Anche Ferrari è riuscita a trovare un accordo con l’Agenzia delle Entrate per accedere al regime fiscale noto come Patent Box. Il beneficio in termini economici, nei primi 3 anni del periodo di riferimento (2015, 2016 e 2017), ammonta a circa 139 milioni di euro, superando le attese degli analisti e sarà interamente riportato nei risultati del terzo trimestre 2018 del Gruppo, come rettifica sulle imposte sul reddito per gli anni precedenti.
Secondo alcune stime, i benefici per i prossimi due anni, assumendo un ammontare annuale costante, potrebbero tradursi in 90 milioni di euro, per una cifra complessiva che, alla fine dei 5 anni in cui si applica il regime fiscale, potrebbe superare i 200 milioni. Secondo gli esperti del settore, la nuova tassazione agevolata produrrà effetti positivi anche sull’indebitamento della società, che potrebbe ridursi di circa 250 milioni euro nel quinquennio di riferimento. A rendere nota la notizia ci ha pensato la società olandese, che controlla la Casa di Maranello, attraverso un comunicato stampa nel quale si ricorda che la tassazione agevolata in questione si applica per 5 anni (dal 2015 al 2019): “Il vantaggio è determinato escludendo dal reddito imponibile di ciascun esercizio una determinata quota di reddito attribuibile all’utilizzo di beni immateriali: tale percentuale è pari al 30% per l’esercizio 2015, al 40% per il 2016 e al 50% per il triennio 2017-2019”.
Nel 2017, le società italiane che hanno aderito al Patent Box sono state 431.
IN CHE COSA CONSISTE IL PATENT BOX
L’articolo 1, commi dal 37 al 45, della Legge n. 190/2014 (pubblicata in G.U. il 29 dicembre 2014), ha introdotto il c.d. “patent box ”, ovvero una detassazione parziale di tutti i redditi provenienti dallo sfruttamento commerciale dei brevetti d’impresa. Con la successiva approvazione da parte del Governo del decreto sul sostegno degli investimenti, tale agevolazione è stata estesa anche ai marchi commerciali.
Anche questi beni immateriali a partire dal 2015 godono di una detassazione parziale, fino al 50%, percentuale ridotta al 30% per il 2015 e al 40% per il 2016, dei redditi derivanti dal loro utilizzo, diretto e indiretto da parte dell’impresa.
Potranno godere dell’agevolazione, quindi, tutti i marchi, anche quelli puramente commerciali, ma anche opere dell’ingegno e know how. L’agevolazione è condizionata allo svolgimento, da parte delle imprese beneficiarie, di attività di ricerca e sviluppo sui beni immateriali, realizzata internamente oppure attraverso convenzioni con Università ed altri enti assimilati. Il decreto ha esteso la rilevanza dell’attività di ricerca a quella eseguita mediante contratti con società esterne, purché si tratti di società non facenti parte del medesimo gruppo dell’impresa titolare del bene immateriale oggetto di agevolazione.
La normativa prevede che il reddito effettivamente tassabile sia determinato in base al rapporto tra le spese di ricerca sostenute per la manutenzione e lo sviluppo del bene, rispetto ai costi sostenuti per produrlo.
Il numeratore del rapporto, rappresentato dalle spese di ricerca e sviluppo può essere incrementato delle spese sostenute per l’acquisto e la ricerca sui beni sostenute presso società dello stesso gruppo, ma entro il limite del 30% del numeratore stesso. La procedura di ruling richiesta per determinare i redditi agevolati nel caso in cui essi derivino dalla concessione in uso dei beni immateriali ad altre società del gruppo.
Questa procedura, prevista come obbligatoria dalla legge di stabilità, è diventata facoltativa per decreto nel gennaio 2015.
Patent box anche per la Ferrari: 139 milioni di sconto fiscale sul primo triennio
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