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sabato 27 Luglio 2024
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Transazione fiscale, niente Cram Down fiscale senza una complessiva ristrutturazione del debito

Il giudice non può procedere all’omologa forzosa quando, nella sostanza, gli unici creditori cui si rivolge la proposta di falcidia/dilazione dei crediti sono le Agenzie fiscali o gli Enti previdenziali. Lo ha stabilito la Corte di Appello di Firenze con decreto numero 370 del 7 novembre scorso che ha confermato la pronuncia del Tribunale di Firenze del 22/3/2022 pubblicata il 28/3/2022 precisando che in tal caso non ricorre la fattispecie giuridica dell’accordo di ristrutturazione del debito e comunque si verrebbe a determinare un trattamento deteriore dei crediti tributari e contributivi contrario al sistema.

Si tratta di una interpretazione assolutamente coerente con il dato normativo, che contraddice numerose pronunce (finora limitate ai gradi di merito) con le quali è stata imposta all’Agenzia delle Entrate, quale unico creditore a cui era indirizzata la proposta di accordo (coincidente, quindi, con la proposta di transazione fiscale), l’omologa forzosa della proposta transattiva sul solo presupposto dell’attestazione, da parte del professionista, della maggiore proficuità rispetto all’alternativa liquidatoria. In sostanza, l’omologa forzosa è finalizzata ad estendere gli effetti di un accordo, intervenuto tra il debitore e un numero di creditori che da solo non consente di raggiungere la soglia minima dei crediti che devono per legge essere coinvolti nella ristrutturazione della complessiva situazione debitoria, anche agli Enti titolari di crediti fiscali e contributivi che abbiano denegato la proposta transattiva. Tale pronuncia dei giudici toscani, sebbene relativa al contesto normativo delineato dagli articoli 182-bis (accordi di ristrutturazione dei debiti) e 182-ter (trattamento dei crediti tributari e contributivi) dell’abrogato (dal 15/07/2022) R.D. n. 267/1942 (Legge fallimentare), sono perfettamente valide, data la sostanziale sovrapponibilità dei relativi testi normativi agli attuali articoli 57 (accordi di ristrutturazione del debito) e 63 (transazione su crediti tributari e contributivi) del Dlgs. n. 14/2019 (codice della crisi e dell’insolvenza). Infatti, il predetto articolo 63, al comma 2-bis, recita: “2-bis. Il tribunale omologa gli accordi di ristrutturazione anche in mancanza di adesione da parte dell’amministrazione finanziaria o degli enti gestori di forme di previdenza o assistenza obbligatorie quando l’adesione e’ determinante ai fini del raggiungimento delle percentuali di cui agli articoli 57, comma 1, e 60, comma 1, e, anche sulla base delle risultanze della relazione del professionista indipendente, la proposta di soddisfacimento della predetta amministrazione o degli enti gestori di forme di previdenza o assistenza obbligatorie e’ conveniente rispetto all’alternativa liquidatoria”.

A ben vedere, l’attuale formulazione normativa, in merito al punto specifico, è ancora più chiara, in quanto l’incipit del succitato comma 2-bis stabilisce: “il tribunale omologa gli accordi di ristrutturazione…”. Pertanto, come bene evidenziato dai giudici fiorentini, nella motivazione di seguito sintetizzata, già con riferimento al precedente testo normativo, oggetto dell’omologa forzosa è un accordo di ristrutturazione del debito contenente una proposta di transazione fiscale, ma non la transazione fiscale da sola considerata. Non solo. Non vale a configurare un accordo di ristrutturazione l’intervenuto accordo con altri creditori laddove siano titolari di crediti di valore assolutamente trascurabile rispetto ai crediti fiscali e contributivi. Si ritiene più efficace richiamare le stesse parole del Tribunale di Firenze fatte proprie dalla Corte di Appello.

“Mancando quindi un accordo di ristrutturazione dei debiti, quello che la società ricorrente richiede di omologare è una proposta di transazione fiscale non accettata dall’amministrazione. Ritiene il tribunale che ciò non sia consentito. Né comunque un accordo con due soli creditori rappresentanti un importo irrisorio (€ 13.917,16) dell’esposizione debitoria complessiva (€ 3.215.519) sarebbe idoneo a determinare l’applicabilità dell’art. 182-bis c. 4 l.f. e a consentire l’omologazione in mancanza di adesione da parte dell’amministrazione finanziaria e degli enti gestori di forme di previdenza o assistenza obbligatorie (di seguito anche semplicemente “amministrazione”). La norma di cui all’art. 182-bis l.f. prevede che l’accordo di ristrutturazione dei debiti debba essere raggiunto con i creditori rappresentanti almeno il 60% dei crediti. Nel caso in cui non sia raggiunta tale maggioranza l’omologazione è possibile anche in mancanza dell’adesione dell’amministrazione quando l’adesione di quest’ultima è decisiva ai fini del raggiungimento della predetta percentuale e quando la proposta di soddisfacimento del credito dell’amministrazione è conveniente rispetto all’alternativa liquidatoria. L’amministrazione viene quindi considerata aderente ai fini del calcolo dei crediti e può subire una riduzione o dilazione del proprio credito senza il suo consenso, il tutto secondo quanto previsto nella proposta di transazione fiscale e nel rispetto dei requisiti di cui al comma 1 dell’art. 182-ter l.f. che sono: soddisfazione in misura non inferiore a quella realizzabile, in ragione della collocazione preferenziale, sul ricavato in caso di liquidazione, avuto riguardo al valore di mercato attribuibile ai beni o ai diritti sui quali insiste la causa di prelazione, indicato nella relazione del professionista indipendente; in caso di credito privilegiato, trattamento non deteriore rispetto ai creditori con privilegio inferiore o ai creditori con posizione giuridica e interessi economici omogenei; nel caso di credito chirografario, trattamento non differenziato rispetto agli altri chirografari, o, nel caso di suddivisione in classi, pari a quello della classe con trattamento più favorevole. La valutazione dell’amministrazione come aderente ai fini del voto e l’imposizione alla stessa della proposta di transazione fiscale presuppone un accordo di ristrutturazione dei debiti con alcuni creditori (creditori aderenti). Oggetto dell’omologazione da parte del tribunale è tale accordo di ristrutturazione dei debiti in cui si inserisce la proposta di transazione fiscale. In mancanza dell’accordo la proposta di transazione fiscale non può essere omologata e non può essere imposto coattivamente all’amministrazione il trattamento da essa previsto. Si può omologare un accordo raggiunto con alcuni creditori estendendolo, in presenza delle condizioni di legge, all’amministrazione dissenziente, ma non sostituire all’accordo una mera proposta, non accettata o, come nella fattispecie, espressamente rifiutata, e chiederne l’omologazione. Altrimenti il tribunale non si limiterebbe ad estendere un accordo ma contribuirebbe alla formazione dell’accordo stesso, e poi lo omologherebbe. Inoltre l’estensione opera per ovviare al mancato raggiungimento della maggioranza di cui al primo comma, e ciò implica che vi siano dei creditori aderenti, l’ammontare dei cui crediti non raggiunga il 60%. In mancanza di accordo e quindi di creditori aderenti, ed in presenza solo di creditori estranei che devono essere pagati integralmente, l’amministrazione finanziaria verrebbe a subire coattivamente un trattamento deteriore non giustificato dal sistema. In sostanza, occorre che vi siano dei creditori aderenti, e che l’ammontare dei loro crediti non raggiunga la percentuale di legge (60%), e ciò a causa dell’esposizione debitoria nei confronti dell’amministrazione. Dalla previsione del requisito di adesione di una percentuale significativa dei crediti (60%), quale quella indicata al primo comma dell’art. 182-bis l.f., si deduce poi che l’accordo di ristrutturazione dei debiti debba essere funzionale a regolare in modo ampio e sistematico l’esposizione debitoria complessiva dell’impresa in crisi. Pertanto la percentuale dei creditori aderenti non può essere nulla oppure irrisoria, neppure quando l’ammontare dei crediti dell’amministrazione sia, da solo, superiore al 60%. Occorre, affinché possa essere giustificata l’imposizione di un trattamento coattivo ai sensi della norma in questione, che vi sia una ristrutturazione complessiva dei debiti che non riguardi solo i debiti nei confronti dell’amministrazione ma anche un importo, non meramente simbolico e irrisorio, dei debiti verso gli altri creditori, inserendosi la ristrutturazione dei debiti dell’amministrazione (con le regole e i limiti di ammissibilità della transazione fiscale) nell’ambito, più ampio, della ristrutturazione del passivo dell’impresa: importo ristrutturato, non meramente simbolico e irrisorio, dei debiti verso gli altri creditori, che sarà direttamente proporzionale all’ammontare dei crediti dei creditori diversi dall’amministrazione e inversamente proporzionale a quello dei crediti dell’amministrazione. Ciò esclude la corrispondenza della fattispecie concreta, sottoposta al vaglio del tribunale, al modello legale dell’accordo di ristrutturazione dei debiti di cui all’art. 182-bis l.f. modello che presuppone la presenza di un’adesione significativa di creditori (60%) rispetto ai creditori estranei e che, pur consentendo l’omologazione dell’accordo in mancanza di adesione dell’amministrazione quando l’adesione sia decisiva ai fini del raggiungimento della percentuale e la proposta sia conveniente, non ricorre laddove sia la sola amministrazione a subire la ristrutturazione a fronte dell’integrale soddisfazione di tutti (o quasi tutti) gli altri creditori che alla ristrutturazione rimangono estranei”.

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