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martedì 29 Aprile 2025
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Un treno regionale, il «Times», vecchi e nuovi servitori dello Stato

Fisco Equo ripropone l’articolo (qui il link) pubblicato su Il Sole 24 Ore di domenica 31 gennaio a firma del direttore Roberto Napoletano.

Quasi le scappa una lacrima a Rossella Orlandi, ma quando ripete («le mie donne e i miei uomini») la voce è ferma, gli occhi si muovono come una pallina da flipper, vengono fuori senso dello Stato e caparbietà: «Noi abbiamo la coscienza a posto, direttore, siamo orgogliosi del nostro lavoro, oggi posso affermare con tranquillità che all’agenzia delle Entrate la squadra c’è, tiene botta a tutto, la macchina funziona perché le mie donne e i miei uomini si muovono insieme». Si ferma, quasi di scatto, poi con lo stesso impeto naturale: «Vorrei che si sapesse che quel signore che ha fatto pagare 300 milioni alla Apple per nove mesi ha preso un treno regionale Milano-Torino due volte al giorno perché con 1600 euro di stipendio non poteva pagare il biglietto di un Frecciarossa o di un Italo, questi sono gli uomini della agenzia delle Entrate, la più moderna e dinamica tra quelle europee, che qualcuno si ostina a voler ritenere un pezzo di ministero o a dipingere come una persecutrice di famiglie e di piccoli, indifesi artigiani».

È alla mia sinistra la “direttora” seduta intorno a un tavolo di giornalisti e esperti del Sole riuniti per la consueta cena di Telefisco, saremo una trentina, e mi colpisce perché si ferma di scatto, alza gli occhi al cielo, e butta lì: «Prima ci hanno dato uno status privatistico, poi la Consulta ha annullato tutto, ma in mezzo ci sono storie personali e familiari, il rischio forse scongiurato di un clamoroso passo indietro». È come se ti dicesse: ma in che Paese viviamo? È possibile che si devono sempre bollare e gettare nel panico tutti quelli che fanno bene? Risento la voce e trascrivo a memoria: «Seriamente parlando, vi pare una cosa che abbia un senso? Io sono un dirigente generale dello Stato e sono carrarina, non mollo perché sono di marmo duro, si rassegnino. Anche perché noi, quelli della squadra, siamo i migliori al mondo e non abbiamo accanimento, sappiamo quello che è successo in questi anni e ci guida un forte senso etico, abbiamo fatto il record degli incassi nonostante mille interruzioni obbligate, mai si erano raggiunti risultati simili. C’erano le beghe politiche, ci sono tutte le beghe politiche del mondo, mille intralci di ogni tipo, e noi ci siamo arrangiati, non abbiamo fatto una piega, siamo diventati l’agenzia fiscale che è finita in prima pagina sul Times perché ha fatto quello che nessuno è riuscito a fare e oggi portiamo tutti lo scudetto nel cuore».

La guardo, sono colpito dalla passione che esprime, sento che è un sentimento vero e capisco che può essere contagioso, lo è di sicuro per gli animi sgombri da pregiudizi, capisco che ho davanti agli occhi un servitore dello Stato di talento che può ambire a far rivivere la grande tradizione italiana degli uomini del fare degli anni del miracolo economico e devo fare pubblica ammenda perché la sua parlata carrarina-fiorentina mi aveva fatto malignare sulla scelta del governo Renzi. Guardo questa donna piccola e energica, piena di grinta, e rivedo davanti agli occhi un Gabriele Pescatore molto più giovane di oggi, l’uomo che guidò per oltre vent’anni la prima Cassa per il Mezzogiorno, il modello di un’agenzia indipendente come quelle del New Deal e il sogno (realizzato) di unire le due Italie in campo stradale, acquedottistico e agrario, non più di 300 dipendenti e un credito internazionale che consentì all’Italia di attrarre i primi fondi esteri. Ho tra le mani un agile e denso librettino (Cemento e virgin nafta. L’epoca del grande intervento dello Stato nel Sud , Guida Editori) che ha un autore d’eccezione, Sandro Petriccione, perché in quella stagione lui c’era. A pagina 69 è scritto: «Gabriele Pescatore, giovane consigliere di Stato, si doveva distinguere per grande capacità organizzativa oltre che per scrupoloso rigore amministrativo e, col suo costante e appassionato impegno, impersonò la Cassa nei confronti della pubblica opinione». In questi giorni l’agenzia delle Entrate della Orlandi è finita sulla prima pagina del Times perché ha umiliato con le sue capacità tecniche le altre agenzie fiscali del mondo, ai suoi tempi la Cassa di Pescatore finì sulla copertina dell’Economist perché era la lepre nell’utilizzo dei fondi comunitari e aveva umiliato tutte le altre agenzie di sviluppo europee. Pescatore, nei giorni della Solidarietà nazionale, fu informato dal Tg1 delle venti di essere stato sostituito e, in pochi anni, quei 300 dipendenti diventarono 10mila, la Cassa non fece più neppure un’opera e diventò sinonimo di ruberia. Nessuno si permetta neppure di pensare quarant’anni dopo di ripetere errori così rovinosi, il Paese non se lo può permettere e non glielo perdonerebbe.

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