La difficoltà di operare con norme nazionali su fenomeni globali. Gli operatori finanziari si sottrarranno al prelievo spostandosi su altri mercati meno esosi.
di Antonio Serafini
La tassa sulle transazioni finanziarie, cosiddetta Tobin Tax, non riesce a trovare un assetto stabile: l’avvio travagliato delle nuove normative conferma la difficoltà di innestare norme nazionali su fenomeni globali. L’entrata in vigore da inizio settembre della nuova tassa sulle transazioni finanziarie ad alta frequenza (Hft, high-frequency trading) rappresenta un tentativo dichiaratamente volto a contrastare l’uso di sistemi algoritmici nella negoziazione di azioni e strumenti partecipativi nonché i relativi derivati.
L’idea di tassare le transazioni finanziarie per cercare di stabilizzare i mercati finanziari e frenare alcune pratiche speculative, oltre a recuperare risorse per i bilanci nazionali, è stata ripresa nell’estate del 2012 dalla Commissione Europea, in una proposta che ha ottenuto l’appoggio di undici paesi europei. Ma nei mesi successivi i passi concreti per l’introduzione di una Tobin Tax a livello comunitario si sono arenati: per ora solo la Francia ha introdotto una norma ad essa riconducibile, ma comunque molto diversa dalla nuova tassa italiana. La Germania, poi, ha rimandato la questione al 2016. Peraltro, ancora una volta, proprio il richiamo alle dottrine di Tobin sembra abbia innescato delle dispute ideologiche anche nella stampa italiana, sul destino del mercato finanziario italiano e dei suoi operatori, insieme a proteste e scandali per l’ennesimo “regalo” alle banche.
Dall’analisi delle caratteristiche della nuova tassa emerge quanto sia inappropriato parlare di “Tobin tax”, non avendo la normativa adottata il carattere globale, che ne costituisce invece l’anima. Senza un’applicazione globale è evidente che gli operatori finanziari, oggi veramente globalizzati, si possono agevolmente sottrarre al prelievo, semplicemente spostandosi su altri mercati meno esosi. (Vai all’analisi completa)