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domenica 1 Settembre 2024
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“Verso un nuovo modello di amministrazione finanziaria”

Questo il titolo della relazione, datata 20 gennaio 1998, che Fisco Equo pubblica per fare luce sulle ragioni che hanno portato all’attuale ossatura delle agenzie e sul perché questo modello è stato tanto avversato sin dall’inizio. Un documento mai reso pubblico finora, che è all’origine dell’istituzione delle agenzie fiscali in Italia. (Vai al documento)

La relazione muove dall’assunto che il modello ministeriale, conosciuto fino alla metà degli anni ’90, non era più in grado di rispondere alle sopravvenute esigenze di flessibilità e autonomia operativa della macchina fiscale. Da un lato perché le procedure di reclutamento del personale non consentivano di premiare i dipendenti più meritevoli, ai quali l’amministrazione non poteva che “augurare” di vincere un concorso. Col rischio che a vincere fosse qualcun altro, magari più ferrato sui contenuti nozionistici ma meno capace nella “pratica”. Un disincentivo non da poco, visto che da sempre la prospettiva di carriera rappresenta uno dei più importanti fattori di motivazione professionale oltre alla retribuzione, su cui la consulenza privata fa concorrenza, ieri come oggi. Neppure la delegificazione, apparsa a fine anni ’80, aveva portato i risultati sperati in termini di flessibilità dell’organizzazione interna degli uffici. Anzi, in molti casi gli strumenti di attuazione si rivelarono ancor più farraginosi, al punto da far pensare che il procedimento legislativo fosse persino più snello.

Ciò che occorreva, in sostanza, era un diverso meccanismo di accesso alla dirigenza basato su sistemi di valutazione dei risultati che, al momento di scegliere quale funzionario promuovere, tenessero conto anche del giudizio dei dirigenti degli uffici, i quali avrebbero comunque dovuto rispondere della scelta dei collaboratori. Senza inciampare nell’equivoco che tutto ciò che è discrezionale è, di per sé, arbitrario. Un modello moderno, quindi, che privilegiasse la verifica dei risultati all’ossessione formale per le procedure, in grado di garantire incentivi professionali “forti” sia sotto l’aspetto economico che sotto quello della carriera.

È chiaro che per approdare ad un modello di questo tipo era quanto mai necessario cambiare l’impostazione tradizionale che vedeva il concorso pubblico quale unico strumento per la progressione di carriera. A differenza delle amministrazioni degli altri paesi, dove la promozione si conquistava sul campo in base ai risultati del proprio lavoro, in Italia la progressione era subordinata al superamento di un quiz a risposte sintetiche. Col risultato di avere un operatore sfiduciato e demotivato, perché che il suo impegno a nulla serviva per migliorare la propria posizione.

Sulla base di queste premesse, la relazione scende nel dettaglio, specificando i tratti costitutivi delle agenzie: enti pubblici dotati di personalità giuridica pubblica, autonomi sia dal punto di vista gestionale che finanziario e con la possibilità di adottare regolamenti propri. Ma anche dotati di autonomia organizzativa, seguendo le regole privatistiche in materia di rapporto di lavoro, in modo da assicurare la necessaria flessibilità in materia di reclutamento, retribuzione, incentivazione e percorsi di carriera. Non solo. Per garantire il raggiungimento dei risultati e un sempre maggiore grado di expertise, la relazione auspica che le agenzie curino al loro interno piani di formazione professionale ad hoc.

Per ovviare all’obsolescenza del modello ministeriale, si proponeva quindi di accentuare la separazione istituzionale fra responsabilità di indirizzo politico e gestione, affidando la prima al ministro (dotato di una struttura di personale permanente) e la seconda alle agenzie autonome. In questo modo ciascuno avrebbe avuto uno specifico ambito di competenza: il ministero avrebbe potuto occuparsi della produzione normativa e dello studio di nuove strategie fiscali; le agenzie dei risultati e della qualità dei servizi, misurabili attraverso appositi indicatori di performance. Sulla scorta dell’esperienza inglese, poi, si riteneva necessario cambiare il rapporto fra ministero e agenzia: non più definito autoritativamente dalla legge, ma basato su accordi-quadro. In sostanza, alla legge sarebbe spettato il compito di stabilire i requisiti fondamentali, mentre il contenuto specifico era demandato alla negoziazione tra le parti.

L’obiettivo a quel tempo era quello di operare una forte verticalizzazione in chiave operativa, in grado di fare a meno delle tante strutture di coordinamento e al contempo conferire alle agenzie un organizzazione di tipo manageriale, dando ai dirigenti generali la responsabilità piena nella gestione delle risorse umane. Una soluzione doppiamente vantaggiosa, perché da un lato responsabilizza i capi delle linee di produzione e dall’altra evita lo scollamento (proprio dei sistemi centralistici) fra chi amministra il personale e chi lo utilizza.

 Il tema del decentramento dei processi decisionali è fondamentale per comprendere perché sia stato tanto necessario superare il “vecchio” modello ministeriale. Vi è in primis un discorso di efficienza: al crescere della complessità, l’apparato centrale è quasi per inerzia costretto a ingrandirsi e con risultati sempre meno positivi, perché a parità di output il costo in termini di risorse è via via crescente. In secondo luogo, vi è un problema di efficacia. Una pesante regia al livello centrale si rivela di fatto ingestibile, e ha come effetto finale quello di non rendere partecipi gli operatori “in basso”, relegandoli al ruolo di meri burocrati, per di più demotivati. Molto meglio, quindi, ripartire il carico decisionale tra più soggetti, partendo dal presupposto che chi lavora più vicino al problema è colui che meglio sa come risolverlo.

Per garantire una ancora maggiore efficienza dell’amministrazione finanziaria, poi, era indispensabile introdurre più elementi di competizione. Ad esempio rendendo omogenei i carichi di lavoro degli uffici che hanno i medesimi compiti: in questo modo era possibile comparare i risultati in base al fattore umano, ossia alla qualità professionale tanto del direttore quanto dei suoi collaboratori.

Tutte le considerazioni contenute in questa relazione, che in parte hanno determinato l’ossatura delle agenzie odierne, rappresentano una testimonianza diretta di quanto la stessa amministrazione finanziaria fosse orientata al cambiamento, nella ricerca di una sempre maggiore efficienza ed efficacia. L’idea di un’amministrazione di tipo manageriale, meno gerarchica e più decentrata, in grado di formare dirigenti e funzionari altamente qualificati da allocare nelle attività più rilevanti, rappresenta ancor oggi un modello organizzativo ben più moderno di quello tuttora dominante nella pubblica amministrazione italiana. (Vai al documento)

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