di ricchezza incongrui.

Altro buon esempio, questo per le imprese, è il Durc (Documento unico di regolarità contributiva) che, nella Pa, vincola l’affidamento delle commesse e i pagamenti ai fornitori alla regolarità della loro posizione contributiva. L’amministrazione committente, tramite procedura web, inoltra la richiesta di verifica agli enti previdenziali interessati (Inps, Inail o Cassa edile), scegliendone uno per l’interlocuzione. Gli enti procedono alla verifica per la parte di competenza e ne trasmettono l’esito alla banca dati Durc. Da questa l’ente previdenziale scelto dall’amministrazione richiedente, produce il documento su carta e lo invia per raccomandata. Solo recentemente è stata prevista la possibilità di ricevere il documento via PEC. Facile immaginare quali siano le ricadute di questi meccanismi sui tempi di pagamento della Pubblica amministrazione, sulla situazione finanziaria delle imprese, ecc..

Forte, quindi, è il bisogno di integrazione, per la quale un fattore di successo sicuramente importante è costituito dalla capacità di fissare criteri e best practices generali che favoriscano o impongano l’adozione, da parte delle amministrazioni, di processi comuni o compatibili.Ma una leva di straordinaria potenza è rappresentata proprio dai sistemi informatici e telematici che, oltre alla funzione tradizionale di supporto “passivo” ai processi, possono avere anche una valenza di indirizzo, quali strumenti per diffondere in modo implicito le best practices individuate. In questo modo, facendo un esempio, potrebbero essere veicolati interventi di omogeneizzazione nei confronti degli enti territoriali su materie facilmente riconducibili a fattor comune, quali procedure di acquisizione di beni e servizi, procedure di contabilità e bilancio, attività di monitoraggio e rendicontazione, ecc. Oltre agli ovvi benefici in termini di economia di scala connessi ai costi del supporto informatico. In questo campo c’è ancora molto da fare, ma molto può essere fatto. Sul fronte delle tecnologie sono ormai lontane le limitazioni imposte dai sistemi centralizzati e dalle architetture distribuite client-server. E suona anacronistico constatare come, ad esempio in campo fiscale, una quota consistente dello scambio tra le amministrazioni centrali e gli enti territoriali sia ancora affidata a servizi di fornitura massiva, predisposti in ottemperanza a previsioni normative specifiche.

Oggi sono disponibili infrastrutture (le reti, il web) che offrono potenzialità che vanno molto al di là di quanto siano attualmente sfruttate. Chiunque può realizzare applicazioni, pubblicarle in forma di servizi e controllarne la fruizione da parte degli utenti. I quali, per parte loro, possono fruirne senza costi di sviluppo e con costi infrastrutturali minimi. E questo, naturalmente, vuol dire rendere accessibili in tempo reale i propri dati. O meglio, erogare servizi attraverso i quali, i titolari delle banche dati, ne rendono disponibili i contenuti in termini di informazioni, quindi con il valore aggiunto della corretta interpretazione del dato che solo chi lo conosce può garantire. Le applicazioni possono essere infinite, sia sul fronte dei servizi a cittadini e imprese, sia nell’accesso da parte delle amministrazioni alle reciproche basi informative. Ad esempio, applicazioni di sportello per evitare le autocertificazioni dei contribuenti ai fini dell’accesso a prestazioni agevolate o per l’accesso in back-office alle banche dati a supporto dei controlli fiscali o per la consultazione delle informazioni anagrafiche e catastali di riferimento.

Ma c’è di più. Esistono tecnologie ormai consolidate (la c.d. cooperazione applicativa) grazie alle quali le informazioni possono essere scambiate direttamente dalle applicazioni informatiche, senza intervento da parte dell’operatore umano. Questo significa automatizzare il processo di integrazione delle informazioni, sollevando l’operatore dalla fase di accesso ai dati e, almeno in parte, da quella istruttoria di confronto e verifica. Tornando all’esempio dell’accesso alle prestazioni agevolate (il caso dell’Isee), il contribuente non deve produrre documenti né autocertificare nulla e l’operatore non deve effettuare consultazioni di banche dati (on line o in back office). E’ l’applicazione informatica che, automaticamente, raccoglie i dati del reddito, del patrimonio (mobiliare e immobiliare) e del nucleo familiare, accedendo alle banche dati delle Agenzie delle Entrate e del Territorio attraverso i servizi predisposti dagli stessi enti titolari delle basi informative. Quindi li integra, secondo le regole stabilite dalle norme, e fornisce all’operatoreil responso relativo al diritto (o alla misura del diritto) alla fruizione. Questa è l’informazione che, rispetto alla richiesta formulata, contiene il valore aggiunto dell’integrazione dei dati che la generano e della garanzia della loro corretta interpretazione.

Tutto questo è possibile ed è dietro l’angolo, tanto che altri paesi in Europa hanno già da tempo intrapreso questa strada, offrendo, ad esempio, servizi di precompilazione della dichiarazione e di gestione della contabilità. Per renderlo possibile è necessaria un’energica attività di indirizzo delle scelte tecnico-organizzative, allo scopo di favorire l’integrazione logica delle banche dati e garantire l’interoperabilità dei sistemi. Ed è necessario mettere a punto un piano di investimenti organici e coerenti col piano generale, abbandonando la logica che, fino ad oggi, ha finanziato e lasciato proliferare progetti senza verificarne la complessiva coerenza. I ritorni saranno enormi. Sia per gli aspetti economici, perché un miglior rapporto con l’amministrazione significa più fiducia nelle sue capacità e maggior disponibilità a soddisfarne le richieste, sia per quelli di carattere etico legati ad un’idea di gestione della cosa pubblica e di convivenza civile diverse da quelle che oggi vediamo.

Nei prossimi articoli saranno approfonditi alcuni aspetti particolari: come avviene oggi lo scambio di informazioni tra enti istituzionali, quale è il quadro normativo che lo regola, i tentativi fatti negli ultimi anni per “andare oltre”, le tecnologie possibili e un approfondimento di analisi su temi specifici come la partecipazione dei comuni all’accertamento erariale. (Continua)

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