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sabato 5 Ottobre 2024
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Web tax: il 16 maggio il primo versamento, come funziona l’imposta sui servizi digitali

Arriva la web tax in salsa italiana. Il 16 maggio, se non ci saranno ulteriori rinvii, le imprese
interessate sono chiamate per la prima volta alla cassa per il pagamento
dell’imposta sui servizi digitali, la c.d. digital service tax come disciplinata, in
ultimo, dalla legge di bilancio 2020. La prima dichiarazione periodica dovrà essere presentata, con riferimento all’anno solare
2020, entro il 30 giugno. Lo ha stabilito il decreto Sostegni spostando avanti di due mesi le precedenti scadenze.
L’imposta sui servizi digitali (ISD o DST o web tax) è un’imposta nuova,
applicabile con una aliquota del 3 per cento sul fatturato delle grandi imprese
multinazionali che deriva da alcuni specifici servizi digitali; quei servizi per i quali
assume maggiore rilievo il contributo degli ‘utenti’ localizzati sul territorio
nazionale, come autonomo fattore di creazione della ricchezza del gruppo. In
ragione di un complesso meccanismo ‘triangolare’ viene
assoggettata a tassazione in Italia una quota dei profitti lordi che le multinazionali
traggono dai predetti servizi digitali e, in particolare, la quota attribuibile, appunto,
al valore generato dagli utenti in quanto fornitori (consapevoli o meno) di big
data. L’applicazione a questa quota di profitti (lordi) di una aliquota moderata
(pari, come detto, al 3 per cento) costituisce una proxy, e cioè una indiretta
modalità di tassazione dei relativi profitti (netti) soggetti all’ordinaria aliquota
Ires del 24 per cento; profitti che, in base agli ordinari standard di fiscalità
internazionale, le multinazionali interessate – che possono operare anche
soltanto da remoto senza avvalersi di stabili organizzazioni né subsidiary – non
sono tenute a tassare in Italia (né, in molti casi, in nessun altra giurisdizione del
mondo), nonostante che ad essi abbiano contribuito fattori di produzione
autonomamente generati nel territorio nazionale.

La nuova imposta colpisce i ricavi relativi a: 1) i messaggi pubblicitari mirati, diretti agli utenti di un interfaccia digitale; 2) la messa a disposizione di un interfaccia multilaterale che facilità la comunicazione tra gli utenti; 3) la trasmissione di dati digitali, raccolti dagli utenti e generati dall’utilizzo di un interfaccia digitale nei confronti dei suoi utenti. I soggetti obbligati a versare la digital tax italiana sono tutti coloro che nell’esercizio di un’attività d’impresa hanno realizzato, nell’anno precedente a quello, ovunque nel mondo, singolarmente o a livello di gruppo, ricavi per almeno 750 milioni di euro e percepiscono nel medesimo periodo ricavi per servizi digitali localizzati nel territorio italiano per almeno 5,5 milioni di euro. La base imponibile è costituita dai ricavi percepiti (quindi, calcolati “per cassa”) per la percentuale degli stessi collegata al territorio italiano. Come criterio di collegamento al
territorio la scelta legislativa è ricaduta sulla geolocalizzazione del dispositivo, di cui l’indirizzo IP (protocollo informatico) può costituire un indicatore, ma non l’unico ammissibile.

La genesi e i meccanismi della nuova imposta nel documento di Tamara Gasparri esperta di fiscalità internazionale

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