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venerdì 7 Febbraio 2025
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Web Tax, serve una stabile organizzazione per elaborare adeguati criteri di tassazione

Il Fisco può recuperare tutto il gettito non versato dai colossi del web senza infrangere la legge, ma rischia di tagliare fuori molte imprese dal traffico pubblicitario globale

La chiamano Google tax, perché vuole affrontare il problema dell’elusione fiscale da parte dei giganti del Web che sottraggono, legalmente, grazie a un gioco di triangolazioni, milioni di euro dalle casse dell’erario. L’emendamento alla Legge di Stabilità che la introduce è stato approvata venerdì scorso dalla Commissione Bilancio della Camera. Ma il modo in cui il provvedimento di cui si è fatto promotore il deputato del Pd Francesco Boccia cerca di risolvere la questione desta però qualche perplessità.

Il problema esiste e ne abbiamo già parlato su Fiscoequo, ma la norma è sbagliata perché non riesce comunque, allo stato attuale della fiscalità internazionale (leggi Convenzioni contro le doppie imposizioni e art. 162 del TUIR), a creare i presupposti per la tassazione dei profitti in Italia, in assenza di una stabile organizzazione. Se d’imperio la norma  volesse introdurre in autonomia nuovi presupposti, essi contrasterebbero con le convenzioni e il TUIR e  collocherebbero  l’Italia in posizione isolata rispetto al contesto internazionale. In sede OCSE i vari Paesi sono alla ricerca di principi nuovi e coordinati di tassazione (Vedi Action Plan BEPS luglio 2013 i cui lavori proseguono alacremente in sede OCSE); la stessa Commissione UE ha costituito in novembre un Gruppo di lavoro ad alto livello, con 7 esperti di fama internazionale (ancora da nominare), alcuni dei quali con competenze fiscali e altri con competenze specifiche nell’operatività delle imprese e-commerce: prima occorre capire bene il business e poi elaborare adeguati e condivisi criteri di tassazione. Fughe in avanti, isolate, non servono a niente

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