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sabato 27 Luglio 2024
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Tassazione capitali all’estero, pro e contro eventuale accordo con la Svizzera

I capitali italiani in Svizzera sarebbero stimati tra 150 e 400 miliardi di euro. Un eventuale prelievo medio del 25 per cento come quello previsto negli accordi con Uk e Germania garantirebbe incassi tra 37,5 e 100 miliardi di euro. Governo ancora indeciso su strategia da adottare

Di Yoda

Mentre si attende la posizione ufficiale del governo Monti e della Commissione europea, la possibilità di un accordo con la Svizzera, analogo a quello firmato nel 2011 da Germania e Regno Unito, continua ad alimentare in Italia il dibattito tra sostenitori e detrattori. Nei due Paesi, in cambio del mantenimento del segreto bancario, le banche svizzere applicheranno sui capitali dei cittadini tedeschi e britannici un prelievo una tantum sullo stock del capitale e una ritenuta annuale sui rendimenti. I clienti potranno sottrarsi alle imposte, optando per la comunicazione dei propri dati alla amministrazione finanziaria di residenza. Nel nostro Paese le posizioni al riguardo si dividono tra chi sostiene l’opportunità di negoziare una analoga ipotesi di accordo e chi  invece ritiene che si tratterebbe solo di una nuova ipotesi di condono tombale o di scudo con aliquote del 25 per cento oppure di una strategia di opportunismo finanziario che consentirebbe alla Svizzera di continuare ad attrarre capitali esteri, garantendo l’efficienza e l’anonimato, senza più la protezione dalle imposte.

Con due diversi articoli su “Lavoce”, hanno di recente espresso la loro opinione Andrea Manzitti e Tommaso di Tanno.

Andrea Manzitti ritiene ‘controproducente’ un accordo come quello con la Germania, perché sarebbe la riedizione di un condono tombale o di uno ‘scudo’, con l’aggravante che esso verrebbe riconosciuto sulla base di un attestato delle banche svizzere, senza poteri di controllo da parte dell’l’Amministrazione finanziaria italiana. A suo avviso, inoltre, l’imposta una tantum sullo stock del capitale potrebbe essere facilmente aggirata: i contribuenti sono infatti liberi di trasferire i propri capitali in altri Paesi (magari anche presso filiali estere delle medesime banche svizzere) prima della data di applicazione del prelievo[1], per poi farli rientrare, con il vantaggio di scontare solo l’imposta annuale sui rendimenti del 25 per cento anziché l’euroritenuta del 35 per cento.

Di Tanno nega che l’accordo abbia le caratteristiche di un condono tombale, e che, semmai – per la parte che riguarda il passato – può essere considerato uno ‘scudo’ con aliquote medie del 25 per cento, molto meno ‘scandalose’ di quelle applicate con le tre edizioni domestiche dell’istituto (2,5, 4 e 5 per cento). Per quanto riguarda gli abusi, evidenzia che gli elementi di forza dell’accordo sono costituiti dall’esigenza della Svizzera di puntare sull’affidabilità del suo sistema finanziario, dall’impegno delle banche a versare un congruo acconto del prelievo straordinario e dall’attività di controllo affidata all’amministrazione finanziaria della Confederazione.

Su Il Sole 24 Ore del 10 gennaio, Donato Masciandaro ha introdotto un tema diverso, che meglio spiega la contrarietà delle banche italiane: nella nuova situazione internazionale, attenta a contrastare la frode e l’evasione fiscale, gli accordi bilaterali deriverebbero da una strategia di “opportunismo finanziario” che consentirebbe alla Svizzera di continuare ad attrarre capitali esteri, garantendo l’efficienza e l’anonimato: anche se – non più – la protezione dalle imposte.

Ciò che preoccupa è che l’efficienza del sistema finanziario svizzero riesca a vincere la nuova sfida, e a garantirsi un accesso privilegiato nel mercato finanziario del partner. Uno dei vantaggi previsti dagli accordi, infatti, è la possibilità degli istituti bancari elvetici di accedere direttamente al mercato retail di Germania o Regno Unito con procedure di autorizzazione semplificate e con prodotti di investimento costruiti con i requisiti normativi svizzeri.

Nella nuova stagione successiva alla crisi del 2008 e alle note vicende della vendita di dati sensibili trafugati alla banche svizzere ad opera di dipendenti infedeli, la protezione degli evasori comporta rischi legali e reputazionali enormi. La Svizzera non ha più tanto interesse a proteggere i capitali dalle imposte altrui, se può comunque continuare ad essere attrattiva puntando sul grado di indiscussa efficienza dei propri servizi, sulla certezza del diritto, sulla stabilità della moneta, oltre che sulla garanzia di un segreto bancario che tutela la sfera privata, senza più risultare indissolubilmente legato all’evasione fiscale[2].

L’evasione è merce sempre più riservata a Paesi off shore molto meno complessi e competitivi. E’ l’inizio di un percorso che richiederà tempo, ma che non va sottovalutato.

L’analisi di Manzitti non coglie questa novità della strategia della Confederazione, che invece è stata più volte ribadita nei suoi documenti ufficiali degli ultimi due anni: “far emergere il denaro non dichiarato … attraverso l’introduzione di un’imposta liberatoria e ulteriori misure destinate a incoraggiare l’onestà fiscale dei clienti delle banche e a ridurre in tal modo i rischi legali“[3].

Tra estimatori e detrattori, il tema della percorribilità di un’iniziativa analoga a quella tracciata con gli accordi di Germania e Regno Unito è ora all’attenzione dello stesso governo Monti, per un più approfondito esame. E sono all’attenzione della Commissione Europea i profili di compatibilità con la direttiva risparmio 2003/48/CE.

Flash back

1. Cosa dicono gli accordi?

Gli accordi bilaterali con la Germania e il Regno Unito – parafati in agosto e firmati nel settembre del 2011 – sono attesa di approvazione dei rispettivi Parlamenti, per entrare in vigore il 1 gennaio 2013.

In cambio del mantenimento del segreto bancario, le banche svizzere applicheranno sui capitali dei cittadini tedeschi e britannici un prelievo una tantum sullo stock del capitale e una ritenuta annuale sui rendimenti. E’ in facoltà dei clienti sottrarsi alle imposte, optando per la comunicazione dei propri dati alla amministrazione finanziaria di residenza.

Il prelievo straordinario (o regolarizzazione retroattiva) si configura come sostitutivo e liberatorio degli obblighi evasi negli anni precedenti e sarà applicato con aliquote che variano, in ragione dell’ammontare del capitale e degli anni di giacenza, dal 19 al 34 per cento per la Germania e dal 20 al 34 per cento per il Regno Unito. A garanzia del loro impegno, le banche svizzere verseranno, a titolo di anticipazione, 2 miliardi di franchi svizzeri alla Germania e 500 milioni al Regno Unito. Il cliente può evitare il prelievo con la disclosure o sottrarvisi trasferendo all’estero i capitali prima della data prevista, cinque mesi dopo l’entrata in vigore dell’accordo, per la sua applicazione.

Sui rendimenti annuali dei capitali custoditi in Svizzera saranno invece applicate aliquote esattamente corrispondenti a quelle dovute in patria. Pertanto, per la Germania, l’aliquota è fissata al 26,375 per cento (25% + 1,375% di contributo di solidarietà), mentre per il Regno Unito si applicano (come in patria) aliquote diversificate per categoria: pari al 27 per cento sui redditi di capitale, 40 per cento sui dividendi e 48 per cento sugli interessi.

L’accordo è oggettivamente e soggettivamente molto esteso. Il prelievo colpisce infatti non solo gli interessi (come nella direttiva risparmio) ma anche i dividendi e gli altri redditi assimilati su derivati, investimenti collettivi, polizze assicurative, nonché i capital gains; detenuti dalle persone anche indirettamente (a differenza della risparmio) tramite società, enti, fondazioni e istituti di ogni tipo (comprese le società di sede, le fiduciarie, i trust etc. ), la cui effettiva attività non sia il commercio o l’industria.

Si tratta di ritenute a carattere liberatorio e ‘sostitutivo’ di imposte di differente natura. In particolare, il prelievo una tantum estingue l’obbligazione relativa alle imposte sul reddito e sui capital gain, l’imposta di successione e l’IVA; mentre la ritenuta periodica sui rendimenti è liberatoria delle sole imposte sul reddito e sui capital gain dovute in patria sui redditi delle corrispondenti categorie. Di fronte ad eventuali accertamenti, il contribuente potrà opporre la certificazione rilasciata dalle banche svizzere, confermata, a richiesta, dalle competenti autorità.

Gli accordi prevedono, inoltre, specifiche disposizioni contro gli abusi[4] che vietano agli istituti finanziari svizzeri di gestire o favorire l’uso di strutture artificiali il cui unico o principale scopo sia evadere le imposte.. In presenza di violazioni accertate, dovranno corrispondere l’imposta evasa dal cliente, salvo il diritto al rimborso dell’ammontare eventualmente recuperato dallo Stato di residenza a carico dell’evasore.

L’applicazione dell’imposta liberatoria tutela il segreto bancario svizzero, anche se, “a domanda concreta”, la Svizzera continuerà a prestare assistenza amministrativa, in vigenza di un accordo contro le doppie imposizioni. Anzi, per un numero limitato di casi (circa 500 controlli a campione annui), la Svizzera si impegna annualmente a fornire al partner assistenza amministrativa ‘ampliata’ anche rispetto agli standards OCSE, impegnandosi a rispondere alle richieste che si limitino ad indicare il nome del cliente (che si ipotizza infedele) e non anche quello della banca in cui deterrebbe i capitali. Sono escluse le fishing espeditions e lo scambio automatico di informazioni, così come essi sono esclusi dall’art. 26 del modello OCSE. Il numero dei controlli possibili con questa procedura sarà progressivamente ampliato e migliorato in rapporto ai risultati positivi, in termini di recupero dell’evasione, che lo Stato richiedente sarà stato in grado di trarne.

La Svizzera valorizzerà la propria immagine di primaria piazza finanziaria e le sue banche potranno godere di facilitazioni (procedurali e regolamentari) di accesso diretto nel mercato dei servizi finanziari in Germania e nella City. Inoltre, tra gli effetti collaterali, ma non secondari, pubblicizzati nel sito del Dipartimento Federale delle Finanze, merita di essere menzionata la c.d. “decriminalizzazione delle banche e dei loro collaboratori”, ossia la loro protezione da eventuali procedimenti giudiziari, intentati dagli Stati esteri di residenza. Le banche e i collaboratori che nel passato hanno partecipato alle transazioni che hanno permesso l’espatrio di capitali dall’altro Stato contraente potranno godere dell’impunità.

Per quanto riguarda i controlli e l’affidabilità complessiva del sistema, gli accordi bilaterali già firmati (e quelli, analoghi, che in futuro potranno essere stipulati con altri Stati) potranno avvalersi degli strumenti giuridici messi a disposizione dalla nuova proposta di “Legge federale sull’imposizione alla fonte internazionale”(LIFI).[5] Essa individua nella Amministrazione Federale delle Contribuzioni (AFC) l’organo preposto al controllo della corretta applicazione degli accordi e contiene le disposizioni concernenti l’organizzazione, le procedure e i rimedi giuridici necessari alla loro attuazione agli accordi, con le relative disposizioni penali.

E’ evidente che, oltre agli aspetti di cui già si è detto, le principali criticità riguardano la compatibilità degli accordi bilaterali con la direttiva risparmio.

2. Cosa dicono la direttiva risparmio 2003/48/CE e l’accordo tra l’Unione e la Svizzera del 2004

La direttiva risparmio parte dal presupposto (comune ai recenti accordi) che i redditi di capitale vadano tassati in modo adeguato anche se realizzati fuori dello Stato di residenza; ma, a differenza di essi, la direttiva ha un perimetro di applicazione molto più limitato, quanto all’ambito di applicazione oggettivo e soggettivo: riguarda infatti solo gli interessi – anzi una nozione molto ristretta di interessi – direttamente destinati a persone fisiche residenti in un altro Stato membro.

L’altra rilevante differenza è costituita dallo scambio automatico di informazioni tra gli Stati membri interessati, che la direttiva individua come lo strumento principale attraverso cui ottenere il suo principale obiettivo, ossia la tassazione degli interessi transfrontalieri nel paese di residenza.

Per un periodo transitorio, tuttavia, la disciplina comunitaria ammette che alcuni Paesi membri (ad oggi Lussemburgo e Austria) continuino a tutelare il segreto bancario e a sottrarsi allo scambio automatico di informazioni, applicando – in alternativa – una ritenuta alla fonte sugli interessi corrisposti ai clienti residenti in altri Stati dell’Unione: ritenuta che dal 1 luglio 2011 è operata in misura pari al 35 per cento e il cui gettito è devoluto – per il 75 per cento – allo Stato di residenza del cliente[6]. E’ sempre ammessa, a richiesta del cliente, la comunicazione dei dati in luogo della applicazione della ritenuta.

Ed è con questa formula di compromesso (euroritenuta in luogo dello scambio automatico di informazioni), che l’Unione europea è riuscita a stipulare accordi con misure equivalenti a quelle della direttiva anche con alcuni Stati non comunitari e notoriamente poco trasparenti (Svizzera, Andorra,Liechtenstein, Principato di Monaco e San Marino). E, su queste basi, è stato stipulato anche l’accordo tra l’Unione e la Svizzera in vigore dal 1 luglio 2005[7].

Il monitoraggio condotto dalla Commissione ha tuttavia rivelato che essa è facilmente eludibile dalle persone fisiche che hanno la possibilità di evitare il prelievo, avvalendosi dell’interposizione di società, fondazioni, trust o altri istituti giuridici consimili e che il gettito dell’euroritenuta è in costante calo.

Per quanto riguarda la Svizzera, ad esempio, le imposte complessivamente prelevate dal suo sistema bancario a carico di tutti i clienti residenti nell’Unione sono scese nel 2010 a 432[8] milioni di franchi a fronte dei 535 milioni del 2009. Con la conseguenza che, nel 2010 la Confederazione ha accreditato un ammontare netto di 108 milioni di franchi alla Germania, 57 all’Italia[9] e 18,4 al Regno Unito: cifre infinitamente più modeste di quelle che dovrebbero derivare dagli accordi bilaterali, che, per il solo anticipo dell’una tantum, prevedono invece un introito di 2 miliardi per la Germania e di 500 milioni per il Regno Unito.

13 novembre 2008 la Commissione europea ha presentato una proposta (COM( 2008)727) di revisione della direttiva risparmio, per renderla meno vulnerabile[10] agli abusi, anche attraverso l’ampliamento del suo ambito d’applicazione.

Per evitare che le persone fisiche si nascondano dietro facili schermi e veicoli di ogni tipo è stata proposta l’adozione dell’approccio look trought proprio della direttiva antiriciclaggio, che consente di individuare per ‘trasparenza’ gli effettivi titolari cui sono indirettamente destinati i proventi erogati a fondazioni, trusts e simili. E’ inoltre previsto un ampliamento della nozione di ‘interessi’ oggetto, in alternativa, dello scambio automatico di informazioni o dell’euroritenuta, per comprendervi fattispecie finora escluse come i rendimenti degli organismi d’investimento, polizze assicurative qualificabili come strumenti finanzirai etc[11].

Tutti i contenuti delle proposte emendative risultano già ‘anticipati’ negli accordi bilaterali, che anzi – come già si è detto – sono andati ben oltre le proposte della Commissione, prendendo di mira non solo gli interessi, in senso lato, ma anche differenziali e capital gain di ogni tipo derivanti da valori in conto e in deposito presso tutti gli istituti finanziari e le gestioni patrimoniali elvetici, anche indirettamente detenuti.

Nelle more, il progetto di revisione della direttiva risparmio è da tempo arenato a Bruxelles anche grazie alla posizione rigida dell’Italia nei confronti della Svizzera, accusata dell’ex ministro Tremonti di disattendere i principi ispiratori dell’accordo con l’Unione. All’Ecofin di maggio 2011, Tremonti minacciò di bloccare la revisione della direttiva risparmio finché non fossero state introdotte sanzioni specifiche contro gli Stati e le banche che non rispettano gli obblighi relativi all’euroritenuta.

Nel frattempo, la Svizzera è riuscita a firmare gli accordi bilaterali con la Germania e il Regno Unito; il dossier di revisione della direttiva continua a giacere “su un binario morto”, come titolava “Il Sole 24 Ore” del 28 dicembre e si va facendo strada l’idea che, per sbloccare la situazione, sia necessario separare ciò che Tremonti voleva tenere unito: la revisione della direttiva sui cui contenuti vi è già un accordi di massima potrebbe procedere in modo autonomo dal dossier che riguarda, invece, la permanenza del regime transitorio dell’euroritenuta, come alternativa allo scambio automatico di informazioni.

3. Il problema della compatibilità degli accordi bilaterali con la direttiva risparmio

Il 25 ottobre 2011, Il Commissario Semetas in risposta ad una interrogazione del Parlamento Europeo ha reso noto il proprio punto di vista sui profili di compatibilità comunitaria degli accordi bilaterali. Ha riconosciuto che Germania e Regno Unito sono grandi sostenitori del processo di revisione della direttiva risparmio, e che “concludere accordi bilaterali per tassare i rendimenti dei risparmi nascosti in Paesi terzi appare molto attrattivo”, ma ha sollevato alcuni dubbi sulla conformità degli accordi con la direttiva, per quanto riguarda il livello delle aliquote e la natura del prelievo.

Sul primo aspetto, Semetas prende di mira in particolare l’accordo con la Germania, che prevede una ritenuta annuale sui rendimenti più bassa dell’euroritenuta. Ma l’attenzione è rivolta soprattutto sul carattere ‘liberatorio’ del prelievo, estraneo alla direttiva. L’applicazione dell’euroritenuta, infatti, non libera il cliente dai propri obblighi fiscali in patria, come invece avviene nel contesto dei due accordi bilaterali.

Semetas sottolinea inoltre il rischio che queste iniziative vanifichino le politiche europee di coordinamento, si sovrappongano con il progetto dell’Unione di rinegoziare il proprio accordo con la Svizzera dopo la revisione della direttiva, pregiudicando per sempre lo scambio automatico di informazioni. Infine solleva il dubbio che esse possano violare competenze esclusive dell’Unione.

In attesa che la Commissione Europea formalizzi il proprio orientamento ufficiale, le criticità evidenziate da Semetas sembrano sollevare soprattutto un problema di inopportunità degli accordi dal punto di vista della Commissione, più che di evidente incompatibilità con la direttiva risparmio.

In effetti, lo scambio “ritenute/anonimato” è nella logica dell’iniziale politica di avvicinamento graduale alla soluzione della direttiva UE. Il carattere liberatorio del prelievo, per quanto riguarda la regolarizzazione del passato, è da sempre connaturato ai tre ‘scudi ‘italiani che hanno superato l’esame di compatibilità comunitaria, con la particolarità che, nel caso degli accordi bilaterali, si applicano aliquote di importo medio molto elevato, pari ad un quarto dell’intero stock del capitale. Diverso è, invece, il contenuto ‘liberatorio’ della ritenuta applicabile, a regime, sui rendimenti annui, che non ha affatto le caratteristiche di una sanatoria: non è un prelievo agevolato ex post su redditi non dichiarati, ma una diversa modalità di assolvimento – anonimo – dell’obbligazione tributaria di periodo con aliquote ordinarie. Non concede benefici di tassazione, né per il quantum né per i tempi di pagamento. Non interferisce con l’euroritenuta che, sugli interessi , è prelevata in via prioritaria e poi scomputata da quanto dovuto in base all’accordo bilaterale che ha una base imponibile di riferimento molto più ampia.

L’aspetto critico, di possibile collisione, è semmai da individuare nella circostanza che l’euroritenuta è concepita come un prelievo ulteriore che si aggiunge e non sostituisce l’obbligo del cliente di corrispondere in patria le imposte dovute: ma già c’è chi sostiene che questo effetto liberatorio potrebbe essere anche ottenuto (una volta modificati gli accordi) sulla base di norme di diritto interno degli Stati contraenti che difficilmente potrebbero essere ritenuti incompatibili con le competenze comunitarie, che in tema di imposte dirette, non sono esclusive.

In altri termini, eventuali criticità potrebbero essere oggetto di rinegoziazione e di confronto con la stessa Commissione europea. E ciò vale anche per la misura delle aliquote sui rendimenti annuali, che è, comunque, rispettosa del principio – cardine per cui il livello del prelievo deve essere coerente con quello vigente nel paese di origine e che tiene conto della circostanza che la Svizzera rinuncia alla propria share del 25 per cento, che invece le spetta in base all’accordo con l’Unione.

4. La posizione del Governo Italiano

Contro eventuali accordi bilaterali, l’ex Ministro Tremonti aveva ripetutamente espresso il proprio disaccordo. Tollerare l’anonimato è come “portare la Svizzera in Europa”, anziché l’Europa in Svizzera, aveva ‘tuonato’ all’Ecofin del 25 marzo u.s., dopo avere promosso ben tre scudi a prezzi stracciati e dimenticando i molti interessi che Italia e Svizzera hanno in comune, e non solo per quanto riguarda la tassazione o i ristorni dei transfrontalieri.

A tal proposito, il 16 settembre 2011 si è tenuto alla Commissione Affari Esteri del Senato un incontro tra delegazioni del Parlamento italiano e del Consiglio degli Stati della Confederazione elvetica, dei rispettivi ambasciatori e rappresentanti del mondo bancario e delle Camere di Commercio. Su iniziativa del Presidente della Commissione Affari Esteri, Lamberto Dini, Il parlamento ha approvato una mozione bipartisan che impegna il governo a riprendere i negoziati con la Svizzera, per arrivare ad un accordo sulla falsariga di quelli stipulati da Germania e Regno Unito.

Per quanto riguarda, il nuovo governo, in un primo tempo, il Ministro Piero Giarda aveva confermato in Parlamento l’orientamento negativo di Tremonti, ma di recente, re melius perpensa, il Presidente del Consiglio Mario Monti ha invece affermato che il dossier è all’esame per una più approfondita valutazione.

Secondo alcune stime pubblicate in questi mesi, i capitali italiani in Svizzera ammonterebbero a importi tra 150 e 400 miliardi di euro (cfr. L’Espresso del 21 dicembre 2011) e un eventuale prelievo medio del 25 per cento come quello previsto negli accordi con UK e Germania garantirebbe incassi tra 37,5 e 100 miliardi di euro.

Soldi in cambio di anonimato, ma ad un prezzo ben più invasivo dei tre scudi fiscali del Ministro Tremonti, e secondo una formula di ragionevole compromesso adattata anche dalla recente manovra Monti sulla minipatrimoniale per i capitali scudati.

Conclusioni

E’ probabile che gli accordi siano destinati ad intralciare i progetti di miglioramento della direttiva, ridando forza a Austria e Lussemburgo che ancora godono del regime transitorio e non intendono abbandonarlo adottando lo scambio automatico di informazioni.

Ma vi è anche chi pensa il contrario. Il metodo e il merito degli accordi bilaterali che estendono l’ambito di applicazione prelievo alla fonte sia soggettivamente che oggettivamente vanno nella stessa direzione della revisione della direttiva e potrebbe facilitarne il progetto. Soprattutto se questo progetto viene mantenuto distinto dal problema della permanenza del regime transitorio.

L’obiettivo di Berna è riposizionare il proprio sistema finanziario, escludendo lo scambio automatico di informazioni in una prospettiva diversa dal passato. Non si dimentichi che la Svizzera ha superato nel giugno scorso la prima fase della peer review del Forum Ocse sulla trasparenza e lo scambio di informazioni ed è considerato un paese ad ordinamento ‘virtuoso’ (equivalente) anche per la lotta all’antiriciclaggio. i capitali che dovessero fuggire dalla Svizzera per sottrarsi al prelievo una tantum, verrebbero sottoposti – in ipotesi di rientro – ai controlli di corretta identificazione imposti dalle vigenti regole condivise a livello internazionale.

E’ un ‘processo’ che forse neppure l’Unione ha interesse a contrastare; che può favorire l’adempimento dell’obbligo fiscale su elementi di reddito tipicamente ‘volatili’ e una maggiore efficienza e competitività dell’intero settore finanziario.

Vedremo quali saranno i prossimi sviluppi in Europa e in Italia.

[1] Il prelievo una tantum si applica ai capitali custoditi in Svizzera alla data della firma dell’accordo e ancora esistenti al termine del quinto mese dall’entrata in vigore dell’accordo.

[2] Cfr. Dipartimento Federale delle Finanze della Confederazione Svizzera, Segreteria di Stato per le questioni finanziarie internazionali”Domande e risposte sull’imposta sostitutiva ottobre 2010 www.sif.admin.ch . Alla domanda se è possibile eludere l’imposta liberatoria, di cui si progettava l’istituzione, trasferendo i valori patrimoniali in altro Stato, la Segreteria di Stato, sin dall’ottobre 2010, rispondeva che i clienti sono liberi di farlo, né potrebbe essere diversamente. “Tuttavia i clienti … che agiscono in questo modo non potrebbero più beneficiare dei vantaggi della piazza finanziaria Svizzera (ad es. in relazione a certezza diritto, qualità dei servizi, stabilità monetaria)”

[3] Cfr. Dipartimento federale delle Finanze Confederazione Svizzera “Rapporto esplicativo relativo a una legge sull’imposizione alla fonte internazionale”. 2011 Cfr. anche Dipartimento federale delle Finanze Confederazione Svizzera Segreteria di Stato per le questioni finanziarie internazionali”Domande e risposte sull’imposta sostitutiva ottobre 2010 www.sif.admin.ch

[4] Cfr. art. 32 accordo con la Germania e art. 33 accordo con il Regno Unito

[5] Su tale proposta, il Consiglio federale svizzero ha aperto le consultazioni dal 30 settembre 2011 al 30 novenbre 2011

[6] L’aliquota iniziale del 20 per cento è successivamente salita al 25% e poi al 35%.

[7] L’accordo con la Svizzera prevede l’applicazione della ritenuta transnazionale (salita al 35 per cento dal 1 luglio 2011) sugli interessi dei depositi di persone fisiche residenti nella UE. Anche in questo caso, il 75 per cento del gettito viene attribuito allo Stato membro di residenza del contribuente, che può optare per la disclousure. L’accordo salvaguarda l’ordinamento svizzero e il segreto bancario e estende alla Svizzera i vantaggi delle due direttive europee ‘madre- figlia’ e ‘interessi e royalty’ con l’abolizione della ritenuta alla fonte sui pagamenti transfrontalieri infragruppo di dividendi interessi e roy, contribuendo ad aumentare l’attrattività della localizzazione in Svizzera dei gruppi multinazionali.

[8] Si tratta dell’importo complessivo da ripartire per il 25% alla Svizzera stessa e per il 75% agli Stati membri di residenza dei clienti

[9] In totale, l’Italia ha ricevuto a titolo di euro ritenuta svizzera 143 milioni del 2008, 123 milioni del 2009 e 57 milioni nel 2010.

[10] Cfr. il Rapporto della Commissione sulla applicazione della direttiva risparmio del 14 giugno 2011 SEC(2011)775

[11] Il Parlamento europeo ha approvato, con alcune modifiche, la proposta di revisione con risoluzione 24 aprile 2009.

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