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sabato 5 Ottobre 2024
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Renzi mette nel mirino l’Agenzia delle entrate e strizza l’occhio agli evasori

Parlando di eccessiva discrezionalità , il premier non solo finge di ignorare le regole procedurali, ma offre una formidabile sponda agli evasori incalliti.

 

Il fisco, da sempre campo di battaglia della politica, si sta rivelando un terreno difficile anche per l’attuale presidente del consiglio. I decreti attuativi della riforma, più volte annunciati, tardano ad arrivare. La ragione potrebbe essere quella di ponderare con la massima attenzione le misure da adottare. E se così fosse sarebbe un bene. Tuttavia qualche dubbio sulle reali intenzioni di Renzi comincia a sorgere. In due recenti interviste, la prima a Lucia Annunziata su Rai3 e la seconda a Marco Damilano sull’Espresso, il Premier, parlando di fisco, ha puntato il dito contro l’Agenzia delle Entrate. L’accusa in entrambi i casi è che l’Agenzia gode di una eccessiva discrezionalità. “Accerta 100 e poi si accontenta di riscuotere 1”. E ciò che più è inaccettabile, sempre secondo il Premier è che oggi “La sfanghi solo se hai  amici all’Agenzia”. Affermazioni così impegnative e sconsiderate pongono un problema. Nel nostro Paese vi è una evasione diffusa nota a tutti. E quindi, si presuppone, anche a Renzi. Al quale certamente non può sfuggire che il suo messaggio rappresenta una formidabile sirena per le orecchie di chi non fa il proprio dovere con il fisco oltre a suonare come sconfessione dell’operato dei funzionari che cercano di contrastare l’evasione applicando le leggi e scontrandosi spesso con mille difficoltà operative. Dal capo del Governo, dunque, sul fisco arriva un messaggio ambiguo che per certi versi sovrasta la sostanza stessa dell’operato dell’esecutivo. Si ha l’impressione che sia in atto un tentativo di strizzare l’occhio a quanti non sono in regola. A quanti hanno in corso un contenzioso con l’amministrazione e sperano in un cambiamento delle regole per non pagare o pagare meno. Il doppio attacco all’Agenzia, che certamente non è casuale, rappresenta la più significativa manifestazione di continuità con l’operato dei governi del Centrodestra. Da un lato si punta su forme di ravvedimento spinto e sanatorie con favori più o meno grandi a chi ha evaso, dall’altro si depotenzia l’attività di contrasto delegittimando pubblicamente la struttura preposta ad accertare l’evasione. 

Il tutto cercando di mettersi in sintonia, in modo demagogico e strumentale, con quello che rappresenta un modo di pensare largamente diffuso in Italia, secondo il quale le Istituzioni operano abitualmente in modo discriminatorio, utilizzando, come si suole dire, “due pesi e due misure” per trattare le varie situazioni. Del resto domande come “ma non conosci nessuno in quell’ufficio?” che tante volte abbiamo ascoltato, sono la riprova di un paese culturalmente votato alla scorciatoia, all’aggiramento della regola o, se si preferisce, all’interpretazione piuttosto che all’applicazione della regola.

Le cause di ciò sono lontane. Certamente ha inciso una deformata cultura del perdono, spesso trasformata in una sorta di simonia “terrena” (i condoni fiscali, edilizi, ecc.) per sanare le violazioni commesse dai cittadini e la prolungata inerzia degli organi dello Stato. In una larga fetta della società vi è ladiffusa convinzioneche senza un “santo in Paradiso” i problemi non si possono risolvereo, al contrario, che con il “santo in Paradiso” si può risolvere (a proprio favore) qualunque problema.

Ciò che appare davvero sorprendente e che non può essere giustificato è il fatto che chi si candida a “cambiare verso” al Paese anziché operare per superare la deprimente realtà ne diventi una sorta di cantore nella convinzione magari che ciò aumenti la propria popolarità nei sondaggi. D’altra parte operazioni incisive nel contrasto all’evasione fiscale potrebbero avere un prezzo elettorale.  E allora cosa c’è di più semplice e redditizio che mettersi contro chi cerca di far rispettare le regole o applicare le leggi. La delegittimazione dell’Agenzia comunque potrebbe trasformarsi in un boomerang. Perché gli italiani che possono amano evadere, ma vorrebbero anche vedersi ridurre le tasse. E una delle strade per contenere il prelievo su chi paga è proprio quella di recuperare soldi dagli evasori. Lo stesso Governo prevede di incassare 3,5 mld aggiuntivi nel 2015 dalla lotta all’evasione. Perciò l’attacco sconsiderato all’Agenzia è destinato a scontrarsi con la realtà. Essonon può rappresentare una strategiae forse viene buttato sul tavolo della discussionemediatica per giustificare qualche norma a favore degli evasoriche ci si accinge ad emanare,come quelle già prospettate nello schema di decreto legislativoche modifica le disposizioni penaliin materia tributaria.

Tuttavia volendo entrare nel merito delle affermazioni di Renzi circa la discrezionalità dell’Agenzia ci permettiamo di evidenziare alcune questioni tecniche che mostrano la poca informazione del Premier quando parla di problemi del fisco.

Anzitutto è opportuno ricordare che le prestazioni tributarie sono regolate dalla legge (“riserva di legge” art. 23 Cost.). Per taluni aspetti attuativi e di dettaglio la legislazione fiscale è integrata da norme regolamentari, emanate dopo un rigoroso iter procedimentale. L’amministrazione finanziaria non ha discrezionalità in senso amministrativo, come invece è riconosciuto ordinariamente alla pubblica amministrazione. Ciò significa che il presupposto d’imposta, la base imponibile, le regole procedurali sono unicamente quelle previste dal quadro normativo in vigore. L’unico “spazio” di apprezzamento tecnico che è attribuito al fisco riguarda le prove che possono essere utilizzate per affermare la sussistenza di un determinato fatto o presupposto. Tali prove, tuttavia, non possono mai tradursi in valutazioni arbitrarie, ma devono corrispondere a parametri logici alquanto rigorosi.

Affermare, come ha fatto il Presidente Renzi, che“l’Agenzia ha accertato 100 milioni e poi porta a casa 1 – 1,2 milioni con una transazione” significa fare disinformazione e ignorare le regole procedurali.

Occorre, infatti, ricordare che:

a) l’obbligazione tributaria è indisponibile. Pertanto, in presenza di un accertamento di tipo analitico, cioè basato su prove di evasione certe o su ragioni di diritto (a causa di una non corretta applicazione delle norme fiscali) la pretesa tributaria non può essere discrezionalmente ridimensionata da parte degli uffici fiscali, neanche in sede adesione del contribuente. Altra cosa è la definizione della pretesa tributaria mediante adesione ad un accertamento di tipo presuntivo (ad esempio quando si ha la prova certa della vendita di merci in nero, ma non dell’esatto ricarico praticato). Oppure quando l’amministrazione fiscale si trovi, nella fase iniziale della procedura di accertamento, a dover quantificare l’imponibile senza poter tenere conto di elementi a favore del contribuente, elementi che soltanto nella fase del contraddittorio vengono provati. Lo stesso può accadere in caso di doverosa correzione di un accertamento già emanato viziato da errori di calcolo o altro (autotutela). Da qui la possibilità di abbattimenti degli imponibili solo apparentemente ingiustificati, ma in realtà del tutto legittimi e doverosi, perché intesi a definire correttamente l’ammontare dell’imposta dovuta dal contribuente.

b) Gli strumenti volti a prevenire le controversie determinano fisiologicamente un notevole scarto tra le somme inizialmente dovute e quelle definite anche per la conseguente automatica e drastica riduzione delle sanzioni amministrative. Infatti, anche quando si applicano i c.d. “istituti deflativi del contenzioso” (definizione del verbale, acquiescenza all’accertamento, accertamento con adesione, mediazione tributaria, conciliazione giudiziale), l’amministrazione fiscale non può operare discrezionalmente sconti o riduzioni, ma deve correggere errori o rivedere valutazioni di tipo presuntivo che in sede di contraddittorio si rivelano essere eccessive. Tali istituti consentono per legge di beneficiare di consistenti riduzioni delle sanzioni e le stesse, anche se inizialmente applicate nella misura massima di 2,4 volte l’imposta evasa nel caso di comportamenti particolarmente gravi, quasi sempre si definiscono ex lege in ragione di 1/6 dell’imposta evasa! Ciò spiega la rilevantissima differenza tra le somme inizialmente quantificate dall’amministrazione e le somme poi effettivamente definite.

Precisato ciò occorre anche rilevare che giustificare l’introduzione di una fascia di non punibilità penale correlata all’ammontare dei ricavi con i pretesi arbitri o errori operati dall’Agenzia delle entrate in sede di accertamento appare illogico e contraddittorio. Se si tratta di arbitri o di errori, non si vede perché i contribuenti debbano pagarvi le imposte e le sanzioni amministrative. Diversamente, se gli errori in buona fede sono dei contribuenti, i rischi penali non sussistono, presupponendo tutte le fattispecie incriminatrici il dolo e non la semplice colpa.

Infine è appena il caso di ricordare che, se il presidente Renzi dovesse essere a conoscenza di comportamenti scorretti da parte di singoli operatori dell’amministrazione, sarebbe un suo preciso dovere segnalarlo agli organi competenti, per le conseguenti iniziative di carattere disciplinare o penale.

Purtroppo generiche affermazioni su presunte sistematiche manchevolezze dell’amministrazione finiscono solo per indebolire l’azione dell’amministrazione e la credibilità stessa delle Istituzioni in un momento in cui occorrerebbe rafforzare nei cittadini i sentimenti di coesione e di appartenenza alla comunità nazionale.

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