Posizioni differenti tra amministrazione finanziaria da un lato e giurisprudenza e dottrina dominanti dall’altro sulla transazione fiscale. Natura dell’istituto e potere accertativo del fisco al centro delle divergenze.
di Pasquale Fabbrocini
La transazione fiscale, istituto relativamente giovane del nostro ordinamento fiscale, sta acquistando sempre più importanza a causa delle difficoltà economiche delle imprese. Si registra, infatti, una crescita significative delle istanze di definizione concordataria delle posizioni debitorie legate a procedure concorsuali. Una analisi di Lef evidenzia alcune problematicità legate sia al corretto inquadramento sistematico della natura giuridica della transazione fiscale che ai poteri accertativi del fisco in ordine alle annualità e ai tributi transatti. Appare perciò decisivo stabilire se la transazione fiscale costituisce un istituto autonomo, oppure sia un endoprocedimento all’interno del procedimento di concordato preventivo od accordo di ristrutturazione dei debiti. E se, in tale ultimo caso, la transazione sia necessaria al fine di acconsentire alla falcidia dei crediti erariali, ovvero, se possa configurarsi un concordato od accordo di ristrutturazione senza transazione fiscale. Dalla obbligatorietà dell’attivazione dell’istituto dipende, ad esempio, la sua portata effettuale sia sul versante delle condizioni in base alle quali disporre dell’obbligazione tributaria che su quello della definitività dei recuperi fiscali per gli anni interessati dall’accordo transattivo.La questione della portata effettuale della transazione fiscale è stata posta in relazione alla natura autonoma o dipendente della procedura transattiva rispetto alle procedure concorsuali. Secondo la giurisprudenza e la dottrina prevalenti, essa ha una natura dipendente da quella del concordato preventivo o dagli accordi di ristrutturazione, ossia, non può sussistere transazione fiscale senza concordato od accordo di ristrutturazione: pertanto, si ritiene di potere concludere che la transazione fiscale sia destinata, esclusivamente, ai soggetti fallibili (art. 1 legge fallimentare). Ciò posto emerge un problema ulteriore e cioè se possa sussistere una delle due prefate procedure concorsuali senza transazione fiscale, ossia, se quest’ultima sia necessaria o meno, al fine di dare luogo alla falcidia dei crediti tributari e contributivi. La dottrina e la giurisprudenza prevalenti attribuiscono carattere non necessario all’istituto in parola, ritenendolo indispensabile solo al fine del manifestarsi dell’effetto del”consolidamento” delle pendenze fiscali e contributive. In sostanza il debitore/contribuente che accede ad una procedura di concordato preventivo non ha l’obbligo, ma solo la facoltà, di attivare la procedura della transazione fiscale. Tale attivazione non avrebbe lo scopo di procedimentalizzare la formazione della volontà dell’Amministrazione finanziaria in ordine alla remissione dei crediti erariali e, quindi, non sarebbe richiesta in ragione dell’indisponibilità dell’obbligazione tributaria, bensì, la transazione si renderebbe necessaria solo quanto il contribuente intenda ottenere l’ulteriore obiettivo del consolidamento della propria posizione fiscale e contributiva.
Sia l’Agenzia delle Entrate che la dottrina e la giurisprudenza prevalenti concordano nel ritenere che il consolidamento si sostanzi, innanzitutto, nella quantificazione certa delle passività fiscali oggetto di negoziazione remissoria e/o dilatatoria, che si concretizza nelle certificazioni del debito tributario rilasciate dall’Ufficio e dall’Agente della riscossione; inoltre, la transazione produce la cessazione della materia del contendere nelle liti aventi ad oggetto i tributi transatti, effetto che l’art. 182-ter, comma 5, della legge fallimentare connette all’omologazione del concordato. La dottrina e la giurisprudenza prevalenti ritengono, condivisibilmente, che tale effetto definitorio si estenda anche alle liti potenziali, ossia, agli atti impositivi notificati e per i quali siano ancora pendenti i termini per l’impugnazione, ma che non si estenda alle pretese erariali già consolidatesi e per le quali siano pendenti, semplicemente, liti concernenti gli atti della conseguente riscossione. Tuttavia, le citate dottrina e giurisprudenza si spingono nell’affermare che, con riferimento ai tributi ed alle annualità oggetto di transazione, sarebbe preclusa ogni ulteriore attività accertativa: tale orientamento non si ritiene condivisibile, come anche sostenuto dall’Agenzia delle Entrate nella Circolare n. 40 del 2008.
Tornando alla natura della transazione, da cui dipende la corretta definizione del suo ambito effettuale, appare indubbio che l’istituto si inquadra sempre in un concordato od accordo di ristrutturazione. Prova ne è, tra l’altro, la previsione per la quale la cessazione della materia del contendere è subordinata alla omologazione del concordato (art. 182-ter, comma 5, l.f.). Tuttavia, in contrario avviso alla giurisprudenza ed alla dottrina prevalenti, si ritiene che la transazione sia sempre necessaria, al fine di procedimentalizzare la volontà amministrativa. Infatti, ancorché il principio della indisponibilità dell’obbligazione tributaria sia oramai superato, la possibilità di disporre di siffatta obbligazione passa attraverso il rispetto di specifiche procedure, atte a preservare gli interessi sottesi, che hanno natura pubblicistica: in sostanza, si ritiene che al fine di falcidiare un credito tributario sia sempre necessario dare evidenza, mediante un’apposita procedura, agli interessi pubblici, a cui anche una rinuncia della pretesa erariale deve sottendere.
D’altra parte, come sostenuto dall’Agenzia delle Entrate, nella Circolare n. 40 del 2008 al parg. 5.5, l’eventuale diniego alla transazione deve essere fatto rilevare già come eccezione in sede di adunanza dei creditori ed, in via subordinata, sottoforma di opposizione all’omologazione del concordato: tale soluzione risolve i problemi sollevati dalla dottrina in merito al fatto che se si affermasse la necessarietà della transazione fiscale si porrebbe l’Amminidtrazione finanziaria in una posizione di favor rispetto agli altri creditori, attribuendole una sorta di diritto di veto al concordato. Sulla base di tale inquadramento sistematico della transazione fiscale, si ritiene, in contrario avviso alle citate dottrina e giurisprudenza, che il prefato effetto del “consolidamento” non pregiudichi la futura attività accertativa dell’Amministrazione finanziaria. Appare, infatti, evidente che la ratio dell’istituto non può essere assorbita dall’obiettivo del debitore/contribuente di sottrarsi alla futura attività accertativa. D’altra parte, la transazione fiscale opera in un ambito riscossivo, ossia, opera nei confronti di obbligazioni tributarie e contributive già costituite al momento della sua efficacia, ma non può estendere i propri effetti rispetto ad obbligazioni non ancora costituite.
Ancora con riferimento alla valenza della transazione fiscale si ritiene che, in ipotesi di concordato preventivo, l’accoglimento od il rigetto della proposta transattiva da parte dell’Agenzia o dall’agente della riscossione, deve sostanziarsi in un voto favorevole o contrario in sede di adunanza dei creditori. Insomma, si ritiene che l’attivazione della transazione fiscale, sempre necessaria al fine di dare evidenza agli interessi pubblici, non vada a stravolgere la natura concorsuale della procedura concordataria ed il carattere”collegiale” dell’approvazione della relativa proposta, che avviene ad opera di un organo collegiale che decide con le maggioranze previste e le cui deliberazioni sono vincolanti per i dissenzienti. Prova di ciò è costituita dalla previsione dell’art. 182-ter, comma 4, l.f., che prevede espressamente che l’adesione od il dissenso degli Uffici finanziari, formatosi secondo la procedura della transazione fiscale, si deve tradurre nel voto favorevole o contrario in sede di adunanza dei creditori e che di tale voto deve essere data evidenza nel verbale delle suddette adunanze, redatto ai sensi dell’art. 178, comma 1, l.f.. Pertanto, appare chiaro che il carattere obbligatorio della transazione fiscale, diversamente da quanto sostenuto dalla dottrina e dalla giurisprudenza prevalenti, non implichi alcuna violazione della graduazione delle cause legittime di prelazione e non precluda la futura attività accertativa degli Uffici finanziari.