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sabato 27 Luglio 2024
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Romano, ‘non può esistere un efficiente sistema tributario senza un’adeguata amministrazione’

La pandemia da Covid-19 che da quasi un anno ha coinvolto l’intero
Pianeta sta determinando nel nostro Paese una grave recessione a causa dei
problemi che da tempo caratterizzano il sistema socio-economico.
Tra questi ultimi crescente rilievo ha assunto l’inadeguatezza del
sistema tributario, caratterizzato da un’evasione particolarmente elevata e
diffusa, dall’eccessivo carico sulla componente lavoro, dagli scarsi effetti
redistributivi, dalla complessità dell’ordinamento, dalle innumerevoli
deroghe sotto forma di agevolazioni, regimi speciali, ecc.
La situazione è tale che una riforma fiscale appare sempre più urgente,
per dare nuovo slancio all’economia e favorire la crescita senza rinunciare
all’equità e senza trascurare naturalmente il problema del debito, già
elevatissimo e ora ulteriormente cresciuto a causa della pandemia.
Non è dato sapere, al momento, quali saranno i caratteri dell’auspicata
riforma. In questi mesi si sono susseguite analisi e prese di posizione. C’è
chi suggerisce di rimanere nel solco della riforma del 1971, ripulendo l’Irpef
dai tanti regimi sostitutivi di oggi e recuperando una ragionevole
progressività attraverso il ridisegno delle aliquote, c’è chi propone di
accentuare la tassazione sulle cose intervenendo sulle aliquote Iva e
alleggerendo l’imposizione sulle persone e, ancora, c’è chi suggerisce di
limitare l’imposizione sul reddito alla componente lavoro e di rivedere le
frammentarie forme di imposizione sul patrimonio che pure esistono (Imu,
Bollo-auto, Ivafe 1 , Ivie 2 , Registro, Ipotecarie e catastali, Imposta di bollo sui
conti bancari, ecc.), introducendo un generale prelievo patrimoniale
progressivo a carattere periodico.
Ciò che però deve essere chiaro, quale che sia la soluzione riformatrice
che sarà adottata, è che non può esistere un efficiente e moderno sistema
tributario senza un’adeguata amministrazione fiscale.
Uno dei più gravi errori della Riforma Tributaria del 1971 fu quello del
mancato rinnovamento dell’apparato chiamato a gestire il sistema.

Si pensò, sbagliando clamorosamente, che fosse sufficiente introdurre obblighi
dichiarativi di massa e sanzioni nominalmente iperboliche, per garantire la
tax compliance. L’esperienza ci costringe a prendere atto di una evidenza di
cui troppo spesso, ancora oggi, il legislatore si dimentica. Non basta
scrivere le norme per fare le riforme. Occorre poter contare su
un’organizzazione in grado di applicarle e di farle applicare dai soggetti cui
sono destinate.
E’, quindi, evidente come anche l’amministrazione fiscale abbia
concorso a determinare il cattivo funzionamento del sistema,
essenzialmente per l’inadeguatezza delle strutture a disposizione e per la
mancata realizzazione di un nuovo modello di gestione del rapporto con il
contribuente, orientato all’instaurazione di un rapporto assiduo e realmente
collaborativo per favorire prima di tutto l’adempimento spontaneo.
In verità, già da più di un ventennio, il legislatore aveva avvertito
l’esigenza di un mutamento di strategia, nel solco delle soluzioni adottate da
altri Paesi, per utilizzare al meglio le leve della tecnologia e del
rinnovamento dell’organizzazione amministrativa.
La mutata consapevolezza degli strumenti da utilizzare ha portato alla
introduzione, già alla fine degli anni ‘90, del c.d. “fisco telematico”, cioè
all’utilizzazione delle opportunità che le tecnologie informatica e telematica
hanno progressivamente offerto per la gestione del rapporto con il
contribuente. Contemporaneamente, l’acquisita consapevolezza del ruolo
decisivo svolto dall’amministrazione, indusse a definire un modello
organizzativo – quello delle Agenzie fiscali – caratterizzato da elevata
autonomia gestionale e da schemi di funzionamento vicini a quelli
aziendalistici, in particolar modo sul versante della gestione e sviluppo del
personale che costituisce la principale risorsa impiegata da questo tipo di
organizzazioni.
L’adozione dal 2001 di un modello di amministrazione finanziaria
organizzato “per agenzie” ha consentito infatti, almeno in una prima fase, di
sperimentare assetti gestionali caratterizzati da un’impronta manageriale,
che hanno permesso di coniugare l’imprescindibile ruolo pubblico
(imparzialità e buon andamento) con un più marcato orientamento al risultato

e alla produttività (dalla logica dell’adempimento alla logica del risultato).
Purtroppo, l’indirizzo riformatore non è stato perseguito con tutta la
coerenza e determinazione che sarebbero state necessarie, anche per le
evidenti resistenze di altri apparati “tradizionali” dello Stato e per la
sostanziale lontananza dei decisori politici, troppo assorbiti dalle difficoltà
contingenti per poter guardare ad obiettivi e strategie di medio e lungo
periodo.
L’esperienza delle Agenzie fiscali ha dimostrato, comunque, che grandi
processi di cambiamento possono nascere e crescere dentro le singole
amministrazioni se vi è la capacità del gruppo dirigente e dell’intero
apparato di mettersi in discussione e di innovare rispetto alla situazione
data.
Venendo alla situazione attuale, le ragioni dell’insoddisfacente
situazione sono note: mancata individuazione da parte del legislatore di una
strategia convincente e stabile nel tempo per la gestione della fiscalità e il
contrasto dell’evasione, con frequenti e improvvisate modificazioni del
quadro normativo senza collegamento con la effettiva potenzialità operativa
dell’amministrazione fiscale; mutamenti poco razionali degli assetti
organizzativi, giustificati con incerte e mai seriamente verificate prospettive
di riduzione dei costi di funzionamento.
E ancora, nella gestione del rapporto con il contribuente, dopo i positivi
risultati della fine degli anni ‘90, basati sull’introduzione del c.d. fisco
telematico, è mancata la capacità di perseguire con determinazione e
celerità un nuovo modello relazionale incentrato sul diffuso e tempestivo
utilizzo, secondo una logica proattiva, delle informazioni contenute nelle
banche dati e sull’impiego massiccio della telematica per instaurare un
dialogo preventivo.
Ulteriore elemento di difficoltà per l’intera amministrazione finanziaria
è scaturito dalle vicende che hanno interessato l’Agente nazionale della
Riscossione, sul quale si è scaricata, più ancora che sugli enti impositori,
l’ostilità di molti inadempienti.
Pure non ha giovato in passato una sovraesposizione mediatica delle
agenzie e, in particolar modo dell’Agenzia delle entrate, impropriamente

percepita come il baricentro decisionale dell’intero sistema in luogo di coloro
che hanno la responsabilità della politica fiscale.
Tra gli aspetti negativi che più hanno inciso sul funzionamento delle
agenzie fiscali vi sono quelli del mancato ricambio tempestivo del personale
collocato in quiescenza e del reclutamento della dirigenza, aspetto
quest’ultimo decisivo per la realizzazione di un effettivo disegno riformatore.
Per brevità mi limito ad accennare alla vicenda che ha riguardato i
dirigenti delle agenzie.
Coerentemente con le peculiari caratteristiche del modello
organizzativo delle agenzie fiscali e, in particolare, con l’autonomia a esse
attribuita in materia di gestione e sviluppo del proprio personale, l’art. 71,
comma 3, lett. d), del d.lgs. n. 300/1999 ha previsto che ogni agenzia con il
proprio regolamento di amministrazione e in conformità con i principi
contenuti nel decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, “determini le regole
per l’accesso alla dirigenza”.
L’Agenzia delle entrate, come le altre agenzie fiscali, aveva previsto
nell’art. 12 del proprio Regolamento di amministrazione procedure
concorsuali innovative in base alle quali, dopo una prima selezione
concorsuale pubblica, i candidati avrebbero dovuto seguire un periodo di
tirocinio teorico-pratico di congrua durata, volto a verificare sul campo il
possesso delle capacità necessarie per svolgere le funzioni di dirigente. Solo
se la valutazione di tale periodo fosse stata positiva il candidato avrebbe
potuto conseguire la qualifica dirigenziale.
La disposizione rispondeva pienamente alle peculiari esigenze
dell’Agenzia delle Entrate. La direzione degli uffici operativi dell’Agenzia
richiede, infatti, ampie e approfondite conoscenze in materie di notevole
complessità tecnica e solide competenze organizzative, perché occorre
indirizzare, coordinare, motivare e monitorare, nello svolgimento di una
variegata gamma di complessi processi di lavoro, l’attività di un gran
numero di addetti di elevata professionalità, il cui coordinamento richiede,
oltre alle competenze tecnico-tributarie, doti di leadership, capacità
relazionali e attitudini manageriali.
Il percorso selettivo che la norma regolamentare prefigurava fu avviato
nell’Agenzia delle entrate già nel 2001 con un concorso per 300 posti di

dirigente che avrebbe consentito di coprire tutte le vacanze di organico
esistenti all’epoca. Quel percorso, però, si è subito interrotto. Il TAR del
Lazio, adito da un sindacato, ha infatti ritenuto che, in assenza di una
specifica norma di deroga, il d.lgs. n. 300/1999, facendo richiamo ai
“principi contenuti nel decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29” (poi d.lgs.
n. 165 del 2001), abbia voluto recepire l’intera disciplina dettata da tale
decreto per il reclutamento dei dirigenti, con un “rinvio dinamico” anche alle
disposizioni di carattere regolamentare alle quali lo stesso decreto demanda
la disciplina di dettaglio delle modalità di reclutamento.
In definitiva, secondo il TAR, la previsione contenuta nel d.lgs. n.
300/1999, che attribuisce ai regolamenti di amministrazione delle agenzie
fiscali la determinazione delle regole di accesso alla dirigenza, deve
interpretarsi come meramente riproduttiva della normativa generale in
materia.
Le complesse vicende successive, caratterizzate da reiterati interventi
normativi e molteplici pronunce del giudice amministrativo sono sfociate,
poi, nella sentenza della Corte costituzionale n. 37 del 17 marzo 2015, che
ha dichiarato l’illegittimità dell’articolo 8, comma 24, del decreto-legge n.
16/2012 e delle successive disposizioni di proroga, in quanto tali norme
avrebbero consentito il conferimento di incarichi dirigenziali senza un
concorso pubblico in violazione di quanto stabilito dall’art. 97 Cost.,
determinando la decadenza dall’incarico di oltre 1.000 funzionari che
ricoprivano incarichi dirigenziali nelle Agenzie delle Entrate (866 unità) e
delle Dogane.
Il turbamento che la situazione ha determinato nel funzionamento
delle Agenzie fiscali è ben noto, ed altrettanto nota e puntualmente
registrata nelle analisi di consuntivo degli ultimi anni, è la flessione dei
risultati operativi conseguiti.
Gli espedienti adottati negli anni successivi non sono valsi certamente
a risolvere il problema, tanto che ancora si attende invano la conclusione di
concorsi da lungo tempo banditi.
In sostanza, con la sentenza della Corte costituzionale è emersa
chiaramente l’incompatibilità tra le tradizionali regole di accesso alla
dirigenza e i principi di funzionamento delle agenzie fiscali. Bisognerà

partire da questo assunto per trovare soluzioni efficaci a un problema che
rischia di pesare sui conti pubblici e di travolgere irreparabilmente una delle
poche esperienze di successo nell’asfittico panorama di riforme della nostra
pubblica amministrazione.
In conclusione, alla luce dell’esperienza maturata negli ultimi
cinquant’anni si può affermare che qualunque intervento riformatore del
Sistema tributario è destinato all’insuccesso se non è basato su una
organica strategia attuativa, in grado di utilizzare pienamente la tecnologia e
di realizzare un diverso approccio relazionale con i contribuenti, insieme alla
più tradizionale e pur sempre necessaria azione di controllo. Per fare ciò è
necessario disporre di un apparato moderno, aperto all’innovazione e
fortemente orientato al risultato, che sappia utilizzare al meglio le
tecnologie per supportare i contribuenti e favorire l’adempimento
spontaneo, prima ancora che per sviluppare una efficace azione di controllo.

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