L’evoluzione della disciplina italiana in materia di società controllate estere tra crisi dei criteri di collegamento territoriale, Progetto Beps e Direttiva Atad
Il lavoro affronta in modo esaustivo tutti i differenti profili d’interesse delle controlled foreign companies legislations diffuse a livello internazionale. Particolarmente efficace l’analisi delle finalità fiscali dell’istituto nel loro evolversi diacronico, anche in ragione degli obiettivi di politica economica perseguiti dai vari ordinamenti nazionali.
Così l’originaria ratio antideferral delle regole Cfc (di contrasto, cioè, dei fenomeni di differimento della tassazione sui soggetti residenti) e la connessa tutela della capital export neutrality proprie, in particolare, dei sistemi fiscali ispirati al principio di tassazione del reddito mondiale dei residenti (worldwide principle) vengono ad intrecciarsi, nel corso del tempo, con obiettivi di natura antielusiva. Questi finiscono per catturare anche il crescente interesse degli ordinamenti con sistemi fiscali ‘territoriali’ inclini, piuttosto, a riconoscere l’esenzione per i redditi di fonte estera e a tutelare la capital import neutrality.
Un percorso complesso che, nel contesto dell’Action3 del Beps (il progetto Ocse su Base Erosion and Profit Shifting) di cui l’autore pone in evidenza i passaggi più significativi, intenderebbe attribuire alla disciplina Cfc una preminente funzione di contrasto delle strategie di aggressive tax planning, su cui tuttavia i differenti Paesi aderenti all’Ocse/G20 (tra cui gli Stati membri dell’Unione) non avevano trovato un accordo. L’autore ricostruisce inoltre gli aspetti più significativi della disciplina Cfc domestica, coordinandone le vicende con il contesto internazionale e unionale di riferimento fino al recepimento, col decreto legislativo 148 del 2018, della direttiva Ue del 2016 nota come Anti Tax Avoidance Directive.
