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lunedì 10 Marzo 2025
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Superbonus: per Cassazione valido il sequestro preventivo dei crediti d’imposta

La Corte di Cassazione, Sez Penale, con la Sentenza 07/03/2024, n. 9833, ha chiarito alcuni rilevanti profili in tema di sequestrabilità del cosiddetto superbonus.

Nel caso di specie, il Tribunale aveva rigettato l’istanza di riesame proposta dal legale rappresentate di una società avverso il decreto di sequestro preventivo ai fini impeditivi emesso dal G.I.P.

Il legale rappresentante della società proponeva quindi ricorso per cassazione avverso l’Ordinanza del Tribunale del Riesame, chiedendo l’annullamento del provvedimento impugnato, del sotteso decreto di sequestro preventivo e degli atti conseguenti, ed eccependo, per quanto di interesse, la impossibilità di sequestrare, ex art. 321, comma 1, c.p.p., crediti di imposta inesistenti perché già utilizzati ai fini della compensazione.

Con altra censura il ricorrente lamentava poi la violazione di legge in relazione all’art. 321, comma 1, c.p.p., e all’art. 121 del D.L. n.34/2020, in quanto il provvedimento cautelare aveva come presupposto la necessità che la circolazione di cose pertinenti al reato potesse aggravare o protrarre le conseguenze dell’illecito penale, ovvero agevolare la commissione di ulteriori reati. Presupposto che nella specie non poteva ricorrere, perché, come detto, i crediti fiscali si erano comunque estinti a seguito della compensazione, avvenuta già prima del provvedimento cautelare.

Né, secondo il ricorrente, sarebbe stato possibile ricostruire con efficacia retroattiva i detti crediti di imposta mediante l’annullamento delle operazioni di compensazione, come disposto dal P.M. con un provvedimento illegittimo se non abnorme, in quanto volto, in realtà, a riparare di fatto un asserito danno erariale.

Infine si contestava la violazione di legge in relazione all’art. 121, comma 6 bis e 6 quater, D.L. n.34/2020, come introdotti dal D.L. n.11/2023, in quanto il Tribunale del riesame aveva erroneamente ritenuto irrilevante la buona fede del ricorrente nell’acquisto del credito di imposta, in spregio alle disposizioni che hanno introdotto uno schermo operativo in favore del terzo cessionario in buona fede che porti in compensazione i crediti acquistati.

Secondo la Suprema Corte il ricorso era inammissibile e comunque infondato.

Evidenziano i giudici di legittimità che il decreto di sequestro preventivo relativo ai crediti di imposta in possesso della società, da essa acquistati da altro soggetto indagato per il delitto di cui all’art. 640 bis cod. pen., non era invalido.

Il Collegio sul punto richiama i principi di diritto già affermati dalla Suprema Corte con la sentenza n. 40865 del 21.09.2022, secondo cui: “In tema di sequestro preventivo impeditivo relativo al delitto di truffa aggravata ai danni dello Stato, sono suscettibili di apprensione i crediti dei terzi cessionari di cui all’art. 121, comma 1, lett. b), d.l. 19 maggio 2020, n. 34, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 luglio 2020, n. 77 (oggetto del cd. “superbonus 110%”), posto che gli stessi, derivando dal diritto alla detrazione di imposta spettante al committente delle opere, costituiscono cose pertinenti al reato, senza che rilevi la condizione soggettiva di detti terzi, in conformità alle norme processualpenalistiche che non risultano derogate dalia disciplina in oggetto“.

Al riguardo la Cassazione ribadisce che il sequestro preventivo non finalizzato alla confisca implica l’esistenza di un collegamento tra il reato e la cosa e non tra il reato e il suo autore, potendo quindi essere oggetto del provvedimento anche le cose in proprietà di un terzo, estraneo all’illecito ed in buona fede, se la loro libera disponibilità sia idonea a costituire un pericolo nei termini di cui all’art. 321, comma 1, cod. proc. pen., sopra richiamato (cfr., Cass., n 57595 del 25/10/2018, e Cass., n. 40480 del 27/10/2010).

E’ del resto evidente, rileva la Corte, che la circolazione del credito di imposta derivante da un’attività illecita a monte, possa creare un pericolo di protrazione e/o aggravamento delle conseguenze del reato proprio in ragione del fatto che il terzo cessionario può utilizzare il credito acquistato per cederlo a sua volta o per portarlo in compensazione, come appunto avvenuto nel caso di specie.

Né rileva in tal caso la buona fede del cessionario, in quanto non si è in presenza di un acquisto del diritto alla detrazione a titolo originario, “impermeabile”, questo sì, ad ogni vicenda illecita precedente.

Tali crediti di imposta, pertanto, una volta emersa la loro provenienza illecita, diventano inutilizzabili dal terzo cessionario, anche in buona, fede, al quale non resta che rivalersi nei confronti del cedente.

In definitiva, conclude la Cassazione, ben poteva essere sottoposto a sequestro preventivo impeditivo il credito di imposta acquistato dalla società ricorrente, anche nella veste di cessionario in buona fede, e l’Ordinanza del Tribunale che rigettava il ricorso per il riesame confermando il decreto di sequestro del G.I.P., risultava pertanto corretta.

A prescindere dallo specifico caso processuale, giova sul tema anche evidenziare quanto segue.

Il complesso delle norme in tema di superbonus ha permesso al committente di far eseguire i lavori senza anticipare somme di danaro (o pagando meno del costo dell’opera, grazie allo sconto in fattura), o comunque conseguendo un beneficio fiscale corrispondente all’esborso. Questi benefici, come noto, hanno sollecitato numerosi proprietari di abitazioni e condominii a stipulare dei contratti per la realizzazione di lavori che possono usufruire dei vari bonus edilizi.

Se il credito non è però maturato legittimamente in capo al cedente, anche il cessionario è esposto a rischi.

Il caso più eclatante è quello delle truffe; quei casi in cui, ad esempio, i lavori non sono mai stati eseguiti, e il credito è così il risultato di una finzione, punita dal Codice Penale a titolo di truffa ai danni dello Stato ex art. 640 c.p., che prevede la punibilità anche del solo tentativo, anche ex art. 316 ter c.p. a titolo indebita percezione di erogazioni pubbliche, laddove, comunque, l’individuazione della eventuale fattispecie di reato è rimessa al PM.

La normativa Superbonus (D.L. n. 34/2020, art. 121, co. 4) fa del resto salvo il cessionario, che si trovi nella disponibilità di un credito illegale, da responsabilità, laddove il D.L. n. 11/2023 ha poi regolato più nel dettaglio la situazione prevedendo la totale irresponsabilità del cessionario che sia in possesso di uno specifico set documentale.

Ciò non significa, però, che l’acquisto dei crediti possa avvenire con leggerezza, perché la Corte di Cassazione, con la recente sentenza n. 3108 del 24 gennaio 2024 (di cui quella in commento rappresenta conferma), ha spiegato che chi ha in mano un credito illegale può subirne il sequestro a prescindere dalla propria responsabilità nel reato.

Il caso riguardava, in quella fattispecie, un istituto bancario al quale erano stati sequestrati crediti Superbonus per circa 27 mln di euro. In quel caso erano stati contestati a vari soggetti (diversi dalla banca) i reati di truffa e autoriciclaggio, per via della mancata esecuzione di opere edilizie ammesse al bonus, tramite false asseverazioni e fatturazioni.

Secondo la banca, però, il pericolo di eseguire ulteriori operazioni illecite (necessario per poter sequestrare beni) poteva riferirsi solo agli indagati e non a sé stessa, “in mancanza di specifica motivazione sul pericolo derivante dalla disponibilità dei crediti ceduti, specie in considerazione di quanto disposto dall’art. 121, dl 34/2020 che limitava la responsabilità del soggetto cessionario alle ipotesi di utilizzo irregolare del credito o di concorso nella violazione”.

In effetti, come detto, il citato art. 121, al suo co. 4, prevede che i cessionari rispondono solo per l’eventuale utilizzo del credito d’imposta in modo irregolare o in misura maggiore rispetto al credito ricevuto. Eppure, spiega la Suprema Corte, tali disposizioni “non introducono una disciplina derogatoria a quella ordinaria penale con riferimento al sequestro preventivo. Il vincolo impeditivo, infatti, implica soltanto l’esistenza di un collegamento tra il reato e la cosa, non tra il reato e il suo autore”.

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